Cerca nel blog

sabato 4 maggio 2024

La Francia e l’Europa che non c’è

Cinque anni fa, nella campagna per il voto europeo, Macron proponeva un Rinascimento. Quest’anno, con la stessa scadenza, a un mese e mezzo dal voto, spiega alla Sorbona e all’“Economist” che “l’Europa può morire” – non dice che rischia di morire, ma aggiunge che le fini degli imperi sono “brutali”, improvvise cioè e disastrose.
Il presidente francese ha parlato senza effetto allora - e senza oggi, è da presumere. Se non che il necrologio viene a ridosso del rilancio di una Difesa europea, assortita di una politica estera comune. Una difesa con più armamenti e più aggiornati, compreso l’ombrello nucleare (Francia, Gran Bretagna), e con un inizio di integrazione degli schieramenti e dei comandi. Che sembrerebbe una svolta decisiva verso una federazione, una Europa vera. Non fosse che lo stesso Macron con la ripetuta promessa, o minaccia, di inviare truppe francesi in Ucraina. Niente di meno che una dichiarazione di guerra alla Russia, così, su due piedi, senza un appiglio, giuridico o militare, e senza prospettiva, se non una guerra, per la qale nessuno in Europa è preparato.  
Leggerezza? Non sarebbe la prima guerra in cui la Francia imbriglia l’Europa. La Libia è un precedente che, per quanto minimo rispetto alla Russia, pesa molto sull’Italia – e sull’Africa, ci ha rimesso alcune migliaia di morti. E il presidente francese è, unico tra i regimi democratici, uno che ha pieni poteri per cinque anni - più del presidente americano, ed è tutto dire, anche se conta molto meno. Bisogna preoccuparsene?
Macron è a capo di un paese che ha fatto fallire l’Europa nei due passi decisivi: la difesa comune nel 1954, e la costituzione nel 2005.

Tutto per il meglio, anche Palermo

I soliti ingredienti delle produzioni Bernabei, ma in un racconto gradevole. Location mozzafiato, la famiglia, genitori e figli, l’innamoramento, felice e infelice, o incerto, il lavoro, sempre periclitante - tanto più se è quello della stella della ditta, Francesca Chillemi, ormai abbonata al ruolo della bella un po’ sventata – e la giustizia, tempestiva ma clemente.
Una storia di attualità nei primi due episodi della nuova serie: le avventure social di uno sfruttatore di donne, con la ricetta collaudata di guadagnarsi la fiducia pagando tutto ai primi incontri, per poi farsi bonificare una somma ingente, e scomparire. Due le storie: quella che legherà gli episodi è una paternità complicata, per il noto detto sapienziale che la paternità è sempre incerta.
Tutto molto ordinario, quotidiano, di ognuno. Tenuto su dai dialoghi, vivaci. In una Palermo da cartolina, specie nelle trasparenze del mare.  
Alexis Sweet,
Alexis Sweet, Viola come il mare, Canale 5, Infinity

 

venerdì 3 maggio 2024

Problemi di base pessimisti - 803

spock

“La memoria è il dono speciale della vergogna”, A nnie Er naux?
 
“Ognuno è solo”, Herman Hesse?
 
“Ognuno sta solo sul cuor della terra”, Salvatore Quasimodo?
 
Alla nascita e alla morte ognuno è solo?
 
“Pure i ricordi svaniscono”, Michail Bulgakov?
 
“So che sembra assurdo, ma per favore ditemi chi sono io”, Roger Hodgson (“The logical Song”)

spock@antiit.eu

La peste dei "Promessi sposi", dal vivo

Molto citato e poco letto (non pubblicato, da almeno un secolo) la revocazione di Milano nel primo Seicento alla base della parte storica dei “Promessi sposi” - anzi, la fonte unica, per quanto ricca. Si ripropone con una nuova traduzione.
Ripamonti, brianzolo, di famiglia povera, sacerdote, fu scelto dal cardinale Federigo Borromeo come direttore della Biblioteca Ambrosiana. Insegnò letteratura latina ed eloquenza sacra nel Seminario di Milano. Fu nominato cronista della città dai decurioni di Milano e storiografo regio dal governatore spagnolo. Autore delle “Historiae Ecclesiae Mediolanensis”, pubblicate fra il 1617 e il 1628, di “Historiae Patriae” pubblicate postume tra il 1643 e il 1648. E di questo “De peste Mediolani quae fuit anno 1630”, pubblicato nel 1640, tre anni prima della morte. Molto dettagliato, e ben costruito, ma rimasto praticamente ignoto prima del romanzo – fu tradotto solo nel 1841.
La cronaca è voluminosa ma non noiosa. È divisa in cinque libri: la carestia e la peste; gli untori; le gesta del cardinale Federico Borromeo e del clero durante il contagio; le “grida” della sanità e delle varie altre magistrature; un parallelo fra gli antecedenti contagi e la peste del 1630. Fra le tante storie di peste successive, da Defoe fino a Camus, è questa forse quella più vivace, e meglio argomentata.
Sono qui i capitoli XXI e XXII del romanzo di Manzoni. Che non nascose la fonte, anzi: cita Ripamonti spesso, lo dice anche sua principale fonte storica, per tutto, compresi i “bravi”. Ma tutto il romanzo, e molto Manzoni, si direbbe “ripamontiano”, dolente e inflessibile – non c’è debolezza che eviti o nasconda.
Giuseppe Ripamonti, La peste di Milano del 1630, Luni, pp. 432 € 128
free online

giovedì 2 maggio 2024

Il calcio asociale – o un calcio ai presidenti

(Semi)finito il campionato si riempiono le cronache degli allenatori da cacciare via, dalla Juventus, dal Milan, dal Napoli. Allenatori tutti di carriere onorate. Effetto di un giornalismo ormai asfittico, ripetitivo, senza fantasia, quelo sportivo forse peggio di quello politico. Ma senza dire mai l’evidenza, che il calcio è malato in Italia nella proprietà, di morbo societario. Del Napoli con la massima evidenza, di un presidente che non vuole una società e caccia gli allenatori con una frequenza nevrotica, anche chi gli ha vinto uno straordinario scudetto. Del Milan e dell’Inter che hanno proprietà assenti – sono solo gadget finanziari. Nel Milan sostituita prima da Boban, poi da Maldini, ora da Ibrahimovic – da teste di legno. Nell’Inter sostituita da Marotta, il dirigente che fu l’artefice delle fortune della Juventus e altrettanto sta facendo all’Inter, praticamente da solo (con un altro dirigente come lui cacciato come dalla Juventus, Ausilio) – dove paga i suoi prolifici calciatori 117 milioni, contro i 130 degli astinenti juventini. Della Juventus che ha accumulato perdite e debiti per un miliardo se non di più senza vincere niente, e anzi penando. Cambiando allenatori in serie. Con dirigenze di avvocati che non sanno nemmeno fare gli avvocati – il club torinese è probabilmente il più perseguito in giustizia al mondo, anche da giudici di poco conto, ordinari e sportivi, come quello che si dichiara interista, e l’incredibile Chiné della giustizia sportiva, quello che punisce per la stessa accusa fra sei o sette società solo la Juventus.
Mentre resta sempre il dubbio sul ruolo dei procuratori, se non dividano la torta. La Juventus p.es.  paga 2,5 milioni un calciatore che non ha mai giocato, Djalo. Tanti quanti ne paga a Kostic, che gioca ogni partita, a Kean, un nazionale, a McKennie, un nazionale americano. E 1,5 a De Sciglio, il terzino che ha giocato pochi minuiti, tanti quanti ne dà a Gatti, che è invece terzino fisso.

Quel Manzoni (di Gadda) è un po’ Caravaggio

“Egli disegnò con un disegno segreto e non appariscente gli avvenimenti inavvertiti: tragiche e livide luci d’una società che il vento del caso trascina”….
“La mescolanza degli apporti storici e teoretici più disparati, di cui si plasmò e si plasma tuttavia il nostro bizzarro e imprevedibile vivere, egli ne avvertì le deviazioni contaminantisi in un’espressione grottesca”….
“Scrittore degli scrittori….Volle poi che il suo dire fosse quello che veramente ognun dice, ogni nato della sua molteplice terra e non la trombazza roca d’un idioma impossibile che nessuno parla, non solo, e sarebbe il male minore, ma che nessuno pensa né parlando a sé o al suo amico, né alla sua ragazza, né a Dio”…..
“Quello stesso amore per cui disegnò la dolce figura d’una popolana, sia pur graveolente, lo condusse a dire le cose vere delle anime con le vere parole che la stirpe mescolata e bizzarra usa nei sogni, nei sorrisi e dolori. Dipinse d’altronde anche marchesi, conti e duchi, sia nazionali che esteri, e non meno bene che quelli dal ciuffo”…. – i “bravi”.
Il collegamento discende poi spontaneo, immediato, tra Manzoni, il romanzo, e Caravaggio. È la notazione forse più sorprendente del saggio, un’illuminazione, ma argomentata – “il barocco lombardo di quel tempo ha tenuissimi tocchi e una grandiose tristezza”. Un mondo di “atroci silenzî”, dove “la legge si fa irreale, perché nessun termine di giusto riferimento le è conceduto. Nulla esiste più. Nulla è più possible socialmente: soltanto sono reali gli impulsi di una fuggente individualità”..  
Uno scritto breve di Gadda, sei cartelle, uno dei suoi primi, trascurato ma che dice molto di sé, del suo futuro. “Manzoni – Fichte – idea della immediatezza necessaria del linguaggio” è il titolo. Ma più che Fichte c’è “Michelangelo Amorigi” (Merisi, “Caravaggio”), che “veste da bravi i compagni di gioco”. E poi Gerolamo Cardano. E “i lividori dello Spagnoletto”. Una sintesi visiva. E lombarda: dai posti del future “dolore”, dei dolori estivi – “Longone. Finito questa riesumazione Manzoniana il 4 agosto 1924”.
Un breve saggio del manzoniano di ferro Gadda, da studioso di filosofia dopo la guerra e la prigionia, dopo gli studi accademici-alimentari di ingegneria. In cui ha già precisa la cifra della sua propria scrittura. Aderente alle cose e insieme inventiva. Con molti furori contro “gli asini che fanno da sei secoli i rigattieri degli umanisti a freddo” - “L’Italia liberata dai Goti! Ah! Peccato che mentre un così nobile poema in endecasilabi, santissimo sacramento, veniva dato alle stampe un sifilitico la conquistasse con ottanta cavalli” (Trissino e Carlo VIII). Con un omaggio commosso a Leopardi.  
Carlo Emilio Gadda, Apologia manzoniana, “The Edinburgh Journal of Gadda Studies”, free online 

mercoledì 1 maggio 2024

Letture - 549

letterautore
 
Americani  - “Gli americani non sono inglesi, per niente”, Gertrude Stein – che non era anglofila - se lo fa dire da militari americani alla liberazione in Francia, che sono passati per l’Inghilterra, (“Guerre che ho visto”, 259), facendoli argomentare: “Non siamo andati mai completamente d’accordo con gli inglesi fino a quando non si furono ficcati in testa che noi non siamo cugini ma stranieri, una volta che lo ebbero capito, tutto andò liscio come l’olio”.
 
Amore e morte“Amore e morte, Eros e Thanatos: un binomio molto presente nella letteratura mondiale” lo vuole wikipedia. Che subito cita Leopardi: “Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ ingenerò la sorte», etc. – “Nasce dall'uno il bene,/ nasce il piacer maggiore/ che per lo mar dell'essere si trova;/ l’altra ogni gran dolore,/ogni gran male annulla”. Ma il binomio si può dire germanico. La morte è la cosa di cui meno si parla al mondo, se si eccettua la Germania. Anche questo Stendhal dice meglio: “La morte è una parola senza senso per la maggior parte degli uomini. È solo un attimo, e in genere non lo si avverte”. Ma si può farsene una grandezza, proiettando quell’attimo su tutta la vita, e in questo l’amore teutonico è insuperato, Freud non inventa nulla, amore e more è marchio di fabbrica. Sommo di-letto è in Schlegel fantasticare la morte dell’amata Lucinde, straziarsi per lei. O nel giovane Kleist, e in Rilke. In Kafka non si muore per accidente, malattia o vecchiaia, ma inevitabilmente per amore. L’amore biedermeier muore anch’esso giovane, sui vent’anni, nella penombra. Lo stesso olimpico Goethe fa morire tutte le eroine d’amore nel Wilhelm Meister, il romanzo dell’“arte di vivere”: Sperate, Mariane, Mignon, Aurelia, l’ar-pista. Tristano e Isotta si amano per morire. “La notte appartiene alla morte”, sussurra la Sibille thomasmanniana al fratello Wiligis per incitar-lo all’incesto – col quale, prima di farlo, dialoga in occitano, oh sublime ridicolo. Da qui il verso celebre di Celan: “La morte è un maestro della Germania”. I tedeschi sono, padri o figli di Freud, in sonno, in partibus, in incognito, igienisti. Dei sentimenti, delle passioni e della ragione.
Anche Leopardi per la verità è del parere: “Quando novellamente\ nasce nel cor profondo\ un amoroso affetto\…\ un desiderio di morir si sente”. E Foscolo – ma da lombardo di adozione, con parentele prussiane, per essere à la page, della moda romantica, cioè tedesca.   
 
Equilibrio europeo – La dottrina dell’“equilibrio europeo”, poi balance of power, nasce in Europa con la nascita degli Stati. Nasce in Italia – Federico Chabod, “Storia dell’idea di Europa”, p. 54: “Sbocciata la prima volta in Italia, e proprio essenzialmente nell’età del Machiavelli e del Guicciardini, con le considerazioni sulla bilancia d’Italia, accortamente tenuta in bilico da Lorenzo il Magnifico, ma poi trapassata nella pubblicistica europea con Francia e Spagna «piatti» ed Inghilterra «ago della bilancia»…. Ripresa, portata al suo massimo sviluppo dalla pubblicistica inglese nell’età della regina Anna, quando il principio dell’equilibrio viene anteposto al medesimo principio di giustizia, poiché, afferma il Defoe: «La pace del Regno unito, la tranquillità generale dell’Europa devono prevalere  su una considerazione di pura giustizia»; fino a pervenire alla considerazioni del Lehman, nel 1716, sull’equilibrio come una specie di «costituzione» dell’Europa, o alla categorica dichiarazione di Voltaire che tra i principi di diritto pubblico e di politica, tipici dell’Europa e sconosciuti alle altre parti del mondo, è quello, saggio, di mantenere tra i vari Stati una bilancia uguale di poteri, a mezzo di incessanti trattative diplomatiche, anche durante le guerre”.
L’abate di Mably constatava “che proprio per avere attuato pienamente il sistema dell’equilibrio, l’Italia del ‘400 «è stata un’immagine ik ciò ch’è oggi l’Europa, la quale costituisce un tutto politico., in cui una parte è necessariamente legata alle altre da un reciproco e benefico influsso” (ib.).
L’Europa si è costituita, ha prosperato, è sopravvissuta sulla base dell’equilibrio dei poteri, dell’incessante ridefinizione degli interessi e i limiti dei suoi regni e poi delle repubbliche.
 
Femminismo – “La nostra servetta ci diceva oggi che in una famiglia operaia è meglio avere delle femmine anziché dei maschi”, G. Stein, “Guerre che ho visto”, 93: “Perché il maschio da ragazzo non è di nessun aiuto e quando è grande penserà a se stesso, alla fidanzata, al matrimonio, ai suoi figli. Obbligando la madre a lavorare fuori, magari, “per contribuire a mantenere la famiglia”, e tornando la sera sbrigare tutte le faccende domestiche. Mentre con le figlie tutto è più facile.
 
Francesi – “I francesi amano la varietà, è questo che li rende simpatici a viverci insieme”, G. Stein, “Guerre che ho visto”, 87-88: “In poco più di cent’anni hanno avuto tre diverse repubbliche, due specie di monarchie, una comune, una dittatura e l’attuale governo 1943 (Vichy) e già si preoccupano di quello che sarà il loro prossimo governo” – quello poi di De Gaulle, la Quarta Repubblica (a cui lo stesso generale farà succedere nel 1958 una Quinta, l’attuale).
 
Hitler – “Antitedesco” lo vuole G. Stein, “Guerre che ho visto”, p. 237, per essere austriaco. L’ho detto già nel 1935, annota, alla “gente a pranzo”, a un pranzo in cui aveva degli ospiti: “Dissi che era intenzione di Hitler distruggere la Germania perché egli era austriaco e un austriaco  nel profondo del cuore nutre un odio verso la Germania così grande anche se inconscio che se potesse distruggerebbe la Germania Hitler può e lo farà” - gli amici pensarono che “volessi fare dei paradossi” e invece ecco qui: “È un po’ come Napoleone  che essendo italiano era in fondo indifferente al numero di francesi che potevano morire”. Però, “cosa strana il mostro straniero esercita un fascino arcano sulla nazione che sta distruggendo”. Stein si meravigliava all’epoca, 1944 avanzato, che in Germania la gente credesse sempre nella vittoria: “Un fascino che un mostro nato in Germania non avrebbe potuto avere. E così Hitler si adagia nell’attesa dell’ultimo battaglione che combatterà per vincere o restare ucciso, presumibilmente per restare ucciso, ma lui li ha convinti tutti alla sua idea perché è uno straniero”.:
 
Italia – Sono stati italiani l’umanesimo, nota Chabod nella “Storia dell’idea di Europa”, il concetto politico di “equilibrio” (balance of power) in Europa. A opera di Machiavelli, nel “Principe”, nei “Discorsi” e nell’“Arte della guerra”, nell’insieme e nelle sua articolazioni¨: Occidente e Oriente, e nella parte occidentale tra la “Magna”, che Machiavelli privilegia, e gli altri, che invece biasima, italiani, francesi e spagnoli, i “latini”.
 
Nella prosa dello scrittore franco-algerino Yasmina Khadra – un francese “popolare”, con molti gerghi algerini - affiorano sempre parole italiane: “cantina”, “ponte”, “omertà”, “mollo”, “porcherie”, “capo”. Anche Camus ne usava nei primi racconti, ambientati a Orano- C’era molta Italia in Tunisia e Algeria orientale prima dell’occupazione francese, e anche dopo.
 
Occidente - Nasce come opposto all’impero d’Oriente (Bisanzio), ma in collegamento (in subordine) a Europa. “Il termine Occidente, Abendland, è stato più e più volte assunto come equivalente di Europa, soprattutto nella storiografia tedesca, la quale ha pure messo in voga un’altra e consimile espressione, anch’essa come equivalente d’Europa, e cioè la comunità dei popoli romano-germanici” – Federico Chabod, “Storia dell’idea di Europa”, 40.
Restano fuori gli Slavi, dei cui assetti l’Europa ancora oggi non si cura. In Jugoslavia, fra Ucraina e  Russia – ma sono innumeri le questioni aperte, anche dove sembrano dismesse o risolte, p.es. tra Polonia e Ucraina, in Serbia, nella stessa “pacificata” Bosnia.

letterautore@antiit.eu

Sesso memorabile, nel fango

Rivisto dopo trent’anni, il film superpremiato di Jane Campion sorprende par la selettività del ricordo. Racconta di coloni inglesi in Nuova Zelanda a metà Ottocento, affaticati, imbruttiti, dalle poche, pochissime risorse, in un mondo di piogge, fango, assi e tronchi d’albero per casa, attorniati da nugoli di Maori chiacchieroni e ridanciani, dall’umore costante anche nelle avversità. Di un colono abbandonato dalla moglie, e di un altro che ha sposato per procura una vedova di cui nulla sa. Racconta di un mondo grigio, sradicato, primitivo (violento). Ma si rivede - classificato peraltro dall’emittente come “romance” - sulla memoria di un amplesso, due amplessi che fecero epoca. Filmati da Campion con luci e tagli d’immagine, di Holly Hunter e Harvey Keitel, da restare indelebili nella memoria – un minuto, due minuti, sulle due ore e passa di film? Sulle note di Nyman, il maggior compositore americano di fine Novecento, sul tema conduttore del film, che il compositore dice “The Heart asks Pleasure First”, il cuore vuole il piacere.
Il ricordo è selettivo, ma quanto?
Jane Campion,
Lezioni di piano

martedì 30 aprile 2024

Problemi di base ecologici - 802

spock

Se si riducono i ghiacciai e c’è la siccità perché crescono e esondano i fiumi?
 
Perché l’olio evo non unge?
 
Perché gli asparagi sanno di zolfo?
 
Perché la bistecca si scioglie in bocca?
 
Non ci sono più le fragoline o non ci sono più i boschi?
 
Perché l’auto elettrica pesa di meno e costa il doppio?
 
Perché l’acqua viene in bottiglia – per produrre più plastica?

spock@antiit.eu

Quando liberammo la Jugoslavia con l’uranio impoverito

Si fa scandalo di Franco Di Mare, cui la Rai, per la quale lavorava, non avrebbe prestato l’assistenza necessaria dopo il cancro preso in Bosnia e nel Kossovo per le bombe a grappolo, a uranio impoverito. Senza dire chi le ha usate in quelle guerre: noi, la Nato, i liberatori. In Bosnia nel 1994 e nel 1995, in Kossovo nel 1999, quando già era noto l’effetto radioattivo (peraltro noto dagli usi sperimentali). La stupidità in gara con l’ipocrisia?
Si compiange Di Mare per farne un motivo contro la Rai, a favore della 7, del Nove e di chi altri paga in questa fase? Senza nemmeno dire che molti soldati italiani del Kfor, che l’Italia volenterosa  ha mandato a bonificare le aree che avevamo infettato, ne sono stati vittime prima di Di Mare.


Gertrude Stein fu hitleriana, anzi no

Gertrude Stein è periodicamente accusata di simpatie fasciste (Mussolini, Vichy) se non naziste. Da ultimo dalla storica Barbara Will, “Unlikely Collaboration: Gertrude Stein, Bernard Faÿ and the Vichy Dilemma”. Dove documenta che Stein tradusse in inglese 32 discorsi del maresciallo Pétain, il capo della repubblica collaborazionista di Vichy. Will avrebbe trovato in archivio i manoscritti delle traduzioni, di mano di G. Stein. Compresi quelli “che annunciavano la decisione di escludere ebrei e altri ‘elementi stranieri’ da posizioni di potere nella sfera pubblica”. Inoltre, Stein avrebbe presentato Pétain come il George Washington della Francia.
La questione è controversa. Il sospetto di collaborazionismo fu avanzato alla fine della guerra e subito lasciato cadere. G. Stein e la sua compagna, Alice Toklas, benché ebree e americane, scelsero nel 1940 di restare nella Francia occupata dalla Germania, sfollando da Parigi nell’area di Sud-Est della repubblica di Vichy, vicino alla Savoia, e alla zona occupata dall’Italia. Oltre questa scelta, ha fatto dubitare delle inclinazioni politiche di G.Stein il fatto che, benché ebrea, non sia mai stata non solo perseguitata ma in nessun modo incomodata, neanche quando, a fine 1942, Vichy divenne di fatto anch’essa zona d’occupazione tedesca. Che non abbia sofferto di nessuna privazione, alimentare, di mobilità, durante i quattro anni dell’occupazione. Che la sua collezione d’arte, importante e ricca, sia rimasta a Parigi ben protetta dall’occupate tedesco – senza furti né manomissioni.
Charles Bernstein ha argomentazioni contro ognuno di questi sospetti. Poeta per molti versi innovativo negli anni 1970, Bernstein spiegava un anno fa in un’intervista con “Il Manifesto” di essersi formato sulla morfologia del linguaggio parlato introdotta e sperimentata da Gertrude Stein. Alla protezione della sua memoria politica ha dedicato un sito. In molti interventi, Bernstein contesta uno per uno i sospetti avanzati su G.Stein, e ne mette in rilievo invece gli interventi anti-Hitler. La protezione di cui godette nel regime di Vichy mette in relazione col rapporto di amicizia da Stein intrattenuto con Bernard Faÿ, uno storico del Collège de France che fu collaborazionista, esponendosi personalmente nella caccia ai massoni – al “complotto ebraico-massonico” - anche lui omosessuale. Faÿ, condannato ai lavori forzati dopo la guerra, si rifugiò in Svizzera, continuando a insegnare in istituzioni religiose (sarà uno dei “lefebvriani” nel 1969), e nelle memorie si dirà grato a G.Stein, che nel processo per collaborazionismo scrisse al tribunale in suo favore, spiegando di averla protetta presso il regime negli anni della repubblica di Vichy, anche per le occorrenze materiali.
In proprio la scrittrice, nel memoriale “Guerre che ho visto”, scritto nel 1943-44 e pubblicato all’inizio del 945, critica a ogni pagina i soldati tedeschi (apprezza gli italiani), e la leva del lavoro obbligatorio in Germania. La storia della seconda guerra mondiale è ancora da scrivere.
Charles Bernstein, Gertrude Stein’s war years: setting the record straight
, free online

lunedì 29 aprile 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (557)

Giuseppe Leuzzi


Resta incerto, benché acclarato, e poco studiato il rapporto, perfino troppo intenso, di Amelia Rosselli con Rocco Scotellaro. Della poetessa cosmopolita per eccellenza e del poeta contadino. La morte giovane di Rocco, a trent’anni, tre dopo la conoscenza e l’infatuazione reciproche, lascerà per sempre Amelia “vedova”, di un radicamento. Il radicamento che soprattutto trovava in Scotellaro, uomo del Sud, di paese.
 
Chi è provinciale
È il provincialismo, modo di essere, o di esserne tacciati, oggi in disuso ma serpeggiante, la pratica o l’uso di modi e temi locali in una lingua alta, durevole, o di temi internazionali, cosmopolitici, in chiave bozzettistica – come oggi molto della chiacchiera “verde”, “ecolo”, “di transizione”.
Fa la grande differenza fra Nord, Toscana compresa (Fucini, Rosai, Enrico Pea, lo stesso Papini, Fabio Genovesi…) e il Sud: la durevolezza di Verga, Pirandello, Alvaro, Eduardo, lo stesso Tomasi, non locale, etnica, tribale.
Non c’è nulla di più provinciale di Montanelli, anche nel giornalismo, al paragone con le corrispondenze di Alvaro. È una metropoli Napoli, benché “napoletanissima”, e non Milano, benché parli inglese, si adorni di grattacieli alla Manhattan, e  sia piena di cinesi e sudamericani.
 
Cronache della differenza – 2
“Dopo tutto ogni essere vivente è come la sua terra, come il clima, come le montagne o i fiumi o come sono i suoi oceani come il vento e la pioggia e la neve e il ghiaccio e il caldo e l’umidità, ognuno è così e questo fa sì che ognuno abbia il suo modo di mangiare il suo modo di bere il suo modo di comportarsi il suo modo di pensare il suo modo di essere scaltro e anche se le linee di demarcazione sono fatte col compasso dopo tutto quello che è dentro a quegli angoli retti è diverso da quello che è fuori da quegli angoli retti…” – Gertrude Stein, “Guerre che ho visto”, 251-152, allo sbarco degli americani in Francia nel 1944.  
“È proprio così, non so perché ma l’Arkansas mi commosse particolarmente, qualsiasi cosa ora che sia americana mi commuove particolarmente. C’è qualcosa in questa terra nativa commerciale e non si può sottrarvisi. In tempo di pace non sembra che ve ne accorgiate molto soprattutto se vivete all’estero ma quando c’è una guerra e siete soli ed esclusi da qualsiasi contatto con la vostra terra ebbene ecco la vostra terra nativa è la vostra terra nativa, è così”.
P.es. dopo la guerra leghista.
 
La morte repubblicana
Si porta a Napoli, al Vomero, quartiere alto-borghese, una scuola media a vedere il film su Giancarlo Siani, il giovane giornalista ucciso dalla camorra nel 1985. Molti applausi durante il film, “qualcuno applaude ancora”, scrivono le cronache, mentre scorrono le immagini dell’assassinio – le immagini finali. Scandalo, dei media, della scuola, del ministero. Mentre potrebbe essere – sicuramente è – il solito applauso di maniera oggi ovunque, anche ai funerali. Ma piace pensare a un gruppetto stanco, se l’antimafia diventa retorica – il film, “Fortapàsc”, di Marco Risi, è di quindici anni fa.
La scena centrale di “Fortapàsc”, prima del’assassinio di Siani, è la “strage di Torre Annunziata”, o “strage del Circolo dei pescatori” o “strage di Sant'Alessandro”, a Torre Annunziata, in cui un clan di camorra, i Gionta, ebbe otto morti e sette feriti, a opera di un commando di quattordici killer, armati di fucili a pompa, AK-47 e Uzi, del clan Bardellino, o Alfieri, o Fabbrocino, o tutt’e tre. Nel film la strage viene ambientata in un bar di Torre del Greco, avendo il quartiere Carceri di Torre Annunziata impedito le riprese nei luoghi dell’eccidio. Si dice, si suppone, perché così vuole la camorra. Ora, il nome del quartiere non depone bene, ma piace pensare a una ribellione contro il “tutto è camorra”: essere schiacciati sotto i cartelli “qui è mafia” è la morte civile – una specie di “morte repubblicana”, quella che i rivoluzionari del 1789 praticavano per risparmio, la morte in serie per annegamento di un vivo legato a un morto.
 
Cronache della differenza: Milano
È prima, primissima per depositi bancari liquidi. Da sola a fine 2023 ne raccoglieva per 234 miliardi di euro. Più di Lazio e Campania messe assieme, con rispettivamente 121 e 105 miliardi. Un primato importante anche pro capite, 23,6 mila in media per abitante, contro i 21,2 mila per il Lazio e i 18,8 per la Campania.
 
Trionfo Inter e città in estasi per l’allenatore Inzaghi. Che dodici mesi prima si dava per bollito, inconcludente, da cacciare. La città è capricciosa, era il tema di Camila Cederna- ci ha giocato una vita.
 
È europea, internazionale e tutto, ma feroce. Con Giusepe Prina, che il “Mephisto” del “Sole 24 Ore” ricorda - pur deprecando, da milanese - come più tardi a piazzale Loreto. Ma si assolve.
 
Perde popolazione anche la Lombardia. Meno che nella media nazionale: registra un – 0,8 per cento dall’1 gennaio 2020, contro un – 1,3 per cento nazionale. Ma è la destinazione principale dell’emigrazione interna, dal Sud e anche da Roma e la Toscana, e degli immigrati.
 
Nell’inverno, “a cavallo tra 2022 e 2023 abbiamo trovato un livello di sostanze tossiche e cancerogene nell’aria di Milano e Lombardia quattro volte superiore a quello di Los Angeles, dove ogni giorno circolano nove milioni di auto e mezzo milione di camion diesel”, Costantinos Sloutas, fisico ambientale. Come non detto, il lombardo la sporcizia la butta di sotto, diceva Malaparte.

Si fanno storie e romanzi di ogni evento anche effimero, ma non c’è una ricerca storica documentaria sui “bravi” in Lombardia nel Cinque-Seicento. Una storia lombarda che a Milano, il cuore della lettura in Italia, scalerebbe subito le classifiche. Ma la mafia è solo altrove.

Se si pensa che ha votato in blocco Bossi, e i bossiani, al Parlamento e al Comune, perché alcuni immigrati chiedevano l’elemosina ai semafori. Ma Milano dimentica facile – ha memoria selettiva.

 
“Un paese ci vuole”, dice con Pavese Graziano Gala, scrittore salentino che vive a Milano, presentando (elogiando) il Salone del Mobile, la nuova grande fiera di una città per un millennio centro di grandi fiere. Quando la città si riempie di diecine, centinaia di migliaia di buyer di tutto il mondo. Milano paese?
 
Gala ricorda però Verga che già nell’Ottocento diceva “che qui, in questi posti, si prova davvero la febbre del fare”.


leuzzi@antiit.eu

L’amore a Ciudad Juarez, la città più violenta del mondo

La storia di una ragazzina violentata da un balordo alla presenza del suo ragazzo, per questo delusa, poi scomparsa, e della sua ricerca da parte del ragazzo, tra le mafie, i “cartelli” della droga e dello sfruttamento. Una storia non violenta alla maniera dei film d’azione, rumorosa, veloce, ma ugualmente tetra e disturbante.  
L’unico racconto che l’editore italiano di Yasmina Khadra, Sellerio, non traduce, è anche il più circostanziato e veritiero della personale etnografia degli “ultimi” (Palestina, Iraq, Africa) cui l’ex colonnello dell’esercito algerino, noto creatore del commissario di Algeri Loeb, si è dedicato da qualche tempo. Ombra o riflesso di fatti realmente avvenuti. Il più truce dei quali, all’origine probabilmente del racconto, è un fatto di cronaca, uno dei tanti che fanno del Messico il paese col più gran numero di morti assassinati: la scomparsa trent’anni fa, ne 1993, di 4.500 donne giovani, operaie. Nella stessa città in cui è ambientato il racconto, Ciudad Juarez, la capitale dello stato desertico settentrionale del Chihuahua, considerata la città più pericolosa del mondo, per il traffico dei narcotici e degli emigranti, la terza delle grandi città messicane a ridosso della frontiera con gli Stati Uniti, qui con il Texas, con El Paso – è la “Santa Teresa” di Bolaño, “2666” (“La parte dei delitti”).
Letto in originale, Yasmina Khadra (lo pseudonimo è il nome della moglie dell’autore) mantiene, anzi ora accentua, benché da molti anni francese a tempo pieno, anche come residenza, una scrittura franco-algerina. Nei riferimenti, nella terminologia (usa anche parole italiane, “cantina”, “capo”, “ponte”, “omertà”, “mollo”, “porcherie” - anche Camus ne usava nei primi acconti, ambientati a Orano: c’era molta Italia in Tunisia e Algeria orientale prima dell’occupazione francese, e anche dopo), nei modi di dire, e naturalmente nelle tematiche. Una lingua che caratterizza molto la narrazione, in senso diverso, come di un gergo popolare, di mondi marginali, ma non l’impoverisce. Qui trasferisce nel deserto messicano i modi di dire e di fare del douar algerino: l’isolamento e insieme il radicamento, la coetaneità, il sentimento collettivo.
Con un finale che non è la fine - non si esce dalle mafie se non da morti (anche viventi, ora che vanno i pentiti). O dal male: le violenze subite non si rimarginano. 
Yasmina Khadra, Pour l’amour d’Elena, Pocket, pp. 302 € 8

domenica 28 aprile 2024

Ombre - 717

Confindustria trionfale: “Arriva il superbonus del lavoro: deduzione al 120 per cento per chi assume”. Anche al 130 “per specifiche categorie, i giovani, le donne e i soggetti già beneficiari del reddito di cittadinanza”. Sembra un’economia dei puffi, fare impresa (assumere un rischio) e andare in credito d’imposta, ma non lo è. E non è che non si sappia, poiché si naviga sulla voragine aperta dal 110 edilizio. Ma nessuna obiezione: non si premia più il buongoverno, si premia che ha la pensata più assurda – “Quos vult Iupiter perdere, dementat prius”, folli per essere già stati lasciati da Dio.
 
Si dimenticano per la Liberazione la chiesa e gli americani. Non è una novità quest’anno, è sempre stato così. È una festa di propaganda (degli avanzi della propaganda), non nazionale, non storica.
 
Che la Liberazione, “questa” Liberazione, non sia stata terapeutica, lenitrice, curatrice, come avrebbe dovuto, come è nella natura di una vera liberazione, si ha a Civitella in Val di Chiana, nell’aretino, dove solo quest’anno, a tre generazioni di distanza, le famiglie hanno smesso gli odi. Si è potuto passare sopra a una “liberazione” contestata da molte famiglie, quelle degli ostaggi trucidati, anche in Tribunale, in accanimenti giudiziari, contro i gappisti.
 
Allarme a tutta pagina “la Repubblica”: “Auto, Paolo Berlusconi apre la strada dell’Italia ai cinesi di Dongfeng”, di Df Italia, la società che vende le auto del fabbricante cinese - “che tratta con il governo per aprire una fabbrica”. Dei Berlusconi Paolo è uno dei tanti milanesi ricchi, che non contano nulla. Ma basta il nome, come nella pubblicità, per i lettori del giornale che fu di Scalfari.
Elkann, il nuovo padrone del giornale, chiude gli impianti Fiat ma continua a impedire che qualcun altro investa in Italia.
 
“Secondo Eurostat il debito pubblico italiano è cresciuto dal 2019 al ’23 del 18,8 per cento. Il testo dell’Europa ha registrato un + 27,8 per cento”. Si direbbe una buona notizia, ma ne parla solo il giornale “di settore”, “Il S ole 24 Ore”.
 
Cronache ampie ogni giorno su “Corriere della sera” e “la Repubblica” del processo che si tiene a New York contro Trump. Senza mai dire che la Procura che ha istruito il processo e il giudice che lo presiede sono Democratici, nominati partiticamente. E utilizzano procedure penali irrituali e anche illegali. Trump è inverosimile come presidente. Ma questi suoi giudici? E i giornali italiani  “d’informazione”?
 
Lo stesso giorno in cui l’“inchiesta internazionale indipendente” dice che “non c’è nessuna prova  delle accuse israeliane all’Unrwa” di proteggere nei suoi uffici e dispensari a Gaza i terroristi, si dimettono il capo dello spionaggio israeliano e il comandante dell’esercito in Cisgiordania, dove avevano concentrato truppe e spie a sostegno dei coloni che ne cacciano i palestinesi. Duecento giorni dopo il 7 ottobre. È chiaro che in Israele la democrazia non c’è, o non funziona. C’è un regime? Quello dei coloni sicuramente sì.
 
Si sono trovate a Gaza fosse comuni, con centinaia di cadaveri. Donne per lo più, bambini e vecchi. Attorno ai due ospedali distrutti dall’esercito israeliano. Distrutti con applicazione, pezzo dopo pezzo. Roba da non credere – manca solo il forno crematorio.
 
Schlein rinuncia al suo nome nel logo elettorale. Come una concessione, mentre era un segno chiaro, e un errore – personalizzare la sinistra. Non rinuncia a Berlinguer nel tesserino di partito. Ma ormai il Pd non è un partito di opinione?
 
“Gorbaciov padre dell’Europa”, lo incorona “La Lettura”, il settimanale del “Corriere della sera”, sulla base degli appunti presi da Andrea Manzella al seguito di De Mita in visita a Mosca il 14 ottobre 1988 (quando De Mita “dimise” l’ambasciatore Sergio Romano): “Il leader della perestrojka parla di «casa comune» e di un continente che non può espellere l’Urss”. Cosa è successo dopo, chi ha espulso la Russia?
 
“Quasi la metà, il 41,9 per cento, dei lavoratori dei supermercati e degli ipermercati del Lazio nn riceve la paga regolare. E se si tratta di donne la percentuale sale al 61,4 per cento”, etc. Uno degli aspetti misurabili, tra i tanti, della devastazione introdotta con la grande distribuzione dall’ex Pci di Bersani venticinque anni fa - le “liberalizzazioni” per cui lo stesso è tuttora celebrato padre morale della sinistra. Con l’assurda crociata contro i negozi di prossimità, a qualità e prezzo controllabili, per il consumismo più assurdo, e inflazionistico.

Perché in Italia non c’è stato il socialismo

Perché l’Italia è l’unico pase europeo a non avere sperimentato la socialdemocrazia al governo – rispetto a Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Scandinavia, Olanda, Belgio, Portogallo….? Perché negli anni in cui la socialdemocrazia era maggioritaria, si infangò nel “massimalismo”. Nella velleità di riprodurre in Italia la rivoluzione bolscevica subito dopo il 1918, che si risolse nello scontro perdente con l’ex socialista (ex massimalista, anche lui) Mussolini. E nell’Italia repubblicana per analoghe preclusioni del Pci.
Questo Niceforo non lo dice - e non c’è storia che lo registri: non si può ancora fare la storia dell’Italia repubblicana, seppure già molto lunga. Ma lo spiega la storia della pubblicazione della sua analisi.
Il libro che ora si pubblica è la tesi di laurea in Filosofia presentata dall’autore nell’ottobre del 1966 alla Statale di Milano, e non apprezzata dalla Commissione. “La maggior parte dei componenti della Commissione”, spiega l’autore, “a quel tempo sensibili all’egemonia culturale del PCI, giudicò negativamente la rivalutazione, contenuta nella tesi, dell’interpretazione della rivoluzione russa allora sviluppata dai socialisti riformisti (in particolare da Filippo Turati e Rodolfo Mondolfo) e la parallela analisi critica di quella fornita dai socialisti «rivoluzionari» (in particolare da Antonio Gramsci), negli anni 1917-1919”.
Erano gli anni in cui il Pci post-Togliatti cercava nuovo spessore in Gramsci, nel “rilancio del pensiero di Gramsci, attraverso la rilettura dei Quaderni del carcere, volta a dare basi teoriche alla togliattiana «via italiana» al socialismo”. Che di lì a poco finirà nell’infausto, per il Pci e per la sinistra italiana nel suo complesso, “compromesso storico” – di cui anche non si può fare la storia, e nemmeno una valutazione politica.
Orazio Niceforo, I socialisti italiani e la rivoluzione bolscevica (1917-1919)
, Biblion, pp. 176 € 18