(Il 27 marzo 2006 Anti.it recava la recensione del “Caimano”, che riproponiamo per l’uscita del film in edicola. Nello stesso anno si celebrava in Francia, in forma teatrale, con lo stesso titolo, l’assassinio della moglie di Althusser, a opera dello stesso filosofo, il 16 novembre 1980, per strangolamento – un assassinio lento, di cui il filosofo non si pentirà, avvalendosi della temporanea infermità mentale, nemmeno nella successiva autobiografia, le cui ragioni la pièce sposa).
La storia di un disamore, irrimediabile dunque, sullo sfondo di un film da fare, assolutamente, del cinema che è vita – è il lavoro del cineasta, come i conti sono il lavoro del manager, i clienti del medico, eccetera, quelli che non hanno altri orizzonti. È presentato come un film politico, contro Berlusconi, ma questo è l’interesse del produttore, di vendere il film subito ai dieci o venti milioni di italiani che odiano e invidiano Berlusconi, sfruttando la “par condicio” che nella campagna elettorale zittisce gli altri mezzi di comunicazione.
Moretti naturalmente usa Berlusconi in tutte le salse, perché dovrebbe risparmiarsi di criticarlo? Tanto più che “rende” spettacolarmente, l’unico politico su cui si possano fare film, gag e libri, in quantità perfino spropositata - almeno una cinquantina di libri ingombrano le pur spaziose librerie Feltrinelli. Ma, non innocentemente, lo fa in modo ambiguo - anzi celebratorio nei newsreel europei, e nell’allocuzione finale che a se stesso ha riservato. In modo anzi berlusconiano. Uscire in 950 copie, per aggredire il pubblico, a una settimana del voto, per eludere la par condicio, non è il massimo dell’onestà e anzi, depurato di un inesistente “dovere” politico, un atto di furbizia, che il film non dissolve(un cinepanettone esce in 250 copie, un blockbuster Usa in 300 copie...): debole come storia e debole come pamphlet. Insomma, non ce ne liberiamo, Berlusconi cerca ancora il suo assassino. Moretti, che in “Aprile” aveva mostrato un Berlusconi da sogno, quale a lui stesso piace rappresentarsi, sempre dicendo “qualcosa di sinistra”, ovvio, qui gli fa un monumento, nel mentre che, “da sinistra”, ovvio, lo attacca.
La verità è che Moretti non ne può più della politica. Non da ora. È questo che lo fa un fratello: la critica affettuosa – lo sberleffo, il contropelo – ai tic culturali e sociali della sinistra intelligente, che in questi vent’anni di post-comunismo si ritiene soprattutto politicizzata. Ha fama di antipatico, ma sembra stanco, i tic lo stufano e non lo fanno ridere: culinaria, enologia, gaytudine, lo straniero che ha sempre ragione, e non Montaigne o Benjamin ma un polacco grasso, produttore di film porno, le gag sono più feroci che divertite. Compresa l’isteria del “fare il film” – se non è l’incredibile Orlando che ne ribalta la lettura. Alla Fellini ultima maniera, quando non riusciva a esprimersi tanto era arrabbiato, che Moretti inopinatamente cita, con la barca per la città, il set sul mare. Malinconia su tutta la linea: politica, affetti, creatività.
Tutto molto “morettiano” – l’ambiguità è la sua cifra – non fosse per due flaps. Uno negativo: la furbata del film il 24 marzo in campagna elettorale in mille copie non è leale, con gli spettatori e gli altri autori, ed è immorale, sfruttare la legge del politicamente corretto che ha dimenticato il cinema per fare soldi. Del berlusconismo Moretti sa e mostra che è una creazione non tanto di Berlusconi quanto della società di questi quindici anni, della “rivoluzione” di Mani Pulite, che ha liberato gli affari: questa non è una debolezza, semmai va a credito di Moretti, che si dimostra più capace di tanta scienza politica, ma fa paura. Moretti, o dell’ambiguità, ogni tanto fa paura. Non lui, il pubblico: che un pubblico sterminato ne prenda per buona la verità cosmetica, di superficie.
Volendone fare una tragedia, è il “Salo Sade” del perbenismo, o politicamente corretto. Senza la bellezza dei corpi, purtroppo, e anzi spesso sudaticcio, per il personaggio Orlando e non solo. La hantise di Pasolini era il potere che si impradoniva del sesso, quella di Moretti è sempre il potere, padrone della comunicazione. Moretti non ha mai preteso di fare tragedie, solo commediole. Ma è oberato da una vis tragica. Con un problema: chi ha più potere sui media, Berlusconi o lui (e chi non mente a se stesso)? Novecentocinquanta copie sono un record mondiale, e quindi un grosso investimento politico. Ma questo va dichiarato, barare non è di sinistra, non dovrebbe.
giovedì 20 settembre 2007
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