La scrittura si risolve, in questo romanzo d’esordio, nella “scena”, in una rappresentazione: da una presumibile esperienza di vita, di fatti avvenuti e persone di carne, sia pure delle cronache, Barresi estrae i fantasmi. Anche la tela di fondo su cui muove le anime smarrite, benché reale (il tribunale, la scuola, le feste, le tradizioni), è ectoplasmica, e contribuisce a una sorta di ghost story. Che è benevola, in contrasto col genere, per un desiderio di bontà, per l’emersione dell’io narrante nel vago mondo delle pulsioni. O per un bisogno di ancoraggio politicamente corretto in una realtà che s’indovina degradata da multiple violenze. In questo impegno svanisce anche il concreto, la vita relazionale, il lavoro, gli affetti familiari, il rapporto col territorio e la sua “natura” (la storia, le tradizioni, la mentalità), e la stessa violenza, che è detta anziché rappresentata, e anzi data per scontata.
Un caso per molti aspetti straordinario, tanto più in un'opera prima, di costruzione retorica di pulsioni fantastiche. Di rappresentazione, in unità di tempo e luogo, col prima e il dopo, le coordinate, i personaggi in scena, e col ricorso ai generi in voga, il giudiziario, il poliziesco, il civile, di un flusso di coscienza analitico, innocente.
Maria Barresi, Non dire niente, Solfanelli, pp.185, euro 12
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