Curioso libro, dove, malgrado il dettaglio, ripetuto, insistito, monotono, prevale il non detto. Di una situazione peraltro che nel 1946, e ancora nel 1947, veniva detta tranquillamente di guerra civile. Senza contare che i vinti la loro vittoria l'hanno avuta, eccome, nei primi anni Cinquanta. Quando i peggiori arnesi repubblichini si godevano l'impunità dell'amnistia, mentre fioccavano le condanne di ex partigiani per reati comuni. Al punto che Giuliano Vassalli dovette proporre provocatoriamente un "delitto di partecipazione alla Resistenza", analogo a quello di "collaborazionismo fascista", per allargare anche ai partigiani l'amnistia per "reati connessi".
Il dettaglio non è contestualizzato. Non c’è la politica: le elezioni, le formazioni dei partiti. E solo qua e là, ritualmente, si contrappunta la vivenza con la menzione delle sevizie e degli eccidi contro i partigiani. Lo stesso dettaglio spesso è trascurato, in troppi episodi congestionati – molti dei nomi citati hanno una storia. È evidente il desiderio di segnalare le responsabilità del Pci. Ma qui con la tecnica del cerchiobottismo: Togliatti non sapeva. Ma se i comunisti venivano rifugiati a migliaia a Praga e in Jugoslavia, per evitare i processi, come faceva Togliatti a non sapere?
Pansa si è assunto un compito coraggioso, per il quale è oggetto di astio, e anche di censure. Ma anche per questo, per le censure, dovrebbe essere conseguente. Non da storico, la sua non è storia. Ma il compito che si è assunto non è da storico, è un impegno civile di divulgazione per la verità. È in questo dichiarato, e fa male che l’onestà sia rifiutata – rifiutarlo come sorico è una scusa. Sono ancora vivi quelli che hanno perduto padri, fratelli, zii, e qualcuno anche la madre, per la “giustizia del popolo”. Molti a destra, ma molti anche a sinistra, non è questo l’ostacolo alla verità. Ma tanto più allora bisognerebbe andare alla radice del problema: che non è il numero dei morti, in una guerra civile i morti sono sempre troppi e senza giustificazione, ma proprio la mancanza della verità. La politica del linguaggio doppio, della ipocrisia, con tutta la sua ipocrita durezza.
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