lunedì 8 ottobre 2007

Ancora uno sforzo, al ribasso, e Az sarà padana

Il peggio di tutto all’Alitalia sono i venditori. Non Tps, che non sa vendere nemmeno se stesso. Ma Prodi, che l’azienda ha avuto in mano per vent’anni, e ora fa di tutto per svendere – la "prodiana" registrerà un giorno che da manager non salvò una sola azienda del suo ricchissimo parco all’Iri, e tutte le svendette, Comit, Credit, Cirio, Gs, Italsider, eccetera. Dieci anni fa, al tornante cruciale, quando tutte le aviolinee europee furono ricapitalizzate fortemente dai relativi Stati, Prodi si arroccò dietro il solito vigilante europeo per dare all’Alitalia un settimo di quanto Air France ebbe dal suo governo. E non contento indebolì anche l’unico manager capace che l’Alitalia abbia avuto dopo Nordio, Domenico Cempella, che già dieci anni fa aveva individuato la via maestra nell’alleanza-fusione europea. Il liquidatore è ora fortemente impegnato a dare il colpo finale all’azienda, l’unica industria, a parte la Rai, nel territorio del suo amico Veltroni. Ci riuscirà? L’obiettivo non è il fallimento, naturalmente, solo un indebolimento che consenta di venderla a poco, a Air France ma con un amico italiano alle costole. Che non è l’Air One di Toto.
Az ha in corpo valore aggiunto che, in piccolo, è tuttavia ben superiore agli utili che i maggiori possono estrarre dal traffico, la British, la Lufthansa e la stessa Air France, palesemente troppo estesa. Basterebbe il Milano-Roma per fare ricca qualsiasi azienda. E poi c’è da vendere l’Italia, che non è difficile. Anche se Alitalia ha tradizione consolidata e molto immaginifica di soperchierie a danno dei viaggiatori incalliti: tariffe capestro, overbooking, endorsement impossibili, nessuna assistenza ai viaggiaori, in aeroporto e fuori, il ricalcolo interminabile della tariffa, magari di un dollaro su cinquecento, nessun follow-up, nessuna fidelizzazione, e perfino un sito web, negli ultimi dieci anni, quando tutti volano via internet, mai aggiornato e mai efficiente. Ha il punto debole, forse per analogia con la sua situazione politica, proprio nelle vendite: in teoria non è concepibile un’azienda che sia così incapace di vendere i propri prodotti come l’Alitalia, promozioni, pacchetti, sconti, compri oggi paghi domani, tariffe modulate, il marketing è inventivo, ma non per Alitalia. L’azienda ha insomma le sue colpe, che s’innestano direttamente sul suo genos originario, quando l’arcifascista (ex) Bruno Velani la creò come un monumento d’italianità, bello, grande, sicuro, ma non benevoente, pieno di se stesso. L’italianità è ora l’ultimo sgambetto all’onore dell’azienda, e alle tasche degli azionisti, Tesoro compreso: bisogna che valga molto poco perché la cordata padana cui sta lavorando il fido Rovati possa comprarsela senza sborsare.
L’Alitalia è la più grande azienda di Roma, più della Rai. Ha 36 mila fornitori. Fa (faceva, e continua a finanziare) l’addestramento dei piloti. Nonché, fin dall’età scolare, la formazione dei tecnici. Ha metà del traffico italiano. Ha un settore tecnico-manutentivo apprezzato e in ottima posizione logistica al centro del Mediterraneo, in grado se valorizzato di servire le grandi aviolinee del Medio Oriente e dell’Asia, e che già guadagna – Lufthansa fa i guadagni in questa metà dell’azienda. Liberandosi di Malpensa, risparmia 50 milioni di maggiori costi. Con la giusta dose di capitale si libererebbe del debito, che comunque è solo a un miliardo. Ma tutto questo dopo, dopo la cessione di favore.

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