giovedì 8 novembre 2007

Il mondo com'è

astolfo

Cina – Lo sfruttamento organizzato dal comunismo sembra uno slogan da guerra fredda ed è il modello Cina. Ora che organizza, nella sede storica del Pc a Shangai, dove il Partito fu fondato nel 1921, incontri il sabato sera tra venti milionari, che pagano diecimila dollari l’uno, e trenta belle ragazze che a questo scopo hanno vinto uno speciale concorso. È il vero lato oscuro, minaccioso, della Cina: che un governo comunista organizzi lo sfruttamento. Più della dittatura, del carcere politico, della pena di morte facile.
Si chiama capitalismo, ma raramente in Cina lo è. Le condizioni di lavoro sono prevalentemente servili, per igiene, orari, carichi di lavoro, sicurezza nel lavoro e del posto, diritti sindacali, nell’edilizia, nel lavoro a façon e in tutto il conto terzi, nell’alimentare. Il modello Hong Kong, o della pelletteria a Firenze, governato dal Partito comunista.
Lo sfruttamento è il piede d’argilla del gigante Cina. Basta niente perché si sbricioli, il gigante e il comunismo.

Elite – Deve avere funzione pedagogica. Se la classe dirigente è specchio del paese, la teoria dell’élite è sfondata. Mastella, il “Corriere della sera”, Bazoli devono dare buoni insegnamenti e indicare buone strade: se sono il popolo bue ne facciamo a meno.
La “crisi” perdurante dell’Italia, la carie infinita della seconda Repubblica, le supplenze dei giudici, dei giornalisti, dei banchieri, dei mafiosi, tutto questo non è colpa del popolo ma della classe dirigente. Il popolo è colpevole di non liberarsene, ma che può fare? Non può ammazzarli tutti, leggere altri giornali, cambiare banca. Ci ha tentato, ma poi deve scegliere nel quadro di un’offerta che gli viene presentata sempre peggiorata.

Occidente – È, si vuole, diritti civili e diritti umani. Anche di tolleranza. In questo senso è – può essere – percepito in altre culture e in altri sistemi politici: a lungo per i paesi comunisti dell’Est, e per i latinoamericani, gli africani, gli asiatici. Da tempo, bisogna anche dire, non aggredisce più: non sono più i cristiani che ammazzano gli infedeli, o gli europei che ammazzano gli africani o gli asiatici. Anche se rimane da precisare la natura delle guerre occidentali di liberazione, alcune di significato coerente, in Europa, in Corea, altre di significato incerto, in Vietnam, in Iraq, nello stesso Afghanistan, nonché la natura e il ruolo di Israele, che è Occidente a tutti gli effetti pratici.
Il rifiuto dell’Occidente avviene sulla stessa base, dei diritti di uguaglianza, e perfino dei diritti umani. Non però per una diversa concezione dei valori. Neppure in nome del relativismo dei valori – si “giustifica” perfino il cannibalismo. Ma per un rifiuto preliminare: l’affermazione del proprio essere, anche nel confronto e con l’esclusione. Che si vuole naturalmente diritto a essere se stessi, e a combattere ogni forma d’imperialismo, sia pure sotto la forma dei diritti d’uguaglianza, ma è l’ideologia del nazionalismo, ben europea, fino all’irredentismo: realizzarsi nella guerra. Il fondamentalismo, per ogni altro verso insensato, nel bestialismo familiare, nel terrorismo, nel martirio di massa, nella repressione fine a se stessa, su questa base è diventato – sta diventando – punto di riferimento nei paesi islamici anche dell’intellettualità laica, che del fondamentalismo è il primo, e realistico, obiettivo: per una forma cioè d’intossicazione occidentale.
Il confronto può sembrare asimmetrico, tra un Occidente grande e potente e un piccolo fondamentalismo. Ma s’inscrive in una tendenza ormai consolidata che vede l’Occidente discorde e frammentato, non più il monolite del Novecento - dei conflitti mondiali, dell’anticomunismo. L’Europa non condivide e non accetta la supremazia americana. Non tanto per il vetero antiamericanismo della guerra fredda, quanto per la vaga ma persistente automutilazione che persegue, della politica ridotta a commercio, e per l’irenismo (contro gli eserciti, contro la pena di morte, contro ogni pena, per il relativismo culturale). Gli Stati Uniti, ancora più distintamente, da un trentennio, dal cosiddetto pentapolarismo di Kissinger, sempre meno prendono l’Europa in considerazione nelle loro decisioni, orientati a una politica di potenza nella globalizzazione. La globalizzazione è opera americana, e vede gli Stati Uniti interessati e coinvolti più nell’Oceano Indiano e nel Pacifico che sull’Atlantico. Le stesse guerre che gli Stati Uniti hanno portato nel Medio Oriente, in Afghanistan e Iraq, vanno viste col Crescente rivolto a Oriente, sono il segnale della potenza americana per l’Asia, dalla penisola arabica al Pakistan e all’Indonesia, e non una barriera a difesa dell’Europa. Anche il multiculturalismo soft americano, inquadrato cioè in un concetto della nazione solido, concorre alla diseuropeizzazione dell’America.

Resistenza - Entrano nella resistenza i repubblichini, a opera di studiosi e alte autorità dello Stato ex Pci, ma non i liberali: Pizzoni, Brosio, Montezemolo, Cefalonia, Porzus. La dialettica destra-sinistra è in realtà un’altalena: l’una tiene l’altra. Resistono alla libertà.

astolfo@gmail.com

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