Yasmina Khadra, “Le sirene di Bagdad”, Mondadori, pp.278, € 15,50
lunedì 19 novembre 2007
Khadra e le sirene di Khomeini
L’imperialismo occidentale è agli occhi dell’islam soprattutto dinformazione, “diabolizzazione dei musulmani” (p.260). Questo è “proprio arabo”, direbbe un occidentale dell’informazione avvertito: è cioè reazione istintiva, incapacità di analisi. La caduta arriva alla fine, ma è attesa lungo tutte le trecento pagine. Yasmina Khadra, l’ex colonnello algerino Mohammed Moulessehoul, unisce solitamente suspense, scrittura (c’è tutta Beirut, città non semplice, nelle prima cinque righe di queste “Sirene”) e un’ambientazione durevole. Pur lavorando sull’attualità. Sa cioè cosa sta succedendo. A Bagdad sembra essersi smarrito: della trilogia mediorientale, “Le rondini di Kabul”, con racconti-nel-racconto terrificanti, e il riuscitissimo “L’attentato”, sulla Palestina, “Le sirene di Bagdad” vira all’apologo, di trama inconsistente e caratteri solo a tratti sbalzati, salvandosi nell’anti-bushismo. Di maniera. Di maniera francese, cioè superficiale, mentre il bushismo ha argomenti solidi e andrebbe altrimenti contestato.
Detto della lettura, vale la pena d’intrattenersi con l’autore, che ha doppia cultura e non la rinnega, occidentale e islamica, sugli argomenti. Che poi è uno solo: che ce ne facciamo di questo Occidente? Ecco, l’argomento è mal posto, l’Occidente sembra sulla difensiva ma non lo è, compresi i geremianti europei.
A p. 286: “L’Occidente è fuori strada. L’Occidente è sorpassato dagli eventi. La partita si gioca tra le élites musulmane”. La verità c’è tutta. Ma è una falsa impressione, il discorso si conclude con “l’Occidente non è moderno” e “l’Occidente è divenuto senile, bisogna eutanasiarlo”. Corna.
Nella globalizzazione l’islam è rimasto molto più indietro di quanto già non fosse, dietro il grande resto dell’Asia e la stessa America Latina del populismo marcio, attardato dal subdolo radicalismo acceso da Khomeini. La verità di questo rabbia è che ha origini dubbie: nel nazionalismo iraniano, sebbene ammantato della sharià, e nell’uso che gli Stati Uniti e i loro alleati mediorientali ne hanno fatto in funzione anticomunista in Pakistan e in Afghanistan. L’islam radicale è mediorientale. E resta intrappolato nelle mine mediorientali: i palestinesi e l’iranismo, il disegno neo imperiale dell’Iran, che dallo scià a Khomeini non è cambiato di una virgola.
Uno del Maghreb trova nel Mashrek tutto ciò che si è lasciato dietro, o almeno spera, da un paio di generazioni: la tribù, che può essere nefasta, il sospetto, la durezza (in società, in famiglia, al potere), la corruzione dello spirito, l’isolamento, il provincialismo revanscista, di chi guarda il mondo dal basso. Sulla diabolizzazione dei musulmani nessuno può competere coi musulmani, da Al Jazira in giù, anche quando non si occupano dell’Occidente. Mentre se l’Occidente sfrutta i musulmani non è certo attraverso l’informazione. Il problema dell’Occidente è che, forse non include abbastanza, ma è il solo mondo e la sola cultura che include.
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