martedì 20 novembre 2007

La malinconia dell'editore Caproni

Che si deve fare per vivere. Nell’immaginario degli scrittori, e magari dei lettori, che sono malgrado tutto milioni, quello dell’editore è nobile mestiere, si sarebbe detto quando c’era la nobiltà: possiede l’arte della grafica, fiuta i libri buoni, e cerimonioso li sa vendere. Nella realtà è invece un mestiere aziendale, frammentato in minute incombenze, e più di ogni altro soggetto a insoddisfazione –perché più alte erano le attese. L’editore è sono un redattore, un impiegato d’azienda. Accanto al quale resiste, seppure marginale, il consulente: lo specialista di quel ramo d’azienda. Come la comunità scientifica, anche quella editoriale ha un apparto di referees, tre in genere per ogni testo, gente del mestiere qualificata che esprime un giudizio di pubblicabilità. E tuttavia mai ha, come uno s’aspetterebbe, la gioia della scoperta del talento.
Vite grigie, seppellite solitamente dai manoscritti, che nessuno legge, questa è del resto la vulgata del personaggio redattore. Che l’onesto Caproni, lettore sicuramente speciale, manifesta anch’egli in questi schede di lettura redatte quarant’anni fa per la Rizzoli. Morselli è, anche per lui, impubblicabile – e pazienza, il testo in lettura non è quello che si dice un capolavoro. Ma un ottimo Maurensig, il più interessante, a parte Sgorlon, di queste 54 schede, è “non interamente privo d’interesse” – la triplice negazione con la quale i tribunali italiano sogliono accertare la verità, che non si capisce mai cosa voglia dire. Così si scoprivano i “nuovi narratori”, o i “narratori italiani”. Morselli, anzi, è approvato, ma infine scartato perché “meridionale” – meridionale è il narrante: “L’autore non manca di un certo suo humour – rivolto spesso anche contro se stesso, contro la sua natura di meridionale, p.e.”. Il capolavoro di questi anni di scouting è Nello Saito, “

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