C’è una convergenza tacita tra Geronzi e Bazoli nella questione Generali di cui il fondo Algebris è stato l’innesco. Il primo come maggiore azionista di Generali, il secondo come socio, nel capitale di Intesa e nella bancassurance. Con essi è dichiaratamente il presidente della Fondazione Cariverona Biasi, maggiore azionista di Unicredit. Il progetto è di portare Geronzi, gradualmente, al vertice di Generali. Non Biasi, che ci aveva tentato cinque anni fa e non può più rientrare in corsa. Geronzi è il presidente in pectore in quanto meno schierato politicamente di Bazoli – salvò Berlusconi dal crac nel 1994 e tuttora è in buoni rapporti col leader della destra. Non subito. Un primo passo è stato lo stesso diniego di Draghi a Geronzi di assumere cariche in una controllata di Mediobanca: il diniego è servito a mettere in pista la candidatura. Un secondo passo è stata la fibrillazione di Bernheim. Un terzo è la conferma degli ottimi rapporti di Geronzi con i francesi in Mediobanca.
È un progetto politico più che di affari, nel senso che completa la conquista del mercato da parte della finanza confessionale: Generali è l’ultimo baluardo laico. Singolarmente isolato rimane Profumo. Il superbanchiere resta incontestato in virtù dei suoi successi a Unicredit, ma, già diessino e ora veltroniano professo, è tenuto accuratamente fuori da Generali dalla triangolazione Geronzi-Bazoli-Biasi.
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