Giuseppe Leuzzi
Ci resta, a noi del Sud, quello che a Camus restava già nel 1954, nell’“Estate”, a Tipasa, la spiaggia di Algeri: “La lunga rivendicazione della giustizia consuma l’amore che pure l’ha fatta nascere. Nel clamore in cui viviamo l’amore è impossibile e la giustizia non basta. Per questo l’Europa odia il giorno e non sa che opporre l’ingiustizia a se stessa. Ma per impedire che la giustizia si racornisse, bel frutto arancio che non contiene che una polpa amara e secca, riscoprivo a Tipasa che bisogna conservare intatte in sé una freschezza, una fonte di gioia, amare il giorno che sfugge all’ingiustizia, e tornare alla lotta con questa luce riconquistata. Ritrovavo qui la vecchia bellezza, un cielo giovane, e misuravo la mia fortuna”.
Prefazio direbbe: “Qua si campa d’aria”.
È ricorrente negli scrittori meridionali, anche in Sciascia e Camilleri, di forte coscienza civile, la distinzione tra vecchia e nuova mafia. E dell’“ominità”, o altrettali, di valori forti che avrebbero pervaso i vecchi mafiosi.
Non è vero niente. È solo un segno del perdurante galantomismo. Il galantuomo non è stato distrutto da Salvemini, prospera sempre nelle forme dell’amicizia, del rispetto, dell’influenza, anche evidentemente tra i grandi letterati. Non ci sono, e non ci sono stati, mafiosi retti, timorati, La mafia è un fenomeno di anarchismo che in parte risponde a esperienze storiche, e forse a “caratteri nazionali”, ma soprattutto è alimentato dalla stessa mafia. Dalla criminalità quando non è perseguita. È una sfida contro tutti – che inevitabilmente, dopo i tanti lutti che provoca, finisce nel nulla.
Il vecchio mafioso poteva anche cercare una sponda con i notabili (possidenti, giudici, avvocati, medici, mestri) ma ai fini del suo potere mafioso. Non amministrava giustizia, faceva favori. Non era maestro di saggezza Non toglieva ai ricchi per dare ai poveri. Non ricostituiva l’imene delle ragazze disonorate, al massimo imponeva matrimoni inutili. Non sparava col kalashnikov, ma col coltello dava non meno colpi. Il che, se non altro, richiede più cattiveria.
È sempre efficace dire negro al negro. Per una volta Sartre è stato geniale, che ha immaginato un razzismo anti-razzista.
L’ultimo rapito dell’Aspromonte, Alessandra Sgarella, ne è uscita combattiva, i rapitori definendo “scarsamente professionali”. Ecco, che ci voleva?
Nel 1948, o 1949, Montanelli creò il Mezzogiorno, descrivendo – trascrivendo a suo dire – il decalogo per l’uso della tazza del cesso nell’albergo di Crotone. Punto forte: evitare di sedersi sulla tazza.
C’era nei regolamenti dei lager: evitare di sedersi sulla tazza (a p. 112 di Beccaria-Rolfi-Bruzzone, “Le donne di Ravensbrück”). Ma anche stando con i piedi sulla tazza si poteva essere puniti. Le SS punivano chi volevano.
Montanelli non era un SS, era un plagiario e un pulcinella, ma ha determinato a Crotone, dove forse non era stato, il destino dei meridionali nella pubblicistica sul Sud, dall’emerito Bocca al superpoliziotto Dalla Chiesa.
Milano. “La Lega non è propriamente milanese, ma essendo Milano la capitale naturale del Nord, si è rapidamente radicata nella città”, eleggendosi un sindaco leghista. “Anche Mani pulite è nata a Milano. E non si è trattato solo di un fatto giudiziario, ma di un grande sommovimento popolare. La forza di Di Pietro non dipendeva dalla legge, ma dall’appoggio dei milanesi che scrivevano dovunque “Grazie Di Pietro”. Di Pietro non era solo un magistrato, era un eroe popolare, un giustiziere, un capo carismatico. Infine da Milano è partita Forza Italia. In pochi mesi sono sorti dodicimila club. Dopo le elezioni del 27 marzo del 1994 Berlusconi andava al governo. Tre mesi dopo nelle elezioni europee otteneva il 30 per cento dei voti e tre milioni di preferenze personali”. Perché, si chiedeva Francesco Alberoni nel 1997, dopo aver fatto l’elenco dei primati di Milano, “a due mesi dalle elezioni del sindaco di Milano, c’è in giro tanta perplessità e, in alcuni casi, tanta indifferenza?” Perché Milano è frou-frou, ama rispondersi, è volubile, si stanca presto. No, perché Milano sfrutta l’Italia, la tiene col morso stretto: li fa, e li manda a Roma. A quindici anni data, la natura dei primati milanesi fa solo paura.
Sudismi\sadismi. “Gazzetta del Sud”, 21 dicembre 2005: “Ad Africo Nuovo, nell’istituto Serena Juventus, nei giorni scorsi è stato inaugurato il museo permanente costituito in onore di don Giovanni Stilo, voluto fortemente dai fratelli Rocco, Salvatore e Grazia nel sesto anniversario della scomparsa del sacerdote, molto noto non solo nel vasto comprensorio jonico. Erano presenti all’evento numerose autorità militari, religiose e civili. Il taglio del nastro è stato effettuato dal vescovo della diocesi di Locri-Gerace, mons. Giancarlo Maria Bregantini”. Serena Juventus è la scuola che don Stilo aveva fondato. Il don è dovuto al sacerdozio. La notorietà alla condanna nel 1986 per mafia a sette anni di carcere su accusa di un pentito, a numerose pubblicazioni ostili di parte ex Pci. Una per tutte per il prestigio, quella di Corrado Stajano, “Africo”, Einaudi, un grande inviato e un grande editore.
Il museo e la natalizia inaugurazione si fanno perché nel frattempo don Stilo è stato assolto con formula piena, e riconosciuto vittima di un errore giudiziario. Cioè, per intendersi, di una persecuzione. Ma nessun (ex) Pci se ne scusa, nemmeno in piccolo, o in privato. Anzi, a leggere Internet, per gli (ex) Pci questo prete è sempre l’emblema spregevole della mafia. La mala erba, come si suole dire, non muore mai.
La Calabria, con 52 mila ricoveri e interventi sanitari fuori regione ogni anno, è in rapporto agli abitanti la regione che più spende fuori i suoi soldi della sanità – ben più della Campania (61 mila viaggi della speranza) e della Sicilia (49 mila). La Lombardia, con 120 mila ricoveri da fuori regione, spiega anche così la sua posizione leader per reddito, rispetto all’ultima della graduatoria, la Calabria. Questa specie di sottosviluppo ha un solo nome, follia.
L’emigrazione sanitaria costa, in cifra, poco: 250 milioni l’anno, su una spesa sanitaria regionale di tre miliardi e mezzo. Non è la bilancia dei pagamenti che fa la differenza, quanto l’intelligenza: non riuscire a curarsi spendendo tre miliardi e mezzo l’anno.
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