Il "banchiere" affabile, o discreto e generoso: portato da Geronzi e la Banca di Roma ai grandi affari, Giampaolo Angelucci assume la personalità del suo mentore e patrono sulla scena culturale romana, nella quale si presenta come suo erede. La contestazione all’“Unità”, ultima sua acquisizione, è destinata a rientrare di fronte alla nota ricetta: molti soldi e nessuna ingerenza. Così come è rientrata nel gruppo teatrale del Brancaccio, quando ha voluto sostituire Costanzo a Proietti. Ora resta in attesa del “Tempo”, se Bonifazi, dopo le tante ristrutturazioni, dovesse accorgersi che non sa fare l’editore.
Fra i nuovi imprenditori che Geronzi ha cercato di far crescere a Roma, Cragnotti, Sensi, Bonifazi, lo stesso Lotito, e i fratelli Toti, Angelucci figlio è il solo che dall'inizio è sembrato saper marciare sui suoi piedi. A parte il caso inimitabile di Gaetano Caltagirone. Come Geronzi, e a differenza dei nuovi imprenditori dell’editoria, i sardi Grauso e Zuncheddu, Giampaolo Angelucci si pone in posizione defilata: ogni giornale o istituzione confida a manager di orientamento omogeneo, Costanzo, la Marcucci, il direttore-editore Feltri. E sembra avere anch’egli mezzi illimitati. I giornali cui “ha dato una mano” hanno infatti tutti bisogno di soldi: “Libero”, “il Riformista” e ora “l’Unità”. Era questa la ricetta di Geronzi, farsi avanti nel momento del bisogno. Con la differenza, però, che Angelucci non ha una banca a disposizione.
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