Niente accordo Veltroni-Berlusconi, e quindi niente riforma elettorale. Il referendum è preferibile, anche se prevedibilmente passerà, e quindi porterà alla legge elettorale cui pensano i due leader politici. Una serie d’incontri e di colloqui tra editori e banchieri, su e giù tra l’Engadina e Milano, nel lungo week-end dell’Immacolata ha sancito l’affondamento dell’intesa tra Veltroni e Berlusconi. Tra le governabilità e l’anti-berlusconismo non c’è stata scelta: l’unanimità è stata senza discussione sull’isolamento del leader di Forza Italia, tra De Benedetti, Bazoli, Caltagirone e Montezemolo.
Contro Berlusconi si punterà su Alleanza Nazionale, che è il terzo partito, ed è capofila degli avversari della riforma elettorale. Il prevedibile sì al triplice quesito del referendum, che equivale al nocciolo della riforma cui pensano Veltroni e Berlusconi, non sposterebbe l’obiettivo della campagna: impedire l’incontro tra i due maggiori partiti. Quanto alla nuova legge elettorale essa potrà essere, dopo il referendum, anche diversa da come il referendum stesso la propone. Non è la prima volta, è stato osservato, che il referendum viene “interpretato”.
Il summit informale è maturato di fronte all’evidenza che la riforma elettorale proporzionale e maggioritaria cui lavorano Berlusconi e Veltroni ha una solida maggioranza in Parlamento, tra Pd, Forza Italia e Rifondazione. Questo significherebbe sancire il ruolo politico di Berlusconi, e questo i partecipanti alla consultazione hanno concordi deciso di prevenire: l’obiettivo è tenere Berlusconi isolato. Il referendum è ritenuto preferibile perché ha comunque l’effetto di prolungare di un anno la vita del Parlamento, e quindi di Prodi a capo del governo – di questo o di un altro. Il referendum sarebbe il mezzo migliore, è stato detto, di ritardare nuove elezioni, che in questo momento favorirebbero Berlusconi.
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