Non sono stati i voti di fiducia a ripetizione a indispettire il presidente della Repubblica, ma la superficialità del governo da una parte e dall’altra il fatto che esso non abbia più maggioranza politica. Sullo sfondo, forse, la delusione per l’impossibilità di far decollare un dialogo politico almeno sulle riforme. La constatazione cioè, forse più amara per un presidente che era fuori dai giochi di potere, che l’agenda politica non è dettata dalla politica ma da interessi potenti, attraverso intercettazioni, indiscrezioni, insinuazioni, e si risolve nel “non governo”.
La superficialità il presidente addebita ad Amato e Padoa Schioppa, che pure sono le presenze che danno più immagine al governo: per l’incredibile decreto deportazione, e per l’improntitudine dei licenziamenti e della nomine. Senza contare che le dichiarazioni in Parlamento del ministro dell’Economia contro l’ex generale Speciale potrebbero rivoltarglisi contro in sede penale, esorbitando dall’autonomia del giudizio politico. Contro i ministri però nessuno può agire (se non si dimettono, contro di loro si può solo fare una crisi di governo). Mentre sulla maggioranza parlamentare del governo il presidente ha degli obblighi, sui quali Napolitano ritiene di non potere più transigere: manca l’autonomia politica in Senato, dove il governo va avanti con i sei senatori a vita, e manca l’unità di indirizzo su temi politici qualificanti, lo Stato sociale e la laicità dello Stato.
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