“La crescita dell’economia rallenta, ma nel 2007 il reddito pro capite supererà quello dell’Italia, nel 2009 sarà pari a quello della Francia, e nel 2011 porterà la Spagna al livello della Germania”. Così il primo ministro Zapatero delineava a giugno in un’intervista al “Paìs” la situazione economica. Un’intervista lunga, in due puntate, seduta, da socialisti a socialista, ma leggibile: fattuale, senza retorica apparente. In un arengo politico moderno, concreto, conscio anche dei suoi limiti. Democratico, specie al raffronto con le agitazioni scomposte della politica in Italia, manifesto segno di ineffettualità.
Molte sono le riserve su Zapatero e la sua Spagna. Il sorpasso non c'è. Né in cifra assoluta, la Spagna ha un pil di poco della metà di quello italiano, né pro capite. E Zapatero sede su un boom immobiliare infido, gonfiato e non stabilizzato. Come l'occupazione: molti lavori sono ancora di sussistenza, la disoccupazione può saltare in ogni momento a cifre abnormi. Il boom è della speculazione, molto evidente: la Spagna costruisce più case che non l’Itaia, la Francia e la Germania insieme, quaranta milioni di abitanti contro duecento, case inutili, tanto per tenere su la partita di giro immobiliare, tra costruttori, agenti e banche. Il contrasto degli immigrati ha lati crudeli, perfino razzistici, col muro nel Marocco spagnolo e le mattanze alle Canarie. Mentre il laicismo è un anticlericalismo volgare, che copre peraltro un vuoto politico impressionante: la generazione socialista post-Felipe è singolarmente indigente, quella dei belli guaglioni, compresa la matura vice-presidente de la Vega. Imbarazzante: si può cambiare sesso con una telefonata in municipio. Ma è vero che la Spagna è alle calcagna dell'Italia, e che il fatto è straordinario.
La Spagna ha vinto la rincorsa in meno di quarant’anni, da quando Franco morente aprì alla modernizzazione cedendo il potere all’Opus Dei. Anni luce dietro l’Italia, che ereditava dal fascismo un paese infrastrutturato, e nel dopoguerra aveva beneficiato del Piano Marshall e del Mercato comune. Ma si è mossa con realismo, e senza segreti.
Il successo della rincorsa si apprezza di più al confronto con l’Italia, che invece ristagna da quindici anni. Effetto dei governi Ciampi, Dini e Prodi, che hanno mal preparato l’euro, senza pretendere il consolidamento del debito, che a questo punto non è più assorbibile. Di Berlusconi, che poteva riformare pensioni, sanità e pubblico impiego e non l’ha fatto. Del potere d’interdizione concesso agli interessi settoriali camuffati da “minoranze”. Ma è anche merito della Spagna, e in questo senso può essere confortante, è il successo di una democrazia.
La Spagna ha gli stessi problemi economici del resto d'Europa: la Cina, l'immigrazione, la precarietà, la caduta dei salari. Mentre i suoi problemi politici sono probabilmente ancora i più ardui: il separatismo radicale in Catalogna, nel Paese Basco e in Galizia, il terrorismo basco, l’incerta lealtà dei militari, tra i quali un golpe è stato tentato (Tejero). Ma è in politica che la differenza di stile con l’Italia più risalta.
La Spagna non ha il linguaggio doppio: non adotta condannati a morte negli Usa mentre vara un decreto di deportazione degli immigrati. Le Cortes sono un Parlamento e non un consesso di paglietta, che usa il decreto sulla deportazione per far passere i matrimoni omosessuali: se li autorizza, li chiama matrimoni omosessuali. C’è misura, e senso democratico dello Stato, non l’ambiguità della “rivoluzione italiana” (Mani Pulite), né delle migliaia di bombe che negli anni Settanta portarono al terrorismo - due eventi provocati che se fossero avvenuti in Sudamerica (ora non più in Spagna!) avremmo detto golpisti.
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