La giudice Forleo esce dal Csm apparentemente sola. E l’unanimità in effetti c’è stata, contro di lei: instabile, eccetera. Ma più peserà questa unanimità, in un covo smaliziato, per così dire, qual è il Csm, sul futuro del Partito democratico, anche se più su quello di D’Alema e della tecnostruttura dei vecchi Ds che su quello di Veltroni. Perché la Forleo viene cacciata da Milano per le intercettazioni, che sono state e sono patrimonio di certa sinistra ma non si devono applicare ai Ds, e perché lascia a Brescia sei ore di dichiarazioni su cui, malgrado la parola d’ordine del silenzio, non sarà facile non pettegolare.
Il fucile non appare puntato, malgrado lo spirito polemico, dalla stessa Forleo. La quale sembra trovare difficoltà alla discesa in campo politica: molti la vedono in An, ma non è possibile, osta il giudizio positivo sul terrorismo islamico. I suoi argomenti sono però ghiotta materia per gli amici di Veltroni nello stesso Partito democratico. Sui gruppetti politici della Procura di Milano. Sulle inchieste che d’improvviso si fermano, dopo un pranzo con D’Ambrosio, certo casualmente. Sul galantuomo Guido Rossi, che denuncia Unipol per l’affare Bnl e poi difende D’Alema. Sulle pressioni politiche, cioè diessine, sui magistrati. Rivelazioni che, è scommessa facile, sono solo all’inizio. Anche se nella fattispecie non ci sono intercettazioni: i magistrati si abbaiano molto ma non si mordono realmente.
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