Giuseppe Leuzzi
Antimafia. Un gentiluomo di Seminara recita in casa e in macchina, a beneficio delle microspie, la sceneggiata di come, spendendo il nome riverito di suo padre, sia riuscito a mettere pace tra i due clan mafiosi di San Luca in asperrima guerra. Non rischia nulla, solo di essere definito mafioso, ma la collocazione è da tempo acquisita e semmai si tratta di uscirne – ottenerne i benefici - con la collaborazione.
La sceneggiata ha parecchi buchi. Identifica San Luca con Polsi, mentre sono due località distinte e distanti. Propone una mediazione senza capo né coda. A clan ben più potenti, lontani ed estranei. Dei cui convitati, al pranzo della riconciliazione, dà i comunissimi cognomi. Beneficia della meraviglia del figlio, che il tragediatore s’è portato dietro, a tanti “nomi eccellenti”, ma l’ingenuità dell’adolescente non cancella il senso di falso dell’intercettazione. Il summit si celebra con un pranzo, almeno così pare, in cui ognuno paga per sé. Tutti sono contenti, ballano e saltano - "gli Strangio, i Pelle, i Giorgi e i Nirta" - e cantano "la canzone inno della Madonna della Montagna di Polsi". Per il gusto della sociologia, che affascina i pentiti, il superuomo di onore ha sbriciolato dall'inizio ogni sua autorità di mediatore: a San Luca è gente di polso, Seminara invece è "piena di porcherosi che rubano casa per casa”.
Un summit di mafia dove si paga il conto è da ridere. Mentre si sa che la 'ndrangheta purtroppo non è ridicola. L’intercettazione è però servita a mettere fuori causa il parroco di San Luca e il vescovo di Locri, e questo basta: non sentiremo più parlare di don Strangio e monsignor Bregantini. Opportunamente l’intercettato cita i due reverendi come testimoni del summit e della pace mafiosa, benedicenti – dicono pure “shalom!”. I due preti, che pure sono del fronte antimafia, evidentemente stanno sulle scatole a qualcuno dell’apparato repressivo.
È questa la lotta alla mafia in Calabria. È questo che vi fa più forte la mafia, la lotta alla mafia.
Spiegava un anno e mezzo fa al giornalista Peppe Racco del periodico calabrese “La Riviera” il magistrato Roberto Di Palma, Sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria: “Sono stato a Palmi nove anni e, per mio puro diletto, ho annotato i nomi dei magistrati che in quei nove anni sono arrivati e poi sono andati via. Circa 103 o 104”. A proposito di certezza della pena il dottor Di Palma portava l’esempio di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti: “Prima udienza a Palmi febbraio ’94. Oggi stiamo ancora celebrando il processo. I fatti sono accaduti nel 1990”.
Il giudice incute timore. Istintivamente, per il rispetto della giustizia. Che è il fondamento dell’umanità, l’ambizione della filosofia, l’oggetto del socialismo. Ma in realtà i giudici sono un’altra cosa: sono funzionari litigiosi. L’orizzonte hanno limitato, alla giurisprudenza e al leguleismo, l’argomentazione per se.
La vera questione morale è la stessa questione morale: per come viene posta cioè, per le sue finalità, peraltro non celate, e per come viene gestita. Sempre selettiva, quasi sempre intimidatoria, e mai risolutiva, tant’è vero che si aggrava.
La militanza non giustifica la discriminazione e la sopraffazione. La questione morale non peggiora per colpa del popolo bue, che non ne è coinvolto e poco ne sa, ma perché è perversa.
“Basta vivere qualche tempo in Sicilia per constatare che i legami di clan possono assorbire completamente i legami statali”. È un inciso in un’opera lutulenta, poco registrata, di Ernst Jünger, “Der Arbeiter”, § 77. Ma lo scrittore, che in Sicilia c’era stato, ha ragione. Lo Stato in Sicilia, fino al Sistema sanitario nazionale, era i carabinieri, scuola compresa. Poi, insieme con l’SSN poco meno di quarant’anni fa, lo Stato è diventato una cosa dovuta: il posto, l’assegno, l’appalto.
Dal Dominio all’Anarchia, direbbe Jünger: non c’è il passaggio intermedio, della Legge. Ma clan è la parola più appropriata della sintesi di Jünger, non si tratta solo di cosche e di mafie: il passaggio intermedio della Legge non c’è nemmeno a palazzo di Giustizia.
Osserva Nazzareno, a torto soprannominato lo Stolto: “C’era onestà, serietà, dignità. Ora anche il tempo è insofferente, le bestie, le piante: non sanno come rigirarsi”.
Sudismi\sadismi. 30 gennaio 2006. Si condannano a pene lievi, con tante scuse, o si assolvono, gli Ali Misbah, combattenti dichiarati di Al Qaeda, con tanto di arsenale in cantina, superconti in banca, batterie telefoniche. Quando non li si dichiarano resistenti. Non c’è verso che il terrorismo entri nel codice dei giudici italiani, perché essi sono “impegnati”, lavorano cioè per la giustizia contro lo sfruttamento. Ma se uno è meridionale basta niente, una semplice lettera anonima, per mandare in carcere, condannare, e comunque distruggere, per concorso esterno in associazione mafiosa in mancanza di meglio: gli stessi giudici giustizieri in questo caso sono inflessibili. Per la ragioni equivoche dell’antimperialismo, certo. Per il misoneismo della giustizia anche – nulla di più incartapecorito di un giudice in Italia: fra cent’anni condanneranno anch’essi i terroristi. Ma anche per un razzismo diffuso. Tra gli stessi giudici di estrazione meridionale: si fa carriera solo con i pregiudizi. La giustizia?
Si sarà processato Andreotti per “dimostrare” che non era colluso con la mafia, via Salvo Lima. Non vedeva e non sentiva. Anzi, non ha mai incontrato un mafioso, nemmeno accidentalmente.
La storia recente si può anche sintetizzare così. Partendo dalla stupida guerra di Palermo a Andreotti, per esempio. Con 120 mila carte. Che, ammettiamo che siano pagine, sono comunque più della Treccani, che nessuno ha mai letto né può leggere. A meno che non volessero erigergli un monumento.
Andreotti, essendo un politico, è andato a caccia di voti. Che sono buoni di chiunque, anche del diavolo. E i voti si trovano soprattutto in Sicilia e a Milano, dove ci sono più elettori. In Sicilia Andreotti ha trovato Lima, il voto già fatto. A Milano si è imbattuto in un fronte compatto, di no. E sì che ci ha tentato: con la chimica dei pareri di conformità, migliaia di miliardi regalati, con Sindona, con Stammati alla Commerciale al posto di Mattioli, con Ciarrapico mediatore. Finché non vi si è sciolta misteriosamente la Dc, con gli ometti di Mani Pulite, quando tutto si è saputo della tangente Enimont. Gestita da Bonifazi, imprenditore andreottiano. Ma pagata dal solito socialista, nella fattispecie uno specialissimo, Craxi, capro espiatorio della cattolicissima tragedia. Da cui il solo Andreotti è andato misteriosamente indenne. Dopo essere stato battuto, dalla Dc e da Craxi, nelle legittime aspirazioni presidenziali.
Pasolini è a Pescasseroli con Ninetto Davoli sedicenne, che per la prima volta vede la neve (“Empirismo eretico”, § “Appunti en poète per una linguistica marxista”). E il divertimento del ragazzo, “il Ninetto di adesso a Pescasseroli”, gli viene da collegare “al Ninetto della Calabria area-marginale e conservatrice della civiltà greca, al Ninetto pre-greco, puramente barbarico, che batte il tallone a terra come adesso i preistorici, nudi Denka del Sudan” - per Pasolini sempre la Calabria è Africa.
Si sa che Pasolini ha la tradizione in grande stima. Ma per gli sfigati, che vedeva primitivi. Pasolini aveva un senso molto vivo dell’altro, e molto riduttivo.
Croce e Giustino Fortunato Gramsci disse “i reazionari più operosi della penisola”. Voleva essere un’ingiuria ed è un complimento. Al confronto col Pci cioè, che al Sud ha portato solo propaganda, per una sorta di “voto di scambio” nazionale, non ha cresciuto nulla.
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