Vernon Lee anticipa Chatwin – per caso? - per molti aspetti: l’erraticità apparente e la costanza dei temi, gli scarti di scrittura (troncature, accensioni), lo sguardo della meraviglia, la lievità quale chiave ottima del viaggio. Questo libro di viaggi, in Italia, Francia, Germania, lo manifesta palese. Il legame è probabilmente diretto per il punto di vista dal di dentro, della storia, dei personaggi, dei luoghi, siano essi i più eccentrici (raramente nel caso della Lee) o distanti. Qui c’è anche Utz.
Suscitatrice al solito di sorprese nell’ordinario - in questa raccolta anche peggio, nel turismo - e sempre avanti, col suo Settecento, di qualche generazione (qui viaggia sempre con un’amica), Vernon Lee dà il senso, con la scrittura, di una vita aggraziata. Che forse invece è stata solitaria e sordida, isolata.
Vernon Lee, Genius Loci, Sellerio, pp.213, euro 9
sabato 20 ottobre 2007
Il no di Draghi proietta Geronzi verso Trieste
Generali deve restare territorio nullius, questo il senso del no di Draghi a Geronzi nel gruppo triestino. Per ora.
Il governatore è stato sollecitato in questo senso dal patron di Intesa, Bazoli, in colloqui nemmeno tanto riservati nel corso della settimana. Geronzi ambiva alla vice-presidenza di Generali in qualità di uomo Mediobanca, che quella posizione detiene col suo ex presidente Galateri, in quanto primo socio del gruppo assicurativo. Ma Geronzi non è Galateri: sta in Mediobanca come depositario della maggioranza relativa, di Unicredit-Capitalia, e in tale veste è stato visto anche da Trieste, oltre che da Bazoli. Il patron di Unicredit Profumo non ha aiutato l’impresa, dichiarando che le altre posizioni di potere di Unicredit-Capitalia saranno smobilitate, eccetto quelle necessarie a “garantire l’indipendenza di Generali”.
Visto in questi termini, il no preventivo di Draghi sarebbe per Geronzi un grosso smacco, insolito per uno navigato come l’ex patron di Capitalia, sempre estremamente prudente. Che tra l'altro ha aperto a Draghi la strada, altrimenti preclusa a doppia mandata, al vertice della Banca d'Italia. E con Bazoli, se non ha un rapporto di amicizia, ne ha però stretti sul piano della politica. Guardando la vicenda nell'insieme, la candidatura intempestiva di Geronzi e lo stesso no di Draghi servono in realtà a far nascere una candidatura Geronzi alla presidenza di Generali, non a una onorifica vice-presidenza. Nella logica del "se ne parli". Bernheim è avvisato.
Il governatore è stato sollecitato in questo senso dal patron di Intesa, Bazoli, in colloqui nemmeno tanto riservati nel corso della settimana. Geronzi ambiva alla vice-presidenza di Generali in qualità di uomo Mediobanca, che quella posizione detiene col suo ex presidente Galateri, in quanto primo socio del gruppo assicurativo. Ma Geronzi non è Galateri: sta in Mediobanca come depositario della maggioranza relativa, di Unicredit-Capitalia, e in tale veste è stato visto anche da Trieste, oltre che da Bazoli. Il patron di Unicredit Profumo non ha aiutato l’impresa, dichiarando che le altre posizioni di potere di Unicredit-Capitalia saranno smobilitate, eccetto quelle necessarie a “garantire l’indipendenza di Generali”.
Visto in questi termini, il no preventivo di Draghi sarebbe per Geronzi un grosso smacco, insolito per uno navigato come l’ex patron di Capitalia, sempre estremamente prudente. Che tra l'altro ha aperto a Draghi la strada, altrimenti preclusa a doppia mandata, al vertice della Banca d'Italia. E con Bazoli, se non ha un rapporto di amicizia, ne ha però stretti sul piano della politica. Guardando la vicenda nell'insieme, la candidatura intempestiva di Geronzi e lo stesso no di Draghi servono in realtà a far nascere una candidatura Geronzi alla presidenza di Generali, non a una onorifica vice-presidenza. Nella logica del "se ne parli". Bernheim è avvisato.
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (3)
Giuseppe Leuzzi
“Il paese primogenito” è per Ingeborg Bachmann la Calabria alle Castella: “Nel mio paese primogenito, nel Sud,\mi portai e trovai, impoverite e nude,\e sino alla cintola in mare,\città e castello… ”.
“Il mondo moderno è essenzialmente settentrionale. Meridionale invece era il mondo antico. Attività, potenza, idee in marcia, progresso: tutto nel mondo moderno si polarizza attorno alla parola “Settentrione”. Alberto Savinio, che nel 1948 era stato in viaggio elettorale in Calabria, ricavandone il non edificante “Partita rimandata. Diario calabrese”, pubblicò sul “Corriere della sera” il 2 gennaio 1951, dopo aver viaggiato negli Stati Uniti, l’elzeviro “La luce viene dal Sud”, che constata la prevalenza del Nord: a Nord tutto il buono, al Sud tutto il peggio. Ma poi nota che molti scappano al Sud: “località dell’Arkansas, della Louisiana, del Nuovo Messico, del Texas, povere e desolate fino a ieri, si vanno popolando rapidamente, acquistando ricchezza e splendore”. È un movimento accennato, di cui Savinio profetizza il boom. Perché ne intravede le ragioni: si fugge dalla fuga in avanti, dallo sconfinato, dall’illimitato, “ritornare al mondo antico, o euclideo, o meridionale, significa ritornare a un mondo le cui porte tutt’intorno sono chiuse, significa non più vivere nell’ossessione”. Analoga ripresa Savinio notava del cattolicesimo sul protestantesimo, “presso popolazioni prevalentemente protestanti”, come gli Stati Uniti e l’Olanda. Ma altrettanto certo si diceva del ritorno al Sud in Italia (“sempre gli italiani hanno preferito il pane di grano alla chimica, specie alla chimica mentale”), e qui si sbagliava.
Si va al Nord - si emigra - per lavoro, al Sud si scappa per piacere e scelta di vita.
E la mafia?
Il Sud è speciale per gli inviati. È l’esotico in lingua italiana. Anche per i giornali del Sud. Il lavoro nero è uguale dappertutto, nel Veneto come in Puglia: sfruttamento e cartoni. Ma in Puglia è scandaloso. Assassini efferati si commettono dappertutto, ma il sindaco di Brescia sospetta dei calabresi – ora si fanno pagare come i bresciani.
Il pizzo è eminentemente mafioso. È il segno della mafia, della protervia. Ma è il principio della concussione, così diffusa.
La concussione è una manifestazione del potere, non della società. È il termometro della degradazione del potere, sovrimposto alla società, in tutte le sue forme, non ne è espressione. È anche una concezione di vita, ma limitatamente: risponde a una delle forme dello Stato secondo Weber, lo Stato patrimoniale. Ma è in nuce il segnale della morbilità di un sistema di potere, da quello religioso a quello del lager. Prospera ancora perché l’ambiente è morbile – in questo senso vale l’espressione “agonia del Sud”.
La storia del Sud finisce con l’unità: è da allora che subentra la barbarie. Il deserto. L’ignoranza. La fuga. Anzi dai moti carbonari, che avrebbero dovuto essere di libertà, ma finirono nella finta indignazione gladstoniana. Prima il Sud ha una storia, tutto il Sud, poi è il deserto. Giusto rimane un po’ di storia normanna, e angioina, Francia docet.
Napoli non è mai stata una capitale, e il Regno un regno. Si vede nell’ostilità di alcune popolazioni, i calabresi, i salentini, i molisani, i baresi. Perfino le nazionalità ebraiche, quelle ponentine almeno, così attaccate alle radici, per quanto provvisorie, e alla memoria delle radici, la spagnola, la catalana, la portoghese, la provenzale, non hanno memoria di Napoli, che bene o male li ha ospitati per alcuni secoli – né della Sicilia.
Si vede in Africa, dove i contrasti sono accentuati, non mediati dal telaio statale: dove c’è mitezza, fino alla sfinimento, la violenza è selvaggia.
A lungo la Puglia fu Langobardia. Si sa ma non si dice.
Tutti arabi, in Sicilia, in Calabria, e fino a Bari, per almeno un secolo, ma non si deve sapere.
Il tarì arabo arriva fino a Pirandello.
Chi non conosce la Sicilia conosce poco dell’Italia, e non può apprezzare l’Europa.
Sudismi\sadismi. “La densità criminale in Calabria (rapporto tra popolazione e affiliati ai clan) è del 27 per cento”, Curzio Maltese, “La Repubblica, 25 aprile 2007. Giorno della liberazione. Un calabrese su quattro è affiliato ai clan. Tolti i bambini un calabrese su due. Io che frequento molti calabresi, tolto me stesso, frequento affiliati e affiliate. E c’è chi fornisce queste cifre. Sotto forma di studi. Magari pagati da noi, all’università, in caserma, nei tribunali, nelle onlus. “A Reggio Calabria siamo (la densità criminale è, n.d.r.) al 50 per cento, significa che una persona su due è coinvolta, a vario titolo, in attività criminali”. Cioè, tolti i bambini, tutti. Reggio è il posto dove ho più conoscenze.
“Il paese primogenito” è per Ingeborg Bachmann la Calabria alle Castella: “Nel mio paese primogenito, nel Sud,\mi portai e trovai, impoverite e nude,\e sino alla cintola in mare,\città e castello… ”.
“Il mondo moderno è essenzialmente settentrionale. Meridionale invece era il mondo antico. Attività, potenza, idee in marcia, progresso: tutto nel mondo moderno si polarizza attorno alla parola “Settentrione”. Alberto Savinio, che nel 1948 era stato in viaggio elettorale in Calabria, ricavandone il non edificante “Partita rimandata. Diario calabrese”, pubblicò sul “Corriere della sera” il 2 gennaio 1951, dopo aver viaggiato negli Stati Uniti, l’elzeviro “La luce viene dal Sud”, che constata la prevalenza del Nord: a Nord tutto il buono, al Sud tutto il peggio. Ma poi nota che molti scappano al Sud: “località dell’Arkansas, della Louisiana, del Nuovo Messico, del Texas, povere e desolate fino a ieri, si vanno popolando rapidamente, acquistando ricchezza e splendore”. È un movimento accennato, di cui Savinio profetizza il boom. Perché ne intravede le ragioni: si fugge dalla fuga in avanti, dallo sconfinato, dall’illimitato, “ritornare al mondo antico, o euclideo, o meridionale, significa ritornare a un mondo le cui porte tutt’intorno sono chiuse, significa non più vivere nell’ossessione”. Analoga ripresa Savinio notava del cattolicesimo sul protestantesimo, “presso popolazioni prevalentemente protestanti”, come gli Stati Uniti e l’Olanda. Ma altrettanto certo si diceva del ritorno al Sud in Italia (“sempre gli italiani hanno preferito il pane di grano alla chimica, specie alla chimica mentale”), e qui si sbagliava.
Si va al Nord - si emigra - per lavoro, al Sud si scappa per piacere e scelta di vita.
E la mafia?
Il Sud è speciale per gli inviati. È l’esotico in lingua italiana. Anche per i giornali del Sud. Il lavoro nero è uguale dappertutto, nel Veneto come in Puglia: sfruttamento e cartoni. Ma in Puglia è scandaloso. Assassini efferati si commettono dappertutto, ma il sindaco di Brescia sospetta dei calabresi – ora si fanno pagare come i bresciani.
Il pizzo è eminentemente mafioso. È il segno della mafia, della protervia. Ma è il principio della concussione, così diffusa.
La concussione è una manifestazione del potere, non della società. È il termometro della degradazione del potere, sovrimposto alla società, in tutte le sue forme, non ne è espressione. È anche una concezione di vita, ma limitatamente: risponde a una delle forme dello Stato secondo Weber, lo Stato patrimoniale. Ma è in nuce il segnale della morbilità di un sistema di potere, da quello religioso a quello del lager. Prospera ancora perché l’ambiente è morbile – in questo senso vale l’espressione “agonia del Sud”.
La storia del Sud finisce con l’unità: è da allora che subentra la barbarie. Il deserto. L’ignoranza. La fuga. Anzi dai moti carbonari, che avrebbero dovuto essere di libertà, ma finirono nella finta indignazione gladstoniana. Prima il Sud ha una storia, tutto il Sud, poi è il deserto. Giusto rimane un po’ di storia normanna, e angioina, Francia docet.
Napoli non è mai stata una capitale, e il Regno un regno. Si vede nell’ostilità di alcune popolazioni, i calabresi, i salentini, i molisani, i baresi. Perfino le nazionalità ebraiche, quelle ponentine almeno, così attaccate alle radici, per quanto provvisorie, e alla memoria delle radici, la spagnola, la catalana, la portoghese, la provenzale, non hanno memoria di Napoli, che bene o male li ha ospitati per alcuni secoli – né della Sicilia.
Si vede in Africa, dove i contrasti sono accentuati, non mediati dal telaio statale: dove c’è mitezza, fino alla sfinimento, la violenza è selvaggia.
A lungo la Puglia fu Langobardia. Si sa ma non si dice.
Tutti arabi, in Sicilia, in Calabria, e fino a Bari, per almeno un secolo, ma non si deve sapere.
Il tarì arabo arriva fino a Pirandello.
Chi non conosce la Sicilia conosce poco dell’Italia, e non può apprezzare l’Europa.
Sudismi\sadismi. “La densità criminale in Calabria (rapporto tra popolazione e affiliati ai clan) è del 27 per cento”, Curzio Maltese, “La Repubblica, 25 aprile 2007. Giorno della liberazione. Un calabrese su quattro è affiliato ai clan. Tolti i bambini un calabrese su due. Io che frequento molti calabresi, tolto me stesso, frequento affiliati e affiliate. E c’è chi fornisce queste cifre. Sotto forma di studi. Magari pagati da noi, all’università, in caserma, nei tribunali, nelle onlus. “A Reggio Calabria siamo (la densità criminale è, n.d.r.) al 50 per cento, significa che una persona su due è coinvolta, a vario titolo, in attività criminali”. Cioè, tolti i bambini, tutti. Reggio è il posto dove ho più conoscenze.
venerdì 19 ottobre 2007
Calci a Putin 2: l'Europa aggredita da Est
Bush continua la politica dei calci in bocca a Putin. Che reagisce sgraziato – quelle nude conferenze stampa con se stesso che mette in scena alla tv, non ha neanche una claque di giornalisti. Fa il compare di Ahmadinejad, che solo aspetta di ridicolizzarlo, anche lui, magari sul Caspio. E minaccia armi risolutive, anche lui.
La situazione è di una semplicità disarmante. Si prenda la Russia, il più grande paese europeo, un ottimo mercato quindi, con risorse enormi di gas, e anche di petrolio. Prescindendo un momento da Putin, che ha reso decente una Russia scaduta a mafia, ma è sospettato di usare metodi da Kgb, compreso l’assassinio degli avversari. Conviene avere la Russia mafiosa oppure rispettabile? E allo sbando oppure governata, anche se con metodi da Kgb? Agli Stati Uniti possono convenire entrambe le prime opzioni – è contestabile, ma va’ a sapere. All’Europa sicuramente convengono solo le seconde opzioni. Ma, riottosa a Bush in tutto, l’Europa è su Putin e la Russia abulica, se non allineata e prona.
Si prenda poi Bush. Il presidente americano sarà folle, come vogliono i volubili (anti)americanisti italiani. Ma la politica americana degli ultimi quindici anni è lineare e scoperta: tenere aperti o creare zone delle tempeste sul fianco destro dell’Europa, nei territori palestinesi, in Irak, nell’ex Jugoslavia, e ora in Iran, in Russia e in Turchia. Sono gli anni di Clinton e Bush, del dopo-comunismo, e della globalizzazione, che si governata dal Pacifico, tra Stati Uniti e Cina.
La situazione è di una semplicità disarmante. Si prenda la Russia, il più grande paese europeo, un ottimo mercato quindi, con risorse enormi di gas, e anche di petrolio. Prescindendo un momento da Putin, che ha reso decente una Russia scaduta a mafia, ma è sospettato di usare metodi da Kgb, compreso l’assassinio degli avversari. Conviene avere la Russia mafiosa oppure rispettabile? E allo sbando oppure governata, anche se con metodi da Kgb? Agli Stati Uniti possono convenire entrambe le prime opzioni – è contestabile, ma va’ a sapere. All’Europa sicuramente convengono solo le seconde opzioni. Ma, riottosa a Bush in tutto, l’Europa è su Putin e la Russia abulica, se non allineata e prona.
Si prenda poi Bush. Il presidente americano sarà folle, come vogliono i volubili (anti)americanisti italiani. Ma la politica americana degli ultimi quindici anni è lineare e scoperta: tenere aperti o creare zone delle tempeste sul fianco destro dell’Europa, nei territori palestinesi, in Irak, nell’ex Jugoslavia, e ora in Iran, in Russia e in Turchia. Sono gli anni di Clinton e Bush, del dopo-comunismo, e della globalizzazione, che si governata dal Pacifico, tra Stati Uniti e Cina.
Nani e ballerine, Veltroni sovraesposto
Uno legge e non sa se sogna. Una lunga lista di scrittori, registi, attori, artisti si scopre aver brigato un posto nel carrozzone di Veltroni. Come già i nani e le ballerine del craxismo, ma alle dimensioni faraoniche di Veltroni, non duecento ma duemila. Con Giuliano Ferrara che partecipa al minuetto consigliando, senza ironia, un partito di massa “senza tessere”, naturalmente “all’americana”. A un partito che si litiga ovunque perfino le schede votate, e in Campania vorrebbe rifare le primarie. Mentre a Roma briga per cacciare Veltroni dal Campidoglio. A Lisbona è iscritto da Prodi d’autorità nel Pse, i socialisti europei – che c’entra Prodi col Partito democratico? E a Roma Spinaceto, con Patrizia Prestipino che presiede la circoscrizione, barrica col filo spinato le scuole contro i rom. Per non dire del contorno.
Sul “Messaggero” le multe inesigibili che il buon Veltroni ha affidato all’esattore, vecchie di dieci e quindici anni, pagate, annullate su ricorso etc., sarebbero “almeno un milione”. Ad “almeno” cento euro di media l’una, sono cento milioni che l’esattore ha anticipato al Comune. Un tesoretto sostanzioso, che il Comune s'inventa non si capisce se per farsi male, o per dare addosso al Monte di Paschi, il vecchio esattore - o per chiudere indenne il bilancio 2007, anno di grandi spese. Sul “Corriere” Maria Latella vuole i bamboccioni all’estero. Una presa in giro, uno pensa, di Padoa Schioppa, i cui figli hanno fatto carriera all’estero, e invece no, la giornalista consiglia: “Tenerselo a casa, “così studia”, non mi convince. Si può provare a studiare all’estero, per esempio”. Sullo stesso “Corriere Roma” tornano a via Veneto gli sciuscià, africani. Tornano “per far risplendere il futuro”. Sono di contorno alla Festa del cinema, glamour romano. Per la quale il sindaco in persona si spende, a ogni passerella.
Tutto questo in un giorno. Non che cambi nulla, nemmeno una virgola, ma tanta supponente superficialità sconcerta. Il fiuto di Veltroni per la comunicazione, e i suoi consulenti, che hanno fatto meraviglie sul nulla, sembrano smarriti nella sovraesposizione: sembra proprio che sotto il vestito non ci sia nulla. A meno che non siano i giornali, in una sorta di gara maligna a disorientare e svuotare l’opinione pubblica.
Sul “Messaggero” le multe inesigibili che il buon Veltroni ha affidato all’esattore, vecchie di dieci e quindici anni, pagate, annullate su ricorso etc., sarebbero “almeno un milione”. Ad “almeno” cento euro di media l’una, sono cento milioni che l’esattore ha anticipato al Comune. Un tesoretto sostanzioso, che il Comune s'inventa non si capisce se per farsi male, o per dare addosso al Monte di Paschi, il vecchio esattore - o per chiudere indenne il bilancio 2007, anno di grandi spese. Sul “Corriere” Maria Latella vuole i bamboccioni all’estero. Una presa in giro, uno pensa, di Padoa Schioppa, i cui figli hanno fatto carriera all’estero, e invece no, la giornalista consiglia: “Tenerselo a casa, “così studia”, non mi convince. Si può provare a studiare all’estero, per esempio”. Sullo stesso “Corriere Roma” tornano a via Veneto gli sciuscià, africani. Tornano “per far risplendere il futuro”. Sono di contorno alla Festa del cinema, glamour romano. Per la quale il sindaco in persona si spende, a ogni passerella.
Tutto questo in un giorno. Non che cambi nulla, nemmeno una virgola, ma tanta supponente superficialità sconcerta. Il fiuto di Veltroni per la comunicazione, e i suoi consulenti, che hanno fatto meraviglie sul nulla, sembrano smarriti nella sovraesposizione: sembra proprio che sotto il vestito non ci sia nulla. A meno che non siano i giornali, in una sorta di gara maligna a disorientare e svuotare l’opinione pubblica.
Marconi, "Per la verità" - e un po' di realismo
“Le conoscenze sono per forza vere” (p.24). A meno che uno non bari con se stesso.
E, Wittgenstein, “si dubita per ragioni ben precise” (p.26).
“C’è un modo in cui le cose stanno, e quindi ci sono proposizioni vere (quelle che dicono che le cose stanno in quel modo” (p.29).
“Ci sono valori che non riconosciamo come tali”, anche se li praticano altre persone o comunità (p.128).
“La tesi della tolleranza universale è assolutistica” (pp.129-130).
“Il relativismo morale non è soltanto una posizione teorica difficilmente difendibile, ma è moralmente riprovevole”.
“La verità è cosa banale e quotidiana” (p.152).
È un libro di logica, sorprendente per un tascabile, ma anche, per la concisione, sorprendente in filosofia, per il taglio polemico, ancorché sottile, per la scansione, “Verità”, “Relativismi”, “La paura della verità”, un richiamo all’ordine. Argomentato, impegnato, compassionevole, ma antidoto dichiarato al disarmo mentale. Reagente delle debolezza che è al fondo della crisi perdurante, tra estetismi e sansebastianismi. La verità però confina tra parentesi (p.151): “(la verità non appartiene a un regno più sublime dell’umile dominio dei fatti)”. Nel ritorno al common sense: “Tutti i giorni abbiamo bisogno della verità, ed è un bisogno spesso soddisfatto. Perché non riconoscerlo?” (p.157).
Diego Marconi, Per la verità, Einaudi Tascabile, pp.172, euro 10,00
E, Wittgenstein, “si dubita per ragioni ben precise” (p.26).
“C’è un modo in cui le cose stanno, e quindi ci sono proposizioni vere (quelle che dicono che le cose stanno in quel modo” (p.29).
“Ci sono valori che non riconosciamo come tali”, anche se li praticano altre persone o comunità (p.128).
“La tesi della tolleranza universale è assolutistica” (pp.129-130).
“Il relativismo morale non è soltanto una posizione teorica difficilmente difendibile, ma è moralmente riprovevole”.
“La verità è cosa banale e quotidiana” (p.152).
È un libro di logica, sorprendente per un tascabile, ma anche, per la concisione, sorprendente in filosofia, per il taglio polemico, ancorché sottile, per la scansione, “Verità”, “Relativismi”, “La paura della verità”, un richiamo all’ordine. Argomentato, impegnato, compassionevole, ma antidoto dichiarato al disarmo mentale. Reagente delle debolezza che è al fondo della crisi perdurante, tra estetismi e sansebastianismi. La verità però confina tra parentesi (p.151): “(la verità non appartiene a un regno più sublime dell’umile dominio dei fatti)”. Nel ritorno al common sense: “Tutti i giorni abbiamo bisogno della verità, ed è un bisogno spesso soddisfatto. Perché non riconoscerlo?” (p.157).
Diego Marconi, Per la verità, Einaudi Tascabile, pp.172, euro 10,00
mercoledì 17 ottobre 2007
Tinti, "Toghe rotte" - da Berlusconi
Il giudice Tinti dice tutto sul disordine della giustizia. Lo annuncia in anteprima e lo spiega in tv, sereno, soddisfatto di se stesso: la colpa, anche qui, è di Berlusconi. Si potrebbe dunque non leggere il suo libro, è chiaro che la colpa è di Berlusconi. Ma Tinti dice una cosa di più: che anche il Csm non funziona, e che il sindacato dei giudici è diviso in correnti “armate”. Il giudice lo dice non volendo. Lo dice anche in maniera stucchevole, sceneggiando i suoi assunti in dialoghi platonici o da sitcom, tra l'avvocato Debonis, il Defarabuttis etc., ma è importante che si cominci a parlarne: il Csm, organo costituzionale, presieduto dal presidente della Repubblica, è diviso in correnti e paralizzato dal sottogoverno. Che si tratti di un trasferimento, di una nomina, di una misera competenza. Questo è quello che tutti sanno da decenni, anche per la divulgazione dell’osservatorio bolognese di Giuseppe Di Federico, ma è importante che finalmente anche un giudice lo riconosca.
Per il resto il procuratore Tinti si trincera anche lui dietro le colpe dei politici: “Oggi in prigione finiscono i poveracci”, che purtroppo è sempre stato vero. E: “Da Mani Pulite in poi la preoccupazione (dei governi) è stata una sola: rendere non punibile la classe dirigente di questo paese”. Mentre il contrario è vero, che i politici sono più o meno tutti intercettati, roba da Sifar, e i giudici intoccabili. Anche quelli del tribunale fallimentare di Firenze che niente differenzia da una cosca. Anche il Pm che istruisce cause col penalista suo figlio. Anche il giudice che deposita la sentenza dopo quattro anni. O quello che lascia passare tre anni per un rinvio a giudizio. O quello – è lo stesso – che si rifiuta di giudicare dei terroristi perché li considera guerriglieri. Termine nuovo, recepito forse dal diritto latinoamericano, per dire combattente della libertà.
Il procuratore Tinti, così distinto, ritiene meritevoli del carcere solo i parlamentari. C'è una logica in tutto questo? Sì. La stessa per cui un giudice può argomentare, in Italia, impunemente, che un signore che prepara un eccidio è un combattente della Resistenza e non un terrorista, e anzi per questo diventare vedette della tv di Stato, con sarto, parrucchiere e truccatore al seguito. Il libro “Toghe rotte” serve ad aprire questa strada, si capisce che l’autore è contento: la televisione ancora più che i giornali è il traguardo di ogni giudice, la vanità. Più che rotte le toghe sono una casta, l’unica vera della Repubblica, si chiamano eccellenza, hanno anche gli ermellini, e si vendono i segreti ai giornali, impuniti e impunibili. Incorrotti e incorruttibili, come le ossa secche – se ne potrebbe fare un napoletano cimitero delle “anime pezzentelle”, un museo mobile.
Per il resto il procuratore Tinti si trincera anche lui dietro le colpe dei politici: “Oggi in prigione finiscono i poveracci”, che purtroppo è sempre stato vero. E: “Da Mani Pulite in poi la preoccupazione (dei governi) è stata una sola: rendere non punibile la classe dirigente di questo paese”. Mentre il contrario è vero, che i politici sono più o meno tutti intercettati, roba da Sifar, e i giudici intoccabili. Anche quelli del tribunale fallimentare di Firenze che niente differenzia da una cosca. Anche il Pm che istruisce cause col penalista suo figlio. Anche il giudice che deposita la sentenza dopo quattro anni. O quello che lascia passare tre anni per un rinvio a giudizio. O quello – è lo stesso – che si rifiuta di giudicare dei terroristi perché li considera guerriglieri. Termine nuovo, recepito forse dal diritto latinoamericano, per dire combattente della libertà.
Il procuratore Tinti, così distinto, ritiene meritevoli del carcere solo i parlamentari. C'è una logica in tutto questo? Sì. La stessa per cui un giudice può argomentare, in Italia, impunemente, che un signore che prepara un eccidio è un combattente della Resistenza e non un terrorista, e anzi per questo diventare vedette della tv di Stato, con sarto, parrucchiere e truccatore al seguito. Il libro “Toghe rotte” serve ad aprire questa strada, si capisce che l’autore è contento: la televisione ancora più che i giornali è il traguardo di ogni giudice, la vanità. Più che rotte le toghe sono una casta, l’unica vera della Repubblica, si chiamano eccellenza, hanno anche gli ermellini, e si vendono i segreti ai giornali, impuniti e impunibili. Incorrotti e incorruttibili, come le ossa secche – se ne potrebbe fare un napoletano cimitero delle “anime pezzentelle”, un museo mobile.
martedì 16 ottobre 2007
"Una transizione incompiuta", di giudici impuniti
Giorgio Napolitano, anche da presidente della Repubblica, continua a credere all’“esplosione della questione morale”. Allora e non prima, o dopo. A Milano, dove i reati della questione morale ogni giorno si moltiplicavano e si moltiplicano. A opera della Procura milanese, anche se questa non indaga i crimini a Milano (Eni, Rcs, il conte Fossati, immobiliarista della Curia). Per portare al governo, e al centro della vita politica del quindicennio, Berlusconi – abbiamo avuto, abbiamo l’era Berlusconi. Sembra anche credere – è pesante l’eredità di Berlinguer – che la questione morale sia di sinistra, mentre è sempre stata, e non è altro, che un regolamento di conti, in gergo di mafia si direbbe una guerra di clan. A cui le forze politiche che rappresentano gli onesti lavoratori devono stare attente ma di cui non sono protagoniste – devono anzi stare attente soprattutto a non lasciarsi manipolare.
Tangentopoli ha introdotto la libertà di licenziare, malgrado lo Statuto dei Lavoratori, questa è la vera storia – Napolitano tocca questo aspetto marginalmente, per i 650 mila licenziati nel 1993-94, mentre è l’aspetto centrale. Si vendono le industrie e le banche pubbliche con due Parlamenti di cui si minaccia, e si effettua, lo scioglimento. Al mercato si può arrivare in tanti modi: quello scelto dai padroni italiani è al solito l’eversione. La politica è in Italia succube dei grandi interessi finanziari, seppure attraverso il circuito fraudolento dell’opinione pubblica. L’effetto di Tangentopoli, duraturo, è stato di ridurre dal 45 al 35 per cento lo zoccolo elettorale della sinistra – al 32 se, come è giusto, la Lega viene posta stabilmente a destra.
Il presidente sembra credere inevitabile lo scioglimento del “suo” Parlamento” - quello che, seppure in soli diciotto mesi, ha lavorato più e meglio di tutti i Parlamenti repubblicani, compresi quelli della ricostruzione. A opera di un presidente della Repubblica, Scalfaro, che, complice o pusillanime, ne aveva tutta la voglia. Scalfaro è un presidente che ha sciolto ben due Parlamenti: in un’altra storia, per esempio in quella dell’Inghilterra moderna, del Long Parliament su cui si è modellata tutta la democrazia in Europa, si direbbe un golpista. La sinistra italiana lo ritiene invece suo baluardo. Col supporto di una magistratura che nella guerra alla politica ha ingigantito i suoi privilegi.
Perché questo è, non dispiaccia a Napolitano, il senso della “transizione”, nient’affatto incompiuta: una magistratura inattaccabile, per qualsiasi reato, calunnia, concussione, corruzione, abusi sessuali. Mentre i parlamentari venivano spogliati e si spogliavano, nel “suo” Parlamento, di ogni salvaguardia, in omaggio alla trasparenza, i magistrati si sono fatti invulnerabili. La magistratura, che Napolitano ora presiede, è l’ordine più privilegiato della Repubblica, con ermellini, eccellenze, auto blu, scorte, le retribuzioni più alte, e carriere automatiche senza lavorare. Con un autogoverno che puzza peggio di un pesce morto – avendo lavorato per un quindicennio in piazza dell’Indipendenza possiamo assicurarlo personalmente.
Tangentopoli ha introdotto la libertà di licenziare, malgrado lo Statuto dei Lavoratori, questa è la vera storia – Napolitano tocca questo aspetto marginalmente, per i 650 mila licenziati nel 1993-94, mentre è l’aspetto centrale. Si vendono le industrie e le banche pubbliche con due Parlamenti di cui si minaccia, e si effettua, lo scioglimento. Al mercato si può arrivare in tanti modi: quello scelto dai padroni italiani è al solito l’eversione. La politica è in Italia succube dei grandi interessi finanziari, seppure attraverso il circuito fraudolento dell’opinione pubblica. L’effetto di Tangentopoli, duraturo, è stato di ridurre dal 45 al 35 per cento lo zoccolo elettorale della sinistra – al 32 se, come è giusto, la Lega viene posta stabilmente a destra.
Il presidente sembra credere inevitabile lo scioglimento del “suo” Parlamento” - quello che, seppure in soli diciotto mesi, ha lavorato più e meglio di tutti i Parlamenti repubblicani, compresi quelli della ricostruzione. A opera di un presidente della Repubblica, Scalfaro, che, complice o pusillanime, ne aveva tutta la voglia. Scalfaro è un presidente che ha sciolto ben due Parlamenti: in un’altra storia, per esempio in quella dell’Inghilterra moderna, del Long Parliament su cui si è modellata tutta la democrazia in Europa, si direbbe un golpista. La sinistra italiana lo ritiene invece suo baluardo. Col supporto di una magistratura che nella guerra alla politica ha ingigantito i suoi privilegi.
Perché questo è, non dispiaccia a Napolitano, il senso della “transizione”, nient’affatto incompiuta: una magistratura inattaccabile, per qualsiasi reato, calunnia, concussione, corruzione, abusi sessuali. Mentre i parlamentari venivano spogliati e si spogliavano, nel “suo” Parlamento, di ogni salvaguardia, in omaggio alla trasparenza, i magistrati si sono fatti invulnerabili. La magistratura, che Napolitano ora presiede, è l’ordine più privilegiato della Repubblica, con ermellini, eccellenze, auto blu, scorte, le retribuzioni più alte, e carriere automatiche senza lavorare. Con un autogoverno che puzza peggio di un pesce morto – avendo lavorato per un quindicennio in piazza dell’Indipendenza possiamo assicurarlo personalmente.
domenica 14 ottobre 2007
Per Veltroni un partito del 4 per cento
Successo annunciato per Veltroni e, purtroppo, successo annunciato di votanti, che nelle ultime tre ore si sono più che raddoppiati - erano solo un milione e mezzo alle 17, a nove ore dall'apertura dei seggi. Ma anche tre milioni di italiani impegnati nel Partito democratico sono niente, checché si dica – con 35 mila candidati e 70 mila volontari: è un altro partito del 4 per cento o poco più. Magari migliorerà, ma il nuovo partito è alla nascita un’occasione perduta, per un motivo scoraggiante. Gli (ex) democristiani e gli (ex) comunisti non se la sono sentita di schierarsi dietro Veltroni per il motivo sbagliato: perché non si sono sentiti garantiti dalla nuova leadership nei loro maneggi e piccoli privilegi (il nipote di Giacomo Mancini, parlamentare socialista, è arrivato a denunciare, in Parlamento, pressioni fisiche e minacce da parte di ex Pci al suo paese, senza meraviglia). Può darsi che Veltroni trovi, con la sua insuperata abilità di comunicatore, la via per sciogliere queste riserve, ma non senza piegarsi alle mafie politiche. Le fondamenta attuali del partito sono peraltro labili: a Roma i Parioli e il Centro Storico, via Giulia, cioè, il rione Monti e gli immigrati.
Non riesce a sinistra quello che è riuscito a destra con Berlusconi e Forza Italia, che dopo quindici anni di divagazioni (il partito tv, il partito del capo, il partito di plastica, eccetera), gli scienziati della politica scoprono primo partito in Italia. È la sinistra meno flessibile politicamente, più incistata nei pregiudizi? È più avida? Ha più affarucci da proteggere?
Non riesce a sinistra quello che è riuscito a destra con Berlusconi e Forza Italia, che dopo quindici anni di divagazioni (il partito tv, il partito del capo, il partito di plastica, eccetera), gli scienziati della politica scoprono primo partito in Italia. È la sinistra meno flessibile politicamente, più incistata nei pregiudizi? È più avida? Ha più affarucci da proteggere?
Grazie a Prodi i Benetton si tengono Autostrade
I Benetton si tengono Autostrade. Confortati dai consiglieri di Prodi sul futuro roseo della società. Che potrebbe avere incrementi tariffari garantiti. Ufficialmente il presidente del consiglio è ancora impegnato nella soluzione spagnola, d'accordo col suo amico Zapatero. In realtà ha fatto opera di convinzione su Gilberto Benetton per riconsiderare la cessione di Autostrade. I Benetton non sono più in deficit di liquidità, e Prodi ha promesso l'attenzione del governo. Il silenzio ormai prolungato di Di Pietro, che aveva preannunciato guerra ai Benetton, è parte del gentelen's agreement a Palazzo Chigi. Queusta è l'ultima "sistemazione", in ordine di tempo, delle grandi aziende italiane che Prodi sta attuando a tempo di record dal maggio 2006, ma non è l'ultima: resta da sistemare Alitalia, dopo il flop delle aste e dell'ideologia del mercato di Padoa Schioppa.
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