sabato 15 dicembre 2007

L'invenzione del separatismo: Thaci e Giuliano

È questione di giorni e in Kossovo il separatismo sarà cosa fatta, con a capo un Hashem Thaci che è in tutto e per tutto un bandito Giuliano della Serbia. E come quello siciliano inventato anch’esso dagli Usa, da Clinton e la Cia, che dieci anni fa lo posero a capo dell’indipendenza del Kossovo che nessuno richiedeva.
Gli storici tournés politologi intravedono il disegno di una Grande Albania. Con al centro Tirana, satelliti la Macedonia e il Kossovo. Disegno che però non è nelle corde dell’Albania propriamente detta, che ancora fatica a riconoscersi nella sua propria nazionalità. Né in quelle del presunto patrono della Grande Albania, gli Stati Uniti. Il Kossovo è certamente un disegno americano, ma nel quadro di una accentuata ribalcanizzazione dell’area: più pulviscolare essa è, maggiori difficoltà si creano dentro l’Europa, meglio i Balcani e l’Europa saranno governabili dall’esterno e da lontano. Ci sono anche dei documenti del dipartimento di Stato a comprovare da un lato l’interesse al micro-nazionalismo dei Balcani, dall’altro l’assenza di qualsiasi panalbanismo – gli americani parlano in termini grossolani dell’Europa, da Reagan in poi, ma mantengono il senso delle convenienze.

Calci a Putin 3 - per non darli all'Europa

Dopo Bin Laden, il personaggio più impopolare in America è Putin: contro il “nuovo zar” destra e sinistra sono negli Usa uniti nella lotta. E Washington, che per anni ha dettato la linea, ora segue la corrente. Sia Bush che i candidati repubblicani alla successione, e tutti i candidati democratici, su un punto concordano: i calci negli stinchi alla Russia, dal Kossovo al Caucaso e alle repubbliche sub-siberiane. Dovunque un’occasione si presenti - e se non si presenta si crea. In Cecenia al momento la causa è dormiente, in virtù della superiore paura del terrorismo. Ma in Ucraina ferve, una base Nato nella Crimea sarebbe un bel ceffone a Putin. E presto ci sarà il Kossovo indipendente, un calcione alla Serbia e a tutti gli slavi.
L’America ha, in questa fase, il sostegno della Germania, e quindi dell’Europa. Ma la Nato in Crimea e in Georgia vuole dire per l’Europa continuare indefinitamente contro la Russia la guerra che per quarant’anni ha fatto all’Urss. Senza alcuna necessità di difesa. I diplomatici ritengono anzi Putin un’assicurazione per l’Europa, per l’Occidente. Nel senso che, dopo Putin, o senza di lui, senza il partito del commercio o dell’onore, ci sarebbero gli Zirinovsky, i populisti capaci di ogni avventura, e la mano potrebbe passare a un generale. Il ministero italiano degli Esteri, dopo l’ubriacatura antiserba dei tempi del governo D’Alema e della presidenza Scalfaro, ha ripreso il calcolo delle convenienze. Sa per esempio che il principio kossovaro della secessione potrebbe a maggiior ragione essere invocato dai russi d'Ucraina, o dei paesi baltici. E che la Serbia, che si apprestava a entrare nell'Ue con tutte le garanzie di fatto per le minoranze, sarà respinta dalla secessione inveitabilmente nell'irredentismo slavo. Che, insomma, la Russia, cacciata dai Balcani con l'Urss, ci rientra ora su iniziativa dell'Occidente, degli Stati Uniti.
Ma non è un errore, un ritardo culturale (un nazionalismo vecchio di due secoli), un caso di stupidità, è un disegno: gli Usa, un pericoloso alleato in questo frangente, determinano sempre le d ecisioni europee. Dal concepimento della guerra fredda, alle conferenze di Casablanca e Washington nella prima metà del 1943, quindi da oltre sessant’anni, c’è una sola politica americana nei riguardi della Russia: lo scontro. È sempre Tocqueville, Usa contro Russia. La scena mondiale è del tutto diversa, la storia essendosi spostata verso il Pacifico: col ritorno prepotente della Cina, e in parte dell’India, la Russia è in secondo piano per gli Usa. Non però l’Europa. Aizzare la Russia ha proprio questo fine, impaurire l’Europa, crearle problemi. Se non per gli euromissili per il gas. Per i diritti politici. Per la democrazia in Ucraina – sotto la Timoschenko? E se non bastasse, per Berežovskij, per Kodorkhovskij e ogni altro profittatore di regime, per la squadra miliardaria del Chelsea, per gli affari della mafia russa (le banche, le ville, i negozi esclusivi), che ha dolsi per tutti: i motivi, quando si disprezza l’avversario, non mancano, e gli Usa picchiano su Putin per tenere il morso stretto all’Europa.

venerdì 14 dicembre 2007

Caporale e gli affarucci dei belli-e-buoni

Se n’è parlato poco, perché non vi si fanno distinzioni fra destra e sinistra, ma è andato esaurito più volte: Caporale introduce ai segreti ben custoditi dei belli-e-buoni. Scrittore garbato, racconta gli affarucci soft, quasi svagati, del Sud e del Nord d’Italia, della società cosiddetta civile, di architetti, ingegneri, dottori, professori. Avviata, si potrebbe aggiungere, a Roma nei dieci anni di fine millennio con Francesco Rutelli, con le consulenze e i mini-appalti - di resa irresistibile: sono tutti guadagno - per opere subito richiuse, e macchie, umidità, capperi sulle mura e frane sempre invadenti. Capolavoro dell'understatement di Caporale le trenta pagine di tabelle con cui chiude il libro: gli incarichi extragiudiari, a fine 2006, dei soli magistrati della Corte di conti. A una diecina di posizioni per pagina fanno trecento incarichi, alcuni pluriennali, ben retribuiti, che sono il secondo lavoro dei magistrati contabili: professori, revisori dei conti, consulenti, presidenti.
Antonello Caporale, “Impuniti”, Baldini Castaldi Dalai, pp.314, €17,50

Cresce la corruzione, con la questione morale

A vent’anni da Sutherland, “Il crimine dei colletti bianchi”, e a quindici da Franco Cazzola, “L’Italia del pizzo”, che ancora si può leggere da Einaudi, ritorna la sociologia della corruzione, con impianto sistematico: della Porta, sociologa a Firenze, e Vannucci, scienziato della politica a Pisa, elaborano una categorizzazione minuta delle diverse categorie di corruzione. Manca solo la corruzione dei giudici. Anzi, il volume si apre con l’interrogativo: “Cos’è rimasto della “rivoluzione dei giudici”, che tante speranze aveva suscitate nella prima metà degli anni Novanta”? Si dà cioè per scontato che la cosiddetta “rivoluzione italiana” sia partita dai giudici. Il che non contrasta con la storia. Non ancora – finché, cioè, non se ne farà la vera storia. Ma contrasta con la realtà, come gli autori stessi indicano, purtroppo non volontariamente.
La “rivoluzione” si ferma al 1995. E dopo? Dopo ci sono Scalfaro, Dini e l’Ulivo. Ben prima di Berlusconi e i suoi Cirielli vengono cioè i riferimenti politici degli autori. Questo è già un aspetto della questione morale. Nel 1997, a un convegno di “Micromega” che gli autori trascurano, il magistrato di Milano Francesco Greco disse testualmente: “L’Ulivo ha fatto cose che nemmeno Craxi aveva osato fare”. Era un anno o poco più di governo Prodi. Greco si prese per questo un richiamo dal ministro della Giustizia Flick. Poi il giudice Colombo parlò di “ricatti” della Bicamerale, la commissione parlamentare voluta da Berlusconi e D’Alema per fare le riforme. Ma non ci sono stati processi a carico dell’Ulivo, né indagini da parte dei magistrati Greco e Colombo, che di così gravi reati avevano avuto notizia. Questo è il secondo aspetto della questione morale italiana, o lotta alla corruzione: che la questione morale è parte della questione morale.
In base agli indicatori internazionali, della Porta e Vannucci dicono la corruzione molto più diffusa oggi di prima. In particolare a Milano, si può aggiungere per esperienza, per cifre grandi e anche minute – l’impunità è assicurata fino ai 100 mila euro, il processo non conviene. Ma nessuna sociologia si è spinta a rilevare nell’italiano una tradizione o un imprinting di corruttela. E come si potrebbe, la corruzione non è naturale, neppure in Liberia o in Romania, i paesi più corrotti del mondo. La corruzione è sistemica, ed legata alla funzione pubblica. Della Porta e Vannucci ne rilevano le micro-applicazioni: il mercato degli accertamenti, quello delle sanzioni, quello dei poteri di firma. Ma evitano l’evidenza del Caso Italia, che la repressione è essa stessa parte della corruzione. Sovente della funzione pubblica più alta, la giustizia (senza la quale non c’è democrazia: socialismo, sviluppo, progresso).
Dai processi grandi ai processi piccoli si sa che la lotta alla corruzione è selettiva, a orologeria, e perfino illegale – è il caso delle indiscrezioni, di varie forme d’intercettazione, dell’uso strumentale dei pentiti. Se si fanno quattrocento, o cinquecento, perquisizioni negli uffici Mediaset, senza trovare nulla di penalmente rilevante, e non si istruisce un processo nel caso acclarato di ammanco di 1.300 miliardi alla Rcs, per pagamenti in nero, in Svizzera, alle Bahamas, sovrafatturazioni, sottofatturazioni, e factoring fasulli, la corruzione si ritiene patentata. Lo stesso se per l’affare Sme si processa solo Berlusconi e non anche, in base alle tante inchieste documentate, inchieste giornalistiche è vero, Prodi e De Benedetti. La corruzione si diffonde perché è impunita. Grazie anche alla questione morale della “rivoluzione italiana”.
Della Porta Donatella, Vannucci Alberto, “Mani impunite”, Laterza, pp. 258, € 16

Balestrini vi fa il libro su misura - d'Autore

Balestrini rifà le Prove d’Autore, nel mentre che nega il ruolo, facendosi scrivere il romanzo dai giornali, a una memoria random del computer affidandone la casuale compilazione a ogni ordinativo, e così offrendo a ognuno il suo “Tristano”. Una delle 109.027.350.432.000 versioni virtuali, dice l’editore. Che magari sono tutte eguali, chissà, Balestrini non ha ancora il suo Contini. Un vecchio Saporta alcuni anni fa dava effettivamente molteplici versioni in un solo libro, smazzando le pagine. Ma Balestrini ama scherzare. Un faticosissimo Eco, il pezzo meglio del libro, rimesta l’ars combinatoria dell’alfabeto. Quid pro quo?
Nanni Balestrini, “Tristano”, DeriveApprodi, pp.144, € 15

giovedì 13 dicembre 2007

E' Prodi contro tutti: su Az decido io

È Prodi contro tutti, nell’assegnazione di Alitalia, ma nessuno dubita, a Roma e a Milano, che il presidente del consiglio non prevarrà: in questo anno e mezzo di governo non s’è perso un solo affare. Prodi in realtà non è solo. Con lui è l’establishment del partito Democratico, quello da lui espresso direttamente e la parte ex Ds, su cui l’ambasciata francese e Air France contavano. La pausa di riflessione servirà a disinnescare l’opposizione, e soprattutto gli argomenti di chi è contrario, ma non muterà la decisione.
Dopo il ritiro di Lufthansa, il cavallo vincente di Prodi è Air France. Il presidente del consiglio è anche ansioso di venderselo nei colloqui ornai a ciclo continuo con Sarkozy, che la settimana prossima sarà a Roma in visita dal papa. E' la scelta esplicita del resto di Maurizio Prato, l’ad di Az voluto da Prodi, e Padoa Schioppa, il titolare dell’Economia cui tocca formalmente decidere la vendita: il futuro dell’Alitalia è legato all’alleanza con Air France. Come i piloti della compagnia e la stessa Az Servizi, che dovrebbe sopportare i maggioro tagli. Bianchi e Di Pietro sostengono la “soluzione italiana”. Ma non hanno molte carte: Intesa valuta Alitalia un simbolico euro, e la soluzione Air One significherebbe avere riproposti gli stessi problemi fra qualche anno.

mercoledì 12 dicembre 2007

La Repubblica è napoletana

Napoli è la nuova capitale morale d’Italia, lo scettro lo sta rapidamente sottraendo a Milano. Teatro tredici anni fa di un teatralissimo avviso di garanzia a Berlusconi “capo dei capi”, la città assume ora in proprio il ruolo di moralizzatrice pubblica, mandando essa stessa sotto processo il capo di Forza Italia, dopo l’operazione Gomorra e Calciopoli. Tutti processi che si celebrano ora a Napoli, e non più a Catanzaro, Potenza, Roma, Torino e Milano, sottoprocure di Napoli. Con migliaia di toghe all'opera (per Calciopoli si anunciano centinaia di costituzioni di parte civile), nella propria capitale del leguleismo. Al coperto di una superiore Giustizia tutta napoletana, dai vertici del Csm alle presidenze di commissione del Csm. Speditiva e inflessibile, come nei casi Murolo, Loren e Tortora, Napoli si conferma incontestabile capitale della Repubblica, dopo esserlo stata del noto benemerito Regno.
Ora i magistrati napoletani lavorano in casa, con giornalisti napoletani, con la consueta intelligenza superiore, con la serietà che si vede dagli atti di Calciopoli, e dalla indiscrezioni su Berlusconi. Senza intenti persecutori: le loro sono tutte indagini nate “per caso”. Non ci sono cioè gruppi d’intercettatori, né pubblici né privati, che offrano dossier già confezionati, ma iniziative casuali della Procura, che portano invariabilmente a risultati di grande conseguenza. Dev’essere un effetto della locale Smorfia. O la fortuna di Beatrice e Mancuso, i procuratori che il caso specialmente favorisce. Anche il timing è fortunato: il processo a Berlusconi parte il momento dopo in cui si è deciso l’affondo contro le larghe intese sulla legge elettorale.

Il mondo com'è (3)

astolfo

Bertinotti - Terzo in linea di successione alla presidenza della Repubblica, il rifondatore dei comunisti e presidente della Camera Fausto Bertinotti cerca un battesimo. Magari non quello religioso, ma un ritorno a quando, da ragazzo, leggeva tanto, e usciva con la signora che è ora sua moglie. Non avrebbe fatto le stesse scelte.
La successione gli è assicurata in quanto comunista: dopo Napolitano verrà Prodi e dopo Prodi lui. Ma Bertinotti ha una testa liberale, quella che oggi, per una delle tante “bobbiate”, viene detta garantista – Norberto Bobbio, iperprudente e un tantino ipocrita, ha coniato o avallato più di una parola non asettica per la democrazia italiana (pluralismo, garantismo) quando tutto era scritto con chiarezza nella Costituzione. Ha anche il realismo politico di Togliatti, che era la qualità migliore del Migliore – non il cinismo del Realpolitker ma l’intelligenza di riconoscere ciò che è. Senza l’ossessione dell’Urss. Né, benché comunista, del centralismo democratico che è ancora l’ossatura del Partito democratico.
La presidenza della Repubblica nel 2018 naturalmente non è un obiettivo politico (anche se è l’iter temporale dell’ascesa di Napoletano - 1992 alla Camera, 2005 al Quirinale - e i comunisti sono iterativi), ma chiarisce il presente, nel quale Bertinotti è ormai uno dei padri della Repubblica. Nella sindrome post-adolescenziale si possono inquadrare le sue passioni per il sub-comandante Marcos e per l’ex comandante Chavez, all’epoca delle vacanze intelligenti – il turismo della rivoluzione è la sola maniera per una certa sinistra di poter andare ai Tropici.

Centrosinistra - C’è una grande rimosso, nella storia della Repubblica, e riguarda una formula e una politica, il Centrosinistra – Togliatti lo scriveva senza trattino. La formula è tornata sui giornali ma per dire tutt’altra cosa. Storicamente non si potrà fare che il Centrosinistra non sia quello del 1958. Per almeno tre motivi: 1) ha rinnovato la politica italiana, 2) ha rinnovato l’Italia, 3) è l’ultimo (l’unico) periodo di riforme in Italia, malgrado tutto. Malgrado i dorotei di Segni e Moro, cioè, malgrado Gronchi, Tambroni e Andreotti, le bombe e, infine, il terrorismo.

Civile (società - ) – È il cancro italiano: la borghesia della corruzione, morale, culturale, intellettuale. Per la sua presunzione di superiorità, che è prevaricazione. Non è democratica: è censoria, propagandistica, deliberatamente bugiarda. Non è colta: non va più in là delle vacanze intelligenti e delle guide al buon bere. Non è ecologica: è tutta chefs e modernariato. Non è giusta: basta vederne i corifei, i procuratori di Milano e Palermo, che un Daumier non potrebbe dipingere che con la bava alla bocca. Non è misurata, non è tollerante, non è per nulla generosa, se non di elemosine in occasione dei terremoti, e soprattutto non è responsabile: si definisce civile per deresponsabilizzarsi.

Freud - È l’iperintellettuale, quello che più e meglio ritiene di possedere la conoscenza, incluso dell’inconoscibile, di avere anzi il segreto di trasformarla. Il modello Faust vero, un po’ tonto – lo scienziato è schiacciasassi. L’intellettuale più di ogni altro condannando alla sterilità.
Freud, lui, si salva – sembra di sentirlo sogghignare – perché tutto può essere avvenuto nelle sue segrete: è il privilegio dell’occulto, il molteplice. Non è un caso, tutti sempre si divertono nel mistero, anche se qualcuno lo paga. Ma Freud ne ha fatto una scienza e una terapia. L’intellettuale, di cui è la quintessenza, dannando all’ipocrisia e all’inconcludenza.

Marx - È un po’ confuso, si sa, e autoritario. Ma per un motivo caratteriale: perché era onesto e voleva la giustizia. La voleva subito, ma chi può dargli torto: la rivoluzione liberatoria è un bisogno universale, anche dei controrivoluzionari. Per questo Marx è vivo e lotta insieme a noi.

Rossi, Guido - È l’epitome della “questione morale nella questione morale”. Avvocato dei ricchi e senatore comunista – indipendente di sinistra. Consigliere d’amministrazione dell’Inter, ha tolto due scudetti alla Juventus, in qualità di commissario della Federazione calcio, e uno lo ha dato alla sua squadra, uno che nessun magistrato ha mai contestato. Consulente dei Moratti, vuole Letizia Moratti processata, perché non è “di sinistra” come lui. Autore, ogni anno mediamente, di una paginata sul giornale di De Benedetti in cui detta “da sinistra” le tavole della legge del mercato. Autore anche di Adelphi, che gli ha pubblicato l’impubblicabile “Il ratto delle sabine”, riflessioni su Romolo e Remo di cui ancora non s’è capito il senso. Presidente di Telecom alla privatizzazione, nelle mani di chi “non aveva pagato niente”. Tornato al vertice di Telecom su imposizione di De Benedetti e Bazoli, ha caratteristicamente impedito a Tronchetti Provera di accordarsi con la spagnola Telefònica. Caratteristicamente, cioè con baldanza e scopertamente: ha sottratto Telecom a Tronchetti Provera, che poi è stata venduta a Telefònica da Bazoli.
Uomo emblema della Milano da bere, dove i soldi scompaiono. È l’uomo che agli inizi, da presidente della neonata Consob, portò in Borsa il Banco Ambrosiano che era già tecnicamente fallito: portò alla rovina gli investitori e il Banco in braccio a Bazoli, che v’impiantò la sua impressionante fulminea ascesa. Avvocato di Geronzi, lo ha sottratto a ogni responsabilità nei fallimenti Cirio e Parmalat. Ha denunciato Unipol per l’affare Bnl, e poi ha difeso sullo stesso affare, in linea con Unipol, D’Alema e Nicola Latorre.

Sessantotto – Confuso, e condannato, con l’Autonomia, ne è invece l’opposto. È fantasia, intelligenza, saperi, libertà, tanto quanto l’altra è torva, stupida, e contenta di esserlo (le ope legis, tutti uguali per decreto ministeriale), violenta. Il “pentimento” ne è la raccapricciante prova: il Sessantotto non ha nulla di cui “pentirsi”, da denunciare, da confessare.
Sessantotto sta in realtà per anni Sessanta, in cui tutto sembrava possibile, anche costruire la libertà – senza droghe. Valle Giulia, il Maggio ne sono epitome, e in certo senso il culmine, come la conquista della Luna, anche se non fu figurata.

Socialisti – Sono stati difesi nella Repubblica dal filocomunismo, anche dopo il 1976 e Craxi. Anche i più accesi nemici del Fronte popolare stavano coi comunisti nei comuni, nei sindacati, nelle cooperative. Quando il comunismo infine si dissolve nel 1989, Andreotti in un paio di mosse, compreso il tangentone Enimont, dissolve i socialisti.

astolfo@gmail.com

Secondi pensieri (6)

zeulig

Amico\Nemico – Era la politica – la ratio politica – di Carl Schmitt negli anni 1920. Era allora la politica delle ideologie inconfrontabili. Oggi è la politica dei gruppi di potere.

Dio – Se è Dio, non ha bisogno di esibirsi. Da qui il problema dell’inconoscibilità.
Lo risolve la Rivelazione? Sì, come la fede – se si crede a occhi chiusi.

È – impersona – amore e giustizia.
Forse per questo non parla, da qualche tempo. È mutevole.
Ma o fa tutto, come usava, o non è nulla. Il libero arbitrio lo rende inerme – lo riduce a un metro.

È una presenza assente. Non ci si può contare, poiché ha abbandonato Gesù Cristo.

Eroe – Quello positivo è un mito cristiano.

Fede – Il suo problema è la razionalità: è troppo immaginativa per la logica.

Femminismo – Riafferma la differenza femminile nel mentre che la nega. Non dialetticamente, non è il “razzismo anti-razzista” dell’“Orfeo Nero” di Sartre. È un’ideologia e un’ontologia. E sovverte ogni rapporto, parentale, affettivo, di lavoro, sociale. Ma resta contraddittorio equindi non libera nessuno, restringe gli spazi degli stesi soggetti che afferma di voler liberare.

È una forma del narcisismo, passione femminile dominante. Che si esprime nella domanda di diritti, se non v si esaurisce. Senza esserne intaccata: le donne non sono per questo più democratiche, generose, compassionevoli.

Cristo uomo e donna è fantastico, Freud sarà stato il più subdolo – maschile o femminile? – tentativo d’infeudamento della donna. Attraverso il maschile\femminile, la normazione del fondo sentimentale di bisessualità, che è un togliere alla donna e dare all’uomo. Non modifica i rapporti di forza, nella logica Amico\Nemico, non apre nuove possibilità alla donna, se non di lavorare in pubblico, in fabbrica o in ufficio, nel mentre che fa i figli, come già usava in campagna nel vecchio patriarcato, l’area maschile allargando per il solo fatto di alleviare i sensi di colpa.
Sarebbe stato, sarebbe, meglio dire indifferenziati uomo e donna, se non per genitali e la funzione procreativa – che assurda asenza, la procreazione, nel freudismo. Filosoficamente è così. Non so sono stati, non lo sono, nella società e nella storia, ma questo è ininfluente, la storia è mutevole.

Giustizia – Vuol’essere equanime, ma soprattutto ponderata, non ostile. Deve ristabilire le condizioni, non affermare un potere.

Libertà – Non è naturale. La paura sì: lo schiavo tende a essere grato.

Morte – Si muore e si nasce a ogni istante.

Nulla - È il punto di partenza, non può essere quello di arrivo della filosofia. È il vizio della filosofia contemporanea, girare sul suo asse.

Problemi di base – Se Berlusconi ne sa più del diavolo, non sarà allora Dio?

Perché i giudici credono agli assassini, ai corrotti, ai bancarottieri? Contro coloro che bene o male stanno nella legge.

Razionalità – Con la fede è un problema, troppo indigente.

Storia – Dio non può cambiare il passato, la storia sì. Questo a Dio non piacerà – ne va della sua esistenza. Ci sono per questo catastrofi.

zeulig@gmail.com

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (10)

Giuseppe Leuzzi

Viene dal Nord, più che l’ecologia, la pretesa all’ecologia. La carta viene dalla Scandinavia, ne è la prima industria, ma loro sono i protettori dei boschi, è altrove che i boschi si tagliano scervelloticamente. Ora i governi del Nord Europa adotteranno il flight sharing per recarsi ai vertici europei, due-tre volte l’anno, nel presupposto che l’Unione europea sia qualcosa di troppo meridionale, sprecona. I virtuosi sono Benelux, Svezia e Danimarca, cui la Gran Bretagna potrebbe aggiungersi. “Risparmieremo otto voli l’anno”, fa sapere il premier olandese Balkenende. Il che non è vero: il suo aereo deve atterrare ogni volta a Bruxelles, e poi decollarne, all’andata e al ritorno, il che equivale a dire che il primo ministro belga – quando il Belgio ne avrà uno – potrebbe lo stesso usare il suo aereo senza inquinamento ulteriore. Non è vero per Balkenende, che dovrà comunque partire e tornare su Schipol. Un aeroporto che registra 500 mila voli l’anno.
È ipocrisia, non stupidità naturalmente. Anzi è una logica: non fare pretendendo di avere fatto meglio degli altri, se non seguendo il proprio interesse. L’abito normale del nordico: dire è essere.
Arzignano, la capitale del distretto conciario vicentino, si pone a modello d’integrazione dei suoi quattromila lavoratori stranieri. Ma ha un problema col “forte odore” del curry usato in cucina dagli indiani.

Milano calorosamente accoglie la bellissima principessa del Qatar, intelligente e molto colta, venuta a onorare la prima alla Scala col titolo di “sceicca”. L'accoglia affettuosamente a suo modo, per i milanesi quest'araba dev’essere una “negra”. Sceikh vuol dire vecchio, e per estensione saggio.
L'Eni, il grande gruppo milanese che i principi del Qatar aveva invitato per concludere l'acquisto del gas, di cui l'emirato è uno dei più ricchi al mondo, dovrà ritessere la tela. La superficialità di Milano va oltre gli interessi.

“Ciò che è misantropico è falso”, scriveva il filosofo francese Alain alla filosofa Simone Weill, che progettava saggi risentiti. Il risentimento, su cui nulla si costruisce, è la passione forte del Sud, un revanscismo vago, che si traduce in lagnosità: inesistenti diritti, colpe immaginarie, risarcimenti impossibili, eccetera.
Il leghismo è assertivo. È per questo produttivo, a differenza del risentimento. Il fatto, anche se non dichiarato, di ritenersi superiori e migliori. È per questo produttivo, benché ridicolo, incolto, impaziente. Il Sud invece affoga nel risentimento. Evidentemente incapace di ogni mossa leghista: non mangiare il panettone, per esempio. Pretendere un vero federalismo fiscale, esteso all’Iva, la tassa iniqua che i consumatori del Sud pagano ai produttori del Nord, anche quando la fabbrica è al Sud. Oscurare magari le tv di Berlusconi, invece di votare in massa per lui.

La tradizione scozzese che s’inventa nel primo Ottocento, spiega ad abundantiam Hugh Trevor-Roper, è quella falsa dei violenti highlander, mentre la Scozia si era fin’allora caratterizzata per una tradizione civile. Il principio che la moneta cattiva scaccia la buona vale anche per la tradizione.
La tradizione scozzese fu inventata dagli inglesi, per una serie di motivi. Fu un quacchero inglese del Lancashire, Thomas Rawlinson, a inventare il kilt, la gonna plissettata scozzese, per agevolare il lavoro dei suoi manovali nella con cessione boschiva che aveva in Scozia, impediti dal plaid informe avvitato in vita, l’unico abbigliamento che i poveri si potevano permettere.

Omertà. È una cosa corsa, sarda. Residuo quindi ligure o toscano. È stata importata al Sud con tutto il resto e ora gli viene imputata.

In Vittorini trova Calvino “l’istinto delle scelte vitali”. E aggiunge: “Come in tanti siciliani diventati milanesi con entusiasmo”.
Tantissimi. Perché questo istinto si esercita bene a Milano, male in Sicilia.?

Calabria. Erodoto diventa cittadino della colonia di Turii, fondata da Pericle per ovviare all’incremento demografico di Atene. Anche Protagora si reca a Turii e ne diventa cittadino. Ritornato in Atene, è accusato di empietà, e muore fuggendo in Sicilia.

Calabria. Ancora nel 1968, il peggio che il protagonista di “Belle su seigneur” riesce a pensare della sua innamorata è che essa se la faccia con un Calabrese. V. p. 671. Ca. LXXXIX, terza-quartultima pagina.

Terremoti, alluvioni, colera, niente ha fatto peggio di Garibaldi per il Sud. Che lo adora. Il Libertador non arriva da fuori: ci si libera, non si è liberati, c’è chi vuol’essere liberato, chi è pronto, e chi no. E se arriva deve portare la libertà: Garibaldi è stato un conquistatore e non un liberatore, non gliene è mai fregato nulla del Regno che ha liberato, solo della sua gloriola.

La Sicilia sfida le leggi della probabilità. In un universo di eventi, in un’elezione con più candidati, è impossibile che la totalità dei voti converga su un solo candidato. Perfino la Calabria, che avendo dato il nome all’Italia, e avendo un numero stragrande di Italiano all’anagrafe, votò compatta per l’unità ai plebisciti del 1861, registrò un cospicuo numero di no, sei o sette. In Sicilia invece l’impossibilità stocastica si è avverata, due volte. Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, ha preso il cento per cento dei suffragi espressi in due sezioni elettorali nel 1993. Alle elezioni comunali che lo videro vittorioso con il 75 per cento dei voti, tre su quattro, record mondiale, pur avendo a concorrenti personaggi e orientamenti stimabili. L’evento è tanto più apprezzabile in quanto non soltanto la città di Palermo era, a detta dello stesso Orlando, mafiosa, ma le due sezioni unanimi erano in quartieri ad altissima densità mafiosa. La seconda sfida alla stocastica l’isola lanciò nel 2001, dando a Berlusconi tutti i 61 parlamentari parlamentari che essa elegge. Nemmeno con i resti la sinistra riuscì a rimediare qualcosa. In questo secondo caso la straordinarietà della Sicilia si combinò con i noti poteri taumaturgici del Cavaliere.

martedì 11 dicembre 2007

Editori e banchieri contro la riforma

Niente accordo Veltroni-Berlusconi, e quindi niente riforma elettorale. Il referendum è preferibile, anche se prevedibilmente passerà, e quindi porterà alla legge elettorale cui pensano i due leader politici. Una serie d’incontri e di colloqui tra editori e banchieri, su e giù tra l’Engadina e Milano, nel lungo week-end dell’Immacolata ha sancito l’affondamento dell’intesa tra Veltroni e Berlusconi. Tra le governabilità e l’anti-berlusconismo non c’è stata scelta: l’unanimità è stata senza discussione sull’isolamento del leader di Forza Italia, tra De Benedetti, Bazoli, Caltagirone e Montezemolo.
Contro Berlusconi si punterà su Alleanza Nazionale, che è il terzo partito, ed è capofila degli avversari della riforma elettorale. Il prevedibile sì al triplice quesito del referendum, che equivale al nocciolo della riforma cui pensano Veltroni e Berlusconi, non sposterebbe l’obiettivo della campagna: impedire l’incontro tra i due maggiori partiti. Quanto alla nuova legge elettorale essa potrà essere, dopo il referendum, anche diversa da come il referendum stesso la propone. Non è la prima volta, è stato osservato, che il referendum viene “interpretato”.
Il summit informale è maturato di fronte all’evidenza che la riforma elettorale proporzionale e maggioritaria cui lavorano Berlusconi e Veltroni ha una solida maggioranza in Parlamento, tra Pd, Forza Italia e Rifondazione. Questo significherebbe sancire il ruolo politico di Berlusconi, e questo i partecipanti alla consultazione hanno concordi deciso di prevenire: l’obiettivo è tenere Berlusconi isolato. Il referendum è ritenuto preferibile perché ha comunque l’effetto di prolungare di un anno la vita del Parlamento, e quindi di Prodi a capo del governo – di questo o di un altro. Il referendum sarebbe il mezzo migliore, è stato detto, di ritardare nuove elezioni, che in questo momento favorirebbero Berlusconi.

C'è chi lavora al Veltruscone

La tentazione è stata ricorrente, negli incontri e le conversazioni tra St.Moritz e Milano nel lungo week-end dell’Immacolata, di affondare anche Veltroni. Il leader del Partito democratico è sospettato di progettare, col suo partito di provenienza, la liquidazione dell’establishment, o comunque la creazione di un vasto spazio di autonomia.
Nelle conversazioni del week-end ha preso forma anche il “Veltruscone”, una riedizione del “Dalemone”, la campagna di stampa che dieci anni fa contribuì ad affossare la Bicamerale e l’intesa D’Alema-Berlusconi. Ma si è deciso di soprassedere: Veltroni rappresenta l’altra gamba di Prodi. E anche perché Milano è rimasta fredda all’idea. Sia Geronzi che Bazoli sono attestati sul Partito democratico, che in Veltroni s’identifica.