Il tono fa impressione, tra l’acredine e la minaccia, nella levata lombarda di scudi su Malpensa, nomen omen, il genere che il “Corriere” codifica in “Milano sarà costretta a fare da sé”. Ma questo è quello che tutta Italia ardentemente spera che Milano per una volta faccia. Visto in sezione, il caso Malpensa è semplice: uno scalo che le faziosità municipali non hanno consentito di infrastrutturare, e a cui Linate, l’altro scalo milanese, ha fatto una concorrenza imbattibile. Risultato: nove voli intercontinentali su dieci del Nord Italia si fanno, via Linate, Bergamo, Bologna, Torino, Venezia, da altri grandi aeroporti europei. Milano tuttavia, pur viaggiando operosamente tranquilla via Linate e Bergamo, non resiste alla tentazione di far buttare altri soldi dello Stato - sono soldi che “le toccano”, questo è il sentire di Milano rispetto alla cassa pubblica.
Milano ha accollato alla Repubblica una lunga serie di bufale, all’insegna volta a volta dell’“italianità”, del “lombardismo”, e di “quel che è bene per Milano è bene per la patria”, genere General Motors. La più grossa, Montedison, è costata all’Eni, cioè allo Stato, più o meno 25 mila miliardi in venticinque anni - dopodichè Milano stessa ha buttato all'aria con Montedison una classe politica e le istituzioni della Repubblica, e l’Italia nel caos: tre milioni di licenziamenti, il mercato nero del lavoro istituzionalizzato, la corruzione ora alla portata di tutti e impunita. Ma anche Malpensa non è bufala da poco. Venticinque anni per realizzare lo scalo intercontinentale (la prima idea di Nordio, cioè di Alitalia, è del 1979), a un costo di cinquemila miliardi, più o meno per niente, sei diversi progetti nei tre anni cruciali del lancio, che hanno portato alla fuga di Klm, senza contare l’inabissamento di Az, che ora si vende gratis.
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