giovedì 17 gennaio 2008

La scienza laica di Cini

Marcello Cini, epistemologo caro a molti, ha acceso la miccia antipapale con la sua lettera al “Manifesto” il 14 novembre. Poiché quello che dice il “Manifesto” è vangelo, la lettera si cita ma non si legge. Eccola. L’argomento di Cini è che “la linea politica del papato di Benedetto XIV si fonda sulla tesi che la spartizione delle rispettive sfere di competenze tra fede e conoscenza non vale più”. Col disegno di espropriare “la sfera del sacro immanente nella profondità dei sentimenti e delle emozioni di ogni essere umano”. In particolare con “l’appoggio esplicito dato alla cosiddetta teoria del Disegno Intelligente”. Che Cini non esplicita, ma dice “tentativo – condotto tra l’altro attraverso una maldestra negazione dell’evidenza storica, un volgare stravolgimento delle controversie interne alla comunità degli scienziati e il vecchio artificio della caricatura delle posizioni dell’avversario – di ricondurre la scienza sotto la pseudorazionalità dei dogmi della religione”. Una lettere polemica, dunque, e non espistemica.
Il fatto è che Galileo non si sarebbe espresso così – è tuttora un maestro della prosa italiana, leggerlo per provarlo. Che la spartizione delle sfere tra fede e conoscenza non vale più da un pezzo. E che il Disegno Intelligente non è un crimine. È la prova di Dio del reverendo Paley (se c’è l’orologio ci dev’essere un orologiaio), che si rifaceva al sillogismo di san Tommaso d’Aquino: “Ogni qualvolta un disegno intelligente esiste, deve essere esistito un disegnatore; la natura è complessa; dunque la natura deve aver avuto un disegnatore intelligente”. Un Discovery Institute in America l’ha ripreso, senza parlare di Dio, in termini di ricerca scientifica: i processi vitali si spiegano meglio con una causa intelligente piuttosto che attraverso un processo casuale come la selezione naturale - a questo probabilmente si riferisce farraginoso Cini. Ma tanto è bastato perché l’improvvido Carlo Bernardini raggruppasse tutti i docenti della gloriosa facoltà di Fisica della Sapienza per scrivere burocraticamente al rettore: “Condividiamo in pieno la lettere di critica che il collega Marcello Cini le ha indirizzato sulla stampa”. Aggiungendo: il papa ha diffamato Galileo, in un discorso a Parma, il 15 marzo 1990.
Il discorso a Parma si è rivelato essere un cenno di venti righe, abbozzato a Rieti subito dopo la caduta del Muro e ripreso a Madrid due mesi dopo, sulla caduta delle certezze, anche nella scienza e nella tecnica. Il papa vi cita Ernst Bloch e Feyerabend a proposito di Galileo: “All’epoca di Galileo la chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo”. Il papa è tedesco e cita i tedeschi, ma avrebbe potuto citare il coevo e rispettato storico Pietro Redondi, la cui summa di studi galilaiani, "Galileo eretico", ora ristampato, uscì per la rima volta nel 1983. O l'accurato romanzo di Jacob Popper, “L’uomo e l’ombra”, del 1966. Insieme con Bloch e Feyerabend il papa citava Carl Friedrich von Weizsäcker, per la nota “via direttissima” che arriva alla Bomba partendo da Galileo. Il fermo Fermi non dissentirebbe, e non molti hanno dubbi. È peraltro con la Bomba che la scienza ha ripreso a dubitare. Leggendo Cini sembra di no, ma la sua lettera è piena d’inesattezze, non solo nell’assunto principale.
Identifica la democrazia in Oscar Luigi Scalfaro, un uomo che ha dissolto due Parlamenti in due anni. Incarna nella Sapienza 705 anni di autonomia antipapalina, mentre la Sapienza fu fondata da un papa, e non dei migliori, Bonifazio VIII. Dice che della teologia “non c’è più traccia nelle università moderne, per lo meno in quelle pubbliche degli stati non confessionali”. No, la teologia c’è sempre nelle università dove c’era, in Germania, Svizzera, Inghilterra, Belgio, Olanda, etc. Mentre non si trova “la spartizione delle sfere di competenze tra Accademia e Chiesa” che ci sarebbe dai tempi di Cartesio. Troppe sfere.
Il problema, che Cini certo sa anche se sfugge ai cofirmatari, è che questo laicismo puzza di complotto. Di chi vede ovunque la mano della chiesa, della massoneria, della Cia, dei servizi deviati, delle forze in agguato della reazione. E non li vede magari dove ci sono. Diceva Pascoli già un secolo fa, scrivendo alla Gentile Ignota, nel mezzo dell'Italia anticlericale: “Bisognerebbe, per la salute dell’Italia e dell’Umanità, che i cosidetti anticlericali e i clericali si mangiassero gli uni gli altri, come i due lupi della favola, e ne restasse solamente la coda, a testimonianza che erano bestie, e bestie simili, gli uni e gli altri”.
L’antipapalino “Micromega” ha nello speciale “Per una riscossa laica” (pp.240, € 14), prodotto in funzione antipapale, un’ottima aneddotica e una felice conclusione del sociologo Alessandro Dal Lago, che opportunamente riporta laico al suo significato. Il laos greco è il popolo, come il tedesco Leute, e dunque laikos è in greco “del popolo”. Da qui il latino laicus, “il credente minuto”, non ecclesiastico. E l’inglese layman, il non esperto, il profano o dilettante. Nulla di più. Si arriva nel costituzionalismo laico, ricorda Dal Lago, a negare la costituzione materiale, col solo fine di tener fuori dalla società la chiesa. Ma la chiesa non ha partecipato, e non partecipa, alla Costituzione formale? “Se la difesa degli spazi di libertà”, conclude Dal Lago, “che io non vedo che come cittadinanza in progress, è lasciata ai limatori delle convenzioni europee, a qualsiasi sparso erede dei dossettiani, e ai nostalgici carducciani e frammassoni, la battaglia è perduta in partenza”. È la stessa battaglia dell’uguaglianza.
Il primo libro laico della storia è il Vangelo, che demitizza tutto. Ed è anche anticlericale, ma in dibattito.

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