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sabato 19 gennaio 2008

L'ultimo paradiso sovietico

I dentisti ungheresi offrono dalla pulizia alla protesi a metà prezzo, compresa una settimana di vacanza, magari in un costoso centro benessere. E non c’è solo l’avidità, sull’Italia pesa il sovietismo sindacale, un letto in un ospedale pubblico costa sempre il doppio di un letto negli eccellenti ospedali romani della chiesa, a vent’anni dalla caduta del Muro. C’è un paese in cui il comunismo non muore, il comunismo sovietico, del "tutto è regolato e nulla funziona". Della politica vecchia, della burocrazia, della disorganizzazione, delle mance, senza giustizia. Dei lavori pubblici interminabili. Della libertà di rubare allo Stato, il gas, l’elettricità, l’acqua, le tasse. Delle medicine buttate nella spazzatura ancora sigillate. Della Nomenklatura eterna, di politici ridotti a figurine di biscuit, laccate, impomatate, imbustate – perfino la Cina li ha abbandonati ma non l’Italia, Andreotti non è il solo: nessun leader del Sessantotto, nessuno del Settantasette, solo i vecchi arnesi e le loro controfigure, Prodi di Andreotti, Berlusconi di Craxi.
È immobile il sindacato, una delle forze più vivaci dell’Italia repubblicana, si direbbe incartapecorito. È immobile l’economia, malgrado le privatizzazioni e le liberalizzazioni. Che hanno finito per irrobustire il lato sovietico dell'economia con Autorità occhiute e privilegiate, costosissime, senza beneficio per i cittadini: dopo le privatizzazioni e le liberalizzazioni, l'italiano paga l'elettricità, il gas, il telefono, il conto corrente e i mutui più cari in Europa.
Le privatizzazioni hanno, dove sono intervenute, un distinto flair post-sovietico: grandi banche e industrie prese per quattro soldi, cattivi servizi, tariffe monopolistiche. Due grandi banche e quattro gruppi industriali, tutti ex pubblici, dominano la Borsa. Uno in negativo, Telecom, tre in positivo, Eni, Enel, Finmeccanica. Uno svenduto dodici anni fa per niente, e gestito dai nomi più prestigiosi del capitale italiano, a partire da Guido Rossi, l’avvocato dei ricchi: un gruppo pubblico all’avanguardia in Europa e nel mondo alla privatizzazione, per la banda larga e altri servizi, che ora non sa nemmeno farci telefonare, benché favorito nel monopolismo da autorità compiacenti, l’Antitrust, l’Agcom.
È immobile l’opinione pubblica, i media, che dovrebbero fare l’analisi e la critica di questa realtà: privati oggi come ieri, cioè ossequienti. È sempre la continuità dello Stato, se si vuole, che fa la storia italiana, dell’Unità: dei socialisti che diventano fascisti, dei fascisti che si trasformano in comunisti, e dei comunisti convertiti al mercato e liberali. Ma la classe dirigente è sempre quella, e anche i poliziotti, fascisti e democratici, forse anche cristiani, sono sempre lì a combattere insieme a noi. Si discute ora, come già dieci anni fa, sull’identità italiana, se c’è, se non c’è, o se è perversa. E può darsi che il sovietismo sia nel Dna. Certo è in una serie impressionante di fenomeni.
La nomenklatura, di padre in figlio – nelle professioni, giornalismo compreso, come in politica
I nuovi capitalisti, predoni
I dipendenti pubblici neghittosi e prepotenti
L’inefficienza: un’analisi medica in una struttura pubblica costa tre e quattro volte che in una privata
La corruzione diffusa, “normale”
La Giustizia politica
Il Grande Orecchio Selettivo
L’immunità del potere: giudici, giornalisti, carabinieri, e certi politici
Uffici giudiziari che fanno a gare a truffare lo Stato, dichiarando più udienze, più processi, più scartoffie
L’apparenza ipocrita, la durezza dei fatti
L’antiamericanismo
L’autocensura
Il comparaggio politico
La libera speculazione a sinistra. Sono campioni della sinistra i maggiori speculatori, nella tradizione di Parvus, Stavinsky, Maxwell, Soros, a danno dei risparmiatori e della legge: Soru, De Benedetti, Colaninno, Consorte, e perfino Chicco Gnutti
I privilegi: delle Camere, delle grandi Corti, del Quirinale
I circenses: notti bianche, orchestre provinciali, corsi per modelle
Comuni che si affannano a truffare i cittadini. Roma, per dirne una, il Comune meglio amministrato d’Italia, di cui è sindaco Veltroni, il politico più amato d’Italia, che manda un milione di cartelle esattoriali di tasse che sa pagate o prescritte. E un altro milione sta per mandare. A opera di un esattore pubblico, Equitalia, di proprietà dell’Agenzia delle entrate e dell’Inps. Chi paga le raccomandate? Chi paga Equitalia? Chi paga l’encomiabile call center 06 che deve tenere dietro a tutte le proteste e incanalarle verso i muti uffici Ici, dell’annona, dell’unità contravvenzioni, etc.? Chi paga gli uffici muti?
Il sovietismo qui c’entra poco, è più il gioco delle tre carte. Il Comune di Roma, che spende tantissimo ed ha quindi un bisogno insaziabile di soldi, ha tenuto banco per un paio d’anni vendendo all’esattore, allora il Monte dei Paschi, gli addebiti già pagati o prescritti. Quando i compagni del Monte si sono sottratti, avendo anticipato un sacco di soldi per niente, il buon Veltroni ha rifatto il gioco delle tre carte, rifilando il milione di cartelle ineseguibili a Equitalia, cioè a tutti gli italiani. Per i costi diretti, di ricerche, consulenze, pareri legali, raccomandate. E indiretti, per le centinaia di migliaia di nuovi casi a carico del giudice di pace e del tribunali. Il sindaco buono incassa nuovi aggi, che gli hanno consentito di respirare nel 2007, e gli consentiranno anche di tirare fino a tutto il 2008, poi si vedrà.
Questo gioco delle tre carte non è innocente, e anzi sarebbe materia penale, ma non bisogna disturbare la Procura della Repubblica, che a Roma deve fare la guerra ai rumeni. Per i destinatari del milione di cartelle sono un sacco di disagi, ma Veltroni è pur sempre il sindaco più amato d’Italia, quando gli va male ha con sé il 60 per cento dei romani. Evidentemente hanno altro di cui essergli grati, si sa che Roma è città fascista anche se vota a sinistra, volentieri affrontano il disagio della tassa pagata. In Italia è come nell’ex paradiso sovietico: la borghesia c’è ma si nega.

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