Scendiamo in ascensore – scendere in ascensore, ridicolo - con l’abbé Pierre, che ora è morto (ma non era già morto?). Di cui so tutto. È anche come l’ho sempre immaginato, un tempo, negli anni 1950, l’abate occupava le cronache in quanto partigiano e prete operaio, o comunque ribelle: piccolo, nero con la tonaca, irascibile. Lui non sa nulla di me, neppure il nome – ma, con l’eccezione degli americani, il nome non dice nulla a nessuno.
Era il 1982 o 1983, quando il giornale era su questa piazza. Ma anche ora che dell’abate si annuncia la morte, scendendo dal 75 per andare alla Biblioteca Nazionale, l’odore è persistente. L’odore della santità. Per quanto, la santità non si saprebbe dire, non di quell’uomo. Se non forse nello sguardo, chiaro e velato insieme, di chi sa di vederci benissimo ma gli altri non vede. Che però è comune, anche il Direttore guarda e non vede allo stesso modo.
Sono la sua compagnia obbligata perché conosco il francese. Il Direttore non ha voluto vederlo. L’abate è proprio il tipo che al Direttore non dice nulla: non ha fisico, non ha potere, non ha denaro, e poi è un prete. Un vergine, quindi rinsecchito e senza garbo. Così è. A me sembra invece di conoscerlo da sempre, forse per aver fatto le scuole dai preti. Anche lui mi parla come se riprendessimo una conversazione.
È incazzato nero. Proprio così, non lesina le parole dure, perfino oscene. Una sua nipote è comparsa in alcune cronache come terrorista. Anzi peggio, come basista a Parigi di un gruppo di doppiogiochisti per conto dei servizi segreti francesi. Se non, si dice, si spera, si afferma, americani, dell’intollerabile Cia – i servizi francesi invece sono, chissà perché, simpatici e anzi quasi una bandiera.
Anch’io ho in orrore le cronache disinvolte. Quando si tratta di servizi segreti bisognerebbe sempre avvisare che le notizie vengono inevitabilmente da altri servizi segreti. In più so che il ludibrio è accresciuto dalla parentela: la nipote diventa colpevole già per il fatto di avere uno zio prete. E so che questo pregiudizio è dei mentecattocomunisti. A me, che sono laico, ripugna. Povero abate, dunque, vittima del suo stesso masochismo spirituale.
Ma l’ascensore ha solo due piani da fare, lo prendiamo perché a ogni pianerottolo il giornale è pieno di guardioni antiterrorismo. Siamo subito all’ingresso e non so che fare per calmarlo. Dove lasciarlo, con che congedo? Se il Direttore non ha voluto sentirlo, sarà difficile che gli pubblichi quello che vuole dire. Penso di proporgli un tassì, ma per dove? Mi precede dicendo che vuole lasciare una protesta contro i giudici istruttori, allora c'erano i giudici istruttori, che hanno diffuso tante false notizie. E mi libera da un peso. Il Consiglio Superiore della Magistratura è nella nostra piazza, l’accompagno a piedi, ci faccio un figurone.
All’ingresso non va bene. Il palazzo dei Marescialli è chiuso, non c’è la targa con l’orario, non si suona, non c’è battente. I pugni sul grosso portone risuonano come la bambina di Cappuccetto Rosso che bussa alla nonna nel bosco. Ma una volante esce provvidenziale in tromba, lasciando un varco nel portone che si richiude lento in automatico per intrufolarci. L’abate è in tonaca, e questo ci proteggerà in tanto augusto ambiente da interpellazioni urlate e strattoni. Così è. Con l’eccezione del solito guardione romanizzato che tutti tratta da poveretti, abbondando in dondolamenti e sguardi inceneritori. Per esperienza della città non mollo. Bisogna farsi umili e insistere, per passare all’istanza successiva. E ci arriviamo.
Dal guardione passiamo all’usciere dell’ufficio “passi”. Il disagio di precisa nel breve tratto Il disagio si precisa in un odore strano nell’androne, sgradevole, di chiuso, di umido, di decomposto. L’usciere spiega in italiano, atteggiando il viso a cortesia, benché disturbato nel suo riposo in orario di chiusura, la zolfa dell’orario di ricevimento. È protetto da un vetro, parliamo attraverso i microfoni, e questo è già un bell’effetto. Ma mi sovviene che l'abate non parla l’italiano e alzo il tiro: ospite francese, personaggio illustre, è stato in Vaticano, il richiamo funziona, questa è la tana dei mentecatti, è stato a Palazzo Chigi, gli hanno detto di rivolgersi al Csm. È fatta, l’usciere telefona.
Al piano ci aspetta un altro usciere in divisa. Attorniato anche lui dall’odore persistente appena usciti dall’ascensore. Entriamo in una delle solite stanze Novecento, incredibilmente grandi. Dietro una scrivania piena di cartacce è seduto uno stinto signore in occhiali e senza capelli, ma pieno di forfora. Mi appresto a fare le presentazioni e riepilogare i fatti. Il signore, segretario di non s’è capito che cosa, mi precede, ha immediato il senso delle convenienze. Spiega le procedure, i ricorsi, gli avvocati, i giudizi di merito, i giudizi disciplinari, e sillaba spesso frasi in latino, con l’evidente intenzione di farsi meglio capire dall’abate.
Sono costernato. Dovrei tradurre, o forse no. E comunque il segretario non me ne dà il tempo. Ma ci pensa l’abbé Pierre. Si tira su dal sedione, con un piccolo balzo poggia i piedi per terra, estrae dalla tonaca una busta rigonfia, la mette sul tavolo, e dice in francese: “Questi sono i fatti. Tocca allo Stato rendersi l’onore”. E senza salutare usciamo.
L’odore sì è fatto acuto uscendo dalla stanza incredibilmente grande. Forse per l’ira, le passioni acuiscono i sensi. Forse per le teste impiccate sulla facciata, che imprimono entrando un malessere proprio allo stomaco. Siamo usciti in silenzio. In silenzio ho accompagnato l’abate al tassì, accanto all’edicola di Augusto, che sornione si gustava la scena fuori del chiosco. Il sant’uomo non mi ha nemmeno salutato.
- C’est un égout – aveva dichiarato sulla piazza guardandosi indietro, una fogna, della suprema istituzione della giustizia. Come una sfida, senza arricciare il naso.
Ora si sa che il fidanzato della nipote era una spia, cui Curcio è stato legato, e Moretti lo sarà sempre. L’abate aveva chiuso il circolo, s’era chiuso al mondo di cui pure si voleva parte. Per un sesto senso, chissà, o la ragionevolezza semplice. Il mondo opaco, arido, protervo delle spie e dei terroristi, e degli Stati senza onore.
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