Si moltiplicano le “perizie” psichiatriche sui bambini di quattro e cinque anni nel processo di Tivoli alle streghe di Rignano. Per i soldi, è da presumere, tanto più che altri genitori aderiscono alla società delle vittime, e l’affare si va a ingrossare, ci sono perizie per altri sei mesi. O per apparire sui giornali e nei talk-show. È un autoprocesso a questa scienza, che si fa a Tivoli a opera degli psichiatri, oltre alle solite illegalità dei magistrati. I quali non processano i genitori che facevano i filmini coi bambini sul letto la domenica pomeriggio, ma vogliono a tutti i costi un delitto inesistente per dispiegarvi attorno perquisizioni, requisizioni e, appunto, spreco di “perizie” – mancano solo i Ris di Parma.
Ce n’eravamo dimenticati ma nulla è cambiato nella psichiatria, rispetto a quarant’anni fa. Quando i genitori e i fratelli costrinsero un giovane di venticinque anni al manicomio. Da dove non riuscì a uscire, benché scrivesse a sua difesa e parlasse con calma e con chiarezza, perché molti professori, pagati dalla famiglia e dal tribunale, lo dichiararono pazzo. Per avere intrattenuto una relazione omosessuale, forse – nemmeno questo il processo, che si celebrò per un anno con spreco di “perizie”, accertò. Il caso fu raccontato nel 1969 da Moravia, Eco, Musatti, Ginevra Bompiani, Mario Gozzano, Adolfo Gatti nel collettaneo “Sotto il nome di plagio” (Eco ha ripubblicato il suo testo in “Il costume di casa”, che ancora si trova). Poi si sono voluti i manicomi chiusi. Ma bisognerebbe riaprirli, per gli psichiatri.
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