Kechiche fa tesoro di attori eccezionalmente espressivi e aggredisce lo spettatore con una diecina di piani sequenze in primi piani, due ore e mezza senza fiato. Per dire la vita ordinaria degli arabi, pensa alla fine lo spettatore, che è uguale a quella di qualsiasi francese della costa mediterranea – l’ordinarietà è oggi tesoro fra gli orrori degli arabi, lo spettatore deve pensare politicamente corretto, addolcisce la diversità. Ma non è questa la storia, Kechiche non ha redatto un elzeviro. Ha fatto un dramma dell’ordinario. Con una storia polimorfa, quindi, e non univoca. Ma profondamente antifemminista, sottilmente.
Lo spettatore pensa il contrario, affascinato dalla capacità delle attrici, i protagonisti sono soprattutto donne. Il personaggio che tiene le fila dei piani sequenza, uomo onesto, parco, lavoratore, simpatico, uno che si occupa di tutti, figli, mogli, figliastra, si ritrova senza lavoro, senza mogli, senza figli, e senza l’indispensabile motorino della sua vita di samaritano. Scene di bravura, il pranzo di pesce che l’uomo ha preparato restandone escluso, gli amici musici, la nuora russa vilipesa dalla Grande Madre, la Figlia Madre che ne prende per mano le attività, la danza del ventre della stessa che ne sostituisce il veglione, lo fanno sembrare un film femminista, e invece è il contrario. Le donne vi sono capricciose, protettive, castratrici, superficiali, sempre piene di sé, mai generose. Il titolo del film, in origine anodino, “Le grain et le mulet””, gli ingredienti del cuscus di pesce, diventato “Couscous” nella versione italiana, si vuole letto in francese, essendo le due sillabe separate, cou-cou, cuccù e cornuto, forse non involontariamente.
Abdellatif Kechiche, Cous cous.
giovedì 14 febbraio 2008
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