““Dove sono finiti gli ex comunisti” si chiese, affettuosamente, Vittorio Foa a metà del decennio” 1990. Sono ben vivi nel vecchio genere autobiografico, l’esercizio letterario che veniva richiesto a ogni nuovo iscritto al Partito, sia pure di modesta cultura. Il settore è affollato e Alessandro Casellati lo documenta irriverente con molte sorprese. C’è chi, come Pintor di “Servabo”, “si chiude in un orgoglio tutto domestico, araldico, di chi di appartenere per diritto di nascita a un nobile casato”. Alla stessa maniera Asor Rosa, che si nasconde “dietro le maschere del padre e del suo gatto”. E c’è ch, come Moni Ovaia, prova “a fare iconti con il comunismo reale – e col suo comunismo del cuore – in un libro di barzellette”. E ch, come Rossanda e Ingrao, debutta con i ricordi “nella collana dei Supercoralli italiani, accanto a Giorgio Bassani e Elsa Morante”, nella superletteratura delle odiosamate Edizioni Einaudi, del cav. Berlusconi.
Non c’è silenzio dei comunisti, conclude Casellati, “adesso scrivono autobiografie anche i cinquantenni”, D’Alema, Veltroni, Fassino, Angius, Petruccioli, Folena (e i quarantenni: Bettini, Finocchiaro….). Andrea Romano, lo storico che ne ha scritto con durezza su “La Stampa”, è stato d’altra parte collaboratore di D’Alema nella fondazione “Italianeuropei”, e dirige la saggistica (“non-fiction”) di Einaudi.
C’è rimozione. Nessun esame di coscienza, l’autocritica dei tempi felici del Partito – la cistka – che tanto più opportuna sarebbe oggi. E c’è un pubblico sicuro: Veroni, con l’autobiografia romanzata “La scoperta dell’altro” è stato il best-seller di un anno fa, “centomila copie la prima settimana, sei edizioni in dodici mesi”, di centomila copie l’una è da presumere, Libro Oro della Rizzoli.
Alessandro Casellati, Mnemosyne presso i nostri comunisti, in “Belfagor”, a.LXII, n.6, €18
giovedì 21 febbraio 2008
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