Oinopas, colore del vino, è in Omero lo Ionio. E detto dello Ionio si capisce, quel mare, prendendo il nome dalla ragazza Io, è altrettanto capriccioso.
Il “don” è uso lombardo – don Lisander. Lo attesta Isella dei Dossi, Carlo e il figlio, e da qualche parte Dionisotti.
Anche nella questione spazzatura, come già per i mega yacht, alfiere della coscienza civile in Sardegna è Soru. L’imprenditore che la sinistra ama, questa sinistra di Mani Pulite, speculatore e un po’ bancarottiere. Dopo Carlo De Benedetti e con George Soros. Dall’attaco feroce alla lira che ha messo in gnocchio l’Italia, avviando quindici anni di stagnazione se non di crisi, alle molteplici attività irregolari e perfino illegali di De Benedetti (Fiat, Ambrosiano, Sme, Société Générale, Olivetti, Infostrada), alla famosa rapina del collocamento Tiscali, quando il titolo fu portato a cento euro – sembra incredibile – mediante il gioco dei compari con le banche d’affari.
La tradizione è lunga delle simpatie della sinistra per gli avventurieri, Parvus, Stavisky, Maxwell, Soros, il più incredibile di tutti, se è vero che è sopravvissuto al lager. Ma con Soru sono, sono stati, di sinistra perfino Colaninno e Gnutti, sotto l’occhio compiacente dell’inflessibile ministro delle Finanze Visco.
Nella spazzatura Napoli si riflette non più magnificente e lazzarona ma piccolo borghese, nella durezza della vita quotidiana, di chi, tornando a casa, vuole stare in pantofole. Si vede anche dall’opposta reazione dei napoletani che vivono fuori, Martone, La Capria, legati al clichè, e di chi la città la vive in città, “Elena Ferrante”. La politica vi è politicanteria, senza nessuna grandezza, nemmeno criminale: piccoli clan familiari (i Pecoraro, i Mastella, i Bassolino, i Jervolino), posti, favori, prebende, anche miliardarie, mini appalti truffaldini. I giudici soprattutto vi sono piccolo borghesi: paurosi, tromboni, nepotisti, opportunisti, scoperti e feroci nei raggiri.
"Quelli di Roma” si diceva già nel 1941. Carlo Levi sceneggia ne “L’Orologio” l’incontro simbolico, davanti alla sua porta di direttore del giornale “Italia Libera“ a Roma (dopo esserlo stato di “La nazione del Popolo” a Firenze) di quattro esponenti della Resistenza del Nord, un avvocato di Cuneo, un operaio di Bergamo, un giudice di Novara e un ingegnere di Udine, i cui umori così sintetizza: “Quell’odio di Roma era l’espressione sentimentale, più o meno rozza, la manifestazione simbolica di uno dei motivi permanenti della nostra storia”. E commenta: erano uomini che, “almeno per un periodo, avevano mosso le cose e gli uomini”, e ora “tornavano a ridursi, al solito, a parole.
Worte, worte, keine Taten,
keine Knödel in der Suppe”
– il primo e il quarto verso di una poesiola postuma di Heine: parole, parole, niente fatti,\niente carne nella zuppa.
8 “Nel 1993 la moglie di Provenzano portò i figli a Corleone e si scoprì che parlavano meglio il tedesco dell’italiano”, racconta Danilo Taino sul “Corriere” del 14 gennaio. C’era la mafia allora, ma anche prima, negli anni Ottanta, per le strade in Germania, a raccogliere il pizzo nelle pizzerie e gli ortofrutta. Spesso sotto forma di tasso usurario per conto del direttore o vice-direttore della banca all’angolo. Che si pagava così il riciclaggio di mezzo milione, un milione di marchi. O raccolta in tavolate appartate a ora tarda a dividersi la coca, e a contabilizzarne i proventi. Bastava essere turisti in Germania per vederlo. Un po’ come a Mazara, a Brindisi e a Crotone nel tempo si vedevano al bar i trafficanti di carne umana organizzare, aspettare, dividersi i carichi. Ma solo ora la polizia tedesca se ne accorge, dopo quindici anni, dopo la mattanza di Duisburg.
C’è una inefficienza di base nei sistemi della polizia che batte sempre ogni teoria complottistica – basti pensare all’11 settembre. Ma la mafia sempre prospera nell’assenza di contrasto. Ogni altro delitto, sia pure un furto in villa o uno scippo, viene perseguito all’istante. La mafia può tessere la sua tela, non incognita, per anni e per decenni, deve solo non fare stragi per restare impunita. Ma – complotto a parte – il quesito è: per inefficienza della polizia o per compiacenza? Alla definizione classica che Sciascia ne ha dato, della mafia bisogna dire anche questo: che ne ha per tutti.
Pentitismo. È un regalo alla mafia: la legge imposta nelle forme inquisitoriali. Segrete, inquinabili. E un veleno inoculato nell’antimafia: un artificio, all’origine, di polizia ecclesiastica, che ne è diventato la legge e l’anima.
La mafia, quando l’etimologia era in voga, e anche gli arabi, si diceva di origine araba. Ma c’è la mafia al Cairo, città informe di dieci milioni di abitanti? C’è nella casbah di Algeri? No, non c’è. È che al Cairo e nella casbah algerina, per motivi politici, tutto si sa. C’è il controllo.
A New York ci sono state una mafia irlandese, prima di quella siculo-napoletana, e una polacca. Si potrebbe allora dire la mafia un fenomeno cattolico. Ma c’era anche una mafia ebraica. C’è sempre stata una supermafia cinese, e una giapponese. E c’è ora una russa.
La mafia è l’impunità.
Sudismi\sadismi. Francesco Erbani, “la Repubblica”, 31 gennaio, in apertura della sezione Cultura: “Uno studio sugli errori commessi da docenti universitari di Salerno. Quanti svarioni chiarissimo professore”. A proposito di uno studio che “prende in esame una quarantina fra testi e dispense”. Promosso dal titolare di Italianistica, o di Storia della lingua italiana alla stessa università, Federico Sanguineti. Su testi della facoltà di Lettere e della contigua scienza della Formazione, ex Magistero. Dove si rilevano quantità di “un’altro” e “qual è” e di solecismi napoletani.
La verità non conosce limiti. La correzione delle dispense, o la supervisione delle stesse da parte del titolare sarebbe auspicabile. Allo stesso modo come, di nuovo, la correzione in bozze dei giornali: ci sono troppi “un’altro” in ogni numero di “Repubblica”. Mentre di “qual” si contesta la natura di troncamento e non elisione. Colpita a morte è una delle migliori università del Sud, meglio organizzata, meglio dotata, per studenti e professori, meglio governata. Una delle prime, se non la prima, ad aver adottato corsi di alfabetizzazione primaria per le matricole – lo studio degli errori delle dispense è per questo specialmente perfido.
Federico Sanguineti, protagonista un anno fa di un incidente con l’“Espresso”, che l’aveva messo nella categoria dei baroni per essere figlio del poeta-professore Edoardo, è autore di un’edizione critica della “Divina Commedia”: “Un lavoro improbo”, testimonia lo studioso di se stesso in un suo blog a tempo perso, “che ha portato lo studioso a fare le acrobazie per far combaciare gli impegni di lavoro universitario con la necessità di raggiungere di persona, pagando di tasca propria treni, vitto e alloggio, i molti fondi e biblioteche (una trentina solo in Italia) dove sono sparsi i codici danteschi”. L’ultime entry del blog è del 17 gennaio, un epigramma contro il papa: “Il Papa è papa e re\Dèssi abborrir per tre”. Dove però non si capisce: il papa non sarebbe da aborrir, con una b, per due? Ma forse il papa è anche il diavolo, anche lui, questa terza incarnazione deve’essere rimasta nella penna allo studioso.
Babà, cassate, bacetti, non una linea di colore è mancata alla condanna del governatore della Sicilia per mafia, la condanna a metà – la condanna cioè è grave, cinque anni sono tanti, ma non è circostanziata, e insomma, si sa come andrà a finire. Il molle Cuffaro è ora un personaggio,di cui sappiamo tutto. Ma la cosa essenziale del processo non viene detta, e la più interessante: tra i condannati figura il maresciallo di Finanza Giuseppe Ciuro, che da anni fa le indagini di mafia per conto dei giudici Ingoia e Borsellino. Essenziale anche perché acclarata: i contatti tra l’investigatore e i boss ci sono stati. Omertà? Quanti giornalisti sono intimi del maresciallo? Noto per la giovialità, e la disponibilità per i giornalisti giudiziari di ogni bordo, molto ospitale anche.
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