Giuseppe Leuzzi
Nord. La tramontana è certo meglio dello scirocco, il vento di borea, aquilone.
Suscita orgoglio, certo mal riposto, lo studio della Commissione parlamentare antimafia che vuole la ‘ndrangheta la maggiore organizzazione criminale d’Italia, e quindi presumibilmente d’Europa – solo l’Italia ha le mafie, giusto? E anzi la controllora del mercato mondiale della droga. Gli stessi giornali ne riferiscono con malcelato rispetto, che accasciano la Calabria di ogni turpitudine. È un segno di vita. I calabresi erano statutariamente: 1) impiegati dello Stato, anche ora che il decoro non paga più, 2) alla caccia perpetua di un posto, della raccomandazione. Questa ‘ndrangheta così rappresentata, seppure violenta, invece è: 1) democratica, basta vedere i ceffi che ne sono a capo, 2) modernizzante, a suo agio tra regolamenti comunitari, regolamenti degli appalti, circuiti finanziari mondiali, 3)capitalista, poiché investe e non sperpera, né tesaurizza.
Se Provenzano è un confidente
Il boss Provenzano confidente dei carabinieri? Si saranno voluti divertire in esclusiva con i “pizzini”, dato che molti li trovano molto divertenti, il genio siculo anzi ne ha fatto un genere letterario. Ma non è fantamafia per chi vive la mafia, ed è il filo della richiesta di giudizio il 4 febbraio per il prefetto Mario Mori, ex generale dei carabinieri, e il colonnello dei carabinieri Mauro Obinu. La richiesta del pm Di Matteo è la seconda o terza in tal senso della Procura di Palermo. La prima accusa, dei pm Ingroia e Prestipino, era contro Mori e il capitano dei carabinieri Sergio De Caprio (“Ultimo”) per la mancata perquisizione il 15 gennaio 1993 del covo dove Riina fu catturato. Per questa accusa c’è stato il rinvio a giudizio, il 18 febbraio 2005, ma derubricando il reato da favoreggiamento aggravato a favoreggiamento semplice, che consente il processo con un solo giudice, senza collegio giudicante. Il 18 gennaio il giudice monocratico ha fissato l’udienza per il 18 luglio, per la quale data il reato sarà prescritto.
Il nuovo procedimento si è aperto sulla accuse del colonnello dei carabinieri Michele Riccio, che aveva apprestato a mezzo dei suoi confidenti la cattura di Provenzano il 31 ottobre 1995. Secondo Riccio, Mori e Obinu non arrestarono Provenzano né allora né dopo, né indagarono i due capi mafia che servivano da collegamento per Provenzano, Giovanni Napoli e Niccolò La Barbera. La Procura gli ha creduto e dunque la verità è questa: Provenzano era un confidente migliore di quelli di Riccio, perché ha consentito la cattura di Riina. Per questo motivo il covo di Riina non è stato perquisito, per non trovate tracce che impedissero a Provenzano un’altra dozzina d’anni di aria.
Riccio proveniva dalla Dia di Genova, dove aveva riempito di armi il comignolo di Carmelo Romeo, muratore calabrese di Roghudi emigrato a Sarzana, e il 31 maggio 1994 aveva eseguito un’irruzione a colpo sicuro, scoprendovi un mitra Parabellum, un fucile semiautomatico a canne mozze, una Beretta semiautomatica calibro 9, una calibro 7,65, una carabina, molti pacchi di proiettili. Le armi aveva fatto nascondere da un suo confidente, per accreditare Romeo come capo-‘ndrangheta e se stesso come abile investigatore. Ma due marescialli lo tradiranno dopo qualche anno, Giuseppe Del Vecchio e Vincenzo Parrella, una volta che saranno stati condannati a 14 e dieci anni per traffico di droga, quella sequestrata con cui pagavano i confidenti: la Dia di Genova era il luogo dello spaccio gratuito. I due sottufficiali circostanzieranno che le forniture di droga e armi erano normali negli anni di Riccio, benché non ortodosse, per creare delle carriere.
Si potrebbe farne un film d’azione. O un giallo alla Simenon, i cui i buoni sono solo più forti. Per un po’ di tempo, un anno o due.
Ci sono rapporti (relazioni di servizio) dei CC o della Polizia anche su come e quantunque la Procura di Palermo sia anch'essa colpevole, soprattutto per essere divisa. Grosso modo, la divisione è sulla linea investigativa di Falcone: imputiamo reati che possiamo provare e otteniamo delle condanne, solo le condanne sono dirimenti. La linea dei mammasantissima dell’antimafia, Caselli, Lo Forte, Spampinato, Ingroia è invece: imputiamo il massimo che possiamo imputare, la condanna è già nelle imputazioni. Si è così arrivati ai processi Contrada, Andreotti, Mannino, Musotto, Cuffaro. Ma non si tratta solo di filosofie. I magistrati di “Micromega” sono durissimi con gli stessi magistrati della linea Falcone, ai quali periodicamente addebitano, anche scopertamente, le peggiori connessioni mafiose.
Queste magistrati accusatori di magistrati non sono bella gente e meriterebbe qualche volta “vedere” il loro terrorismo su “Micromega”. Uno non vorrebbe essere compagno, e neppure amico, di Lo Forte. O Ingroia. O Spampinato. Caselli non conta, è un uomo che conta solo per la capigliatura. Anche perché nell’ultimo (2005) attacco all’altra Procura, di Grasso e Pignatone, Ingroia ha accusato Pignatone di avere ricevuto in regalo un appartamento o una villa – la relazione di servizio evidentemente non era precisa, ma sottintendeva il regalo essere di un mafioso. E Pignatone ha avuto paura, ha temuto che fosse un messaggio mafioso. Perché sapeva che i collaboratori di Ingroia lavoravano per la mafia. E che la casa a mare di Ingroia stesso era ristrutturata da un’impresa mafiosa. Non sembra di sognare?
Secondo Montaigne, per Aristotele i buoni legislatori antepongono alla giustizia l’amicizia.
Contro Mancini 23 pentiti, contro Andreotti 28, le cui dichiarazioni sono state “riscontrate” – riscontrate come valide – dagli inquirenti, mentre i processi si sono invece sgonfiati. Colpa dei pentiti? Colpa degli inquirenti, che organizzano i “riscontri”. Ma niente, non succede niente, si sta sempre a riaffermare l’indipendenza della magistratura.
“La “cultura delle indagini” da parte della polizia giudiziaria e dei Pubblici Ministeri che la dirigono, diventa nient’altro che una accurata (non sempre) ricerca dei “riscontri” alle dichiarazioni del collaboratore di turno: quando i riscontri mancano (e capita spesso per vicende lontane nel tempo e per fatti ormai trascorsi) il riscontro diventa la dichiarazione dell'altro collaboratore che “conferma l'attendibilità” del primo che ha parlato”. (Oscar Magi, giudice a Milano, di Md, per il blog “Gli argomenti umani”).
Pentiti. Sono i confidenti dei magistrati. Sembra niente, è oro.
Sono killer, grassatori, bancarottieri, concussori. Attraverso di loro la giustizia viene a dipendere da criminali accertati. Non senza conseguenze: anche quando porta informazioni utili, il pentito sovverte la giustizia.
Il fine del pentito è avere abbuonata la pena, e salvaguardare il patrimonio confiscato, o costituirsene uno a spese dello Stato. Il pentimento è solo una strategia processuale, come il patteggiamento, l’ammissione di colpa, le attenuanti: un avvocato qualsiasi può ottenere col pentimento per un sicuro ergastolano pene miti subito condonate, un condono delle confische, e magari una residenza protetta e una pensione.
Nessun pentito è perseguito, tanto meno condannato, per calunnia, mentre si sa che ne abusano.
Il pentito non si rieduca, era e resta un malfattore. Ma la legge lo nobilita.
A una sommatoria il pentito di mafia è uno spreco di tempo, di risorse, di fiducia. Nella lotta alla mafia. È utile per altre cose, ma non per la giustizia.
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