Questo si poteva leggere su Anti.it giovedì 27 settembre 2007
Mancini è per Moratti un servo di casa
Quando l’Inter vince e quando perde sempre si discute di Mancini. Che di quella squadra, di trentasei nazionali di tutto il mondo, è in fondo solo l’allenatore. Mancini, l’uomo più pagato del calcio, più di Totti per dire, o di chi fa venti e trenta gol a campionato, viene detto sempre sul punto di essere licenziato: o perché non vince, o perché il gioco non è bello, o perché, se vince sempre, non fa giocare questo e quello. Cattiveria dei giornalisti? Può darsi. Ma una ragione c’è, ed è che il suo patron Moratti lo considera, più o meno, un servo di casa. Ora che ha vinto, dice: “Non dubitavo che Mancini avrebbe raddrizzato le cose”. Quando alternativamente gli chiedono se lo manderà via per prendere Mourinho, non rifiuta la domanda, ma risponde: “Ha un contratto con noi, intendiamo rispettarlo”. Mai un segno di stima, se non di amicizia. Né di rispetto professionale. L’Inter è il feudo del “giovane” Moratti, che ancora non ha scoperto che la storia ha girato millennio. Il suo superpagato Mancini non è il dio del calcio italiano, ma s’immagina ogni mattina come un qualsiasi vassallo, col ciuffo ribelle e le ottime camicie bianche, prono a ricevere interdetto i voleri del feudatario, in una Milano ignota e un po’ ostile.
Ciò avveniva dopo che l'Inter aveva perso una Supercoppa con la Roma, che non lpaveva neanche festeggiata. Questo si può aggiungere, copo che Mancini in tv ha lanciato il suo uppercut alla società, la squadra, la città, i tifosi:
Tutto ciò è ben Milano. Epitomizza l’Italia milanese di questi anni, molta boria e poco ingegno. Non si discute di un club che ha rovinato e scartato un’ottima nazionale: Toldo, Pasquale, Grosso, Cannavaro, Materazzi, Pirlo, Cristiano Zanetti, Morfeo, Semioli, Vieri, Corradi, allenatore Lippi. Di un bilancio ignoto, anche se benedetto dalla nobile Procura milanese, che si presume pagato di tasca propria dal patron. Del quale si sapeva in anticipo anche che sarebbe stato assolto dal collocamento bidone in Borsa della sua Saras due anni e mezzo fa - la Procura partenopea di Milano sa chi perseguire (anche questo di poteva leggere su Anti.it, il 27 settembre). Né si discute del commercio dei calciatori estero su estero, meglio se cari, le provvigioni sono più alte. In passato questa è stata una delle vie per lasciare soldi all’estero, una quota delle provvigioni ai procuratori. Si sono comprati giocatori in serie ovunque nel mondo, mai utilizzati. Ci fu chi comprò intere squadre di calcio, in Francia, Spagna, Grecia, per meglio ampliare la riserva. Questo non è naturalmente il caso dell’Inter, né di Moratti. Anche gli arbitraggi a favore e, quest’anno, quelli dichiaratamente contro, notevolissima novità nella pur variegata panoplia della corruzione italiana, non sono stati fatti, come tutti sanno, per favorire l’Inter. Che solo deve vincere in Italia, poiché fuori le perde tutte. E Mancini in fondo chi è? Uno che ha vinto le coppe e le supercoppe che nessuno vuole, e un campionato da cui i compari avevano provveduto a estromettere la Juventus, il Milan, la Fiorentina, e i banchieri la Roma.
In fondo sono solo partite di calcio. Di solido ci sono i 250 milioni di euro di finanziamenti pubblici che ingrassano, nella Sardegna del virtuoso Soru, la Saras. Che può così fare tanti profitti da pagarsi, a Milano, l’Inter. Con la quale scardinare il foot-ball, l’unica cosa che ancora non era milanese, non tutta.
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