Antonio Delfino, Il raglio dell’asino, Nuove Edizioni Barbaro di Caterina Di Pietro, pp.156, €13
giovedì 24 aprile 2008
Delfino, o l'asino in Aspromonte
Molti scrittori, e molti libri, ingombrano le librerie nell’imperscrutabile logica editoriale che non presentano nessun interesse di mercato. Tante delle opere tradotte, per esempio. Mentre restano ai margini, non stampati o non distribuiti, autori e opere di sicura godibilità. Anche di sottigliezza letteraria, per stile, taglio, tematiche. Che in questo caso rimanda, asino per asino, senza rimetterci a Luciano - Samosata non è remota, in linea d'aria, dai luoghi del narratore.
Delfino, che a lungo è stato giornalista, e qui recupera alcuni dei suoi “pezzi”, è in realtà proprio ciò che s’intende un narratore. Di situazioni e personaggi più spesso marginali e minimi, che si scolpiscono però alla lettura. Le sue cronache sono rappresentazioni, messe su con abilità, con grazia, in pochi tratti. Per esempio nello spassosissimo “Il cane Bobby”, un medaglione di Domenico Zappone, sodale e maestro dell’autore, nel trentennale della morte.
Tutti i racconti-cronache di questa raccolta sono calabresi – Delfino è calabrese, dell’Aspromonte, legato ai temi e agli eventi di quella che chiama “la Montagna” – e riflettono quindi la particolare forma espressiva locale del paradosso, più spesso nella forma dell’understatement, che alla lettura risaltano quale forma aggiornatissima di leggerezza. Ma l'aneddoto è sempre sorprendente alla Buzzati, anche il più banale o scontato. Con un taglio più rapido, quasi un'istantanea, e quindi più sapido.
Un altro rimando è d'obbligo, a Garcia Marquez - anch'egli a lungo giornalista. Alla capacità cioè di mitizzare i fatti, i miseri eventi quotidiani. Se il mito è la realtà profonda degli eventi. E di giocare su un passato che è presente, una tradizione che è vita, ancorché non moderna. Ma sempre con la cifra dell'autore, il rovesciamento, lo scarto. Ironico, sarcastico perfino, e sempre sofferto.
A volte lo scarto è solo semantico, appena accennato, costruito su un gioco di parole, come in “Fottuti baroni”, o “Gli occhiali di Pavese”. Più spesso emerge in contrappunto ai luoghi comuni e alla retorica delle buone intenzioni, specie sul terreno disperante della criminalità. Di cui “Il suonatore di violino” è un terribile pezzo d’antologia. La materia spesso è oscura, ma “Il raglio dell’asino” è un libro divertente, incoraggiante.
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