Dopo le presidenziali e l’uscita di Bush il barile di petrolio dimezzerà di prezzo, attorno ai 60 dollari. Mentre il dollaro dimezzerà la penalizzazione sull’euro, salendo verso quota 130. Cominciano a corroborarsi di cifre e analisi fra i centri studi Usa le ipotesi politiche sull’andamento dei mercati energetico e monetario dopo l’uscita di scena di George W.Bush, o del partito dei texani, dei petrolieri. La triplice confluenza sul caro-petrolio che ha caratterizzato la seconda presidenza Bush, una produzione limitata di greggio Opec, la speculazione a termine, e la rincorsa dei paesi Opec sul dollaro debole, dovrebbe cessare col 2008. Questa politica, a beneficio dell’industria americana dell’energia (e di Putin, il nemico\amico di Bush, che vende il petrolio e gas con contratti a medio-lungo termine, a prezzi denominati in dollari, ma con indici in euro), colpirà nel prosieguo dell’anno l’economia americana diventando infine insostenibile.
Questo lo schema che sottende le diverse analisi. Il sistema globale creato dagli Usa continuerà a finanziare l’economia americana, ma il caro energia provoca inflazione, la recessione in corso indebolirà ulteriormente il dollaro, e l’afflusso degli investimenti privati dall’estero scenderà verso lo zero. Dando per scontato il superamento della crisi finanziaria dei mutui, la Fed tornerà nel secondo semestre ai tassi alti, il dollaro si rafforzerà, i capitali privati riaffluiranno, insomma una spirale al consolidamento si avvierà. Compresa la stabilizzazione dei prezzi folli dell’energia.
mercoledì 9 aprile 2008
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