zeulig
Dio – Parla, ma non risponde.
È in ogni luogo ma non all’inferno. È più furbo?
È la cosa più incredibile.
Nella cabala – che gli dà nomi di cento consonanti, da pronunciarsi per infiniti strati di senso – e nel mondo.
Se è in collera con qualcuno, soprattutto deve avercela con i suoi devoti. Non gli uomini di fede ma i preti e i sacrestani.
È il cruccio – persecuzione indelebile – dei liberi pensatori. Il diavolo ha sbagliato: solo l’indifferenza elimina Dio, la vita non vita.
È maldestro, se la sua perfezione si estende alla creazione: tutto ciò che ha creato, dal firmamento all’anima, è meno che perfetto, inutile (a ogni fine), eccessivo, distorto (da ogni possibile fine). Dunque, o l’idea della perfezione comprende la natura e l’uomo quali sono, imperfetti. O Dio è imperfetto come loro, un creatore maldestro.
Non è necessariamente dalla parte dei vincenti, certo. Ma è sempre vincente: non sarebbe Dio se fosse sconfitto.
È paradossale, è vero: una realtà che è una forma del linguaggio.
Se non c’era prima, nasce dai limiti della ragione.
È per questo che è eterno, fintanto che c’è la ragione.
La ragione, arrivata ai suoi limiti, si estende con la fede.
È il nulla, cioè il tutto. In senso cabalistico ma non solo: tutto si annulla (si completa) all’origine della vita.
Quello ebraico è fortemente esoterico, anzi magico.
Il Dio unico non è tutto, importante è come si connota.
Don Giovanni – Deve la fortuna al nome: don Juan, don Giovanni, suona bene. Altri ce n’erano stati prima, il fiammingo Tenquelin, il tedesco, senza fortuna.
È come Casanova un fenomeno della vecchiaia: ci s’innamora di ogni bellezza a vista, anche effimera.
Non per nostalgia, don Giovanni e Casanova no sono personaggi della memoria. Sono autobiografici, è diverso, oggettivano il desiderio. Il catalogo è un tentativo di ricostruire – dare un senso a – le sensazioni del presente. Che restano non indagate, malgrado l’universalità e la persistenza del personaggio.
Sono probabilmente il segno di una vita che – trascorso l tempo, semplificate le pulsioni, rischiarato
L’orizzonte – s’intravede alle origini, nei fondamentali. Non della giovinezza ma della vita – la fascinazione esercitano anche persone adulte. Della vita che non può che essere filtrata in positivo, malgrado il pessimismo della storia, la disperazione della ragione, gli atti inconcludenti o nocivi o violenti, nell’attesa di un esito che si allontana o si rinvia.
Felicità – È non essere felici – non esserne gravati.
Se c’è un luogo della felicità è nell’aria, imprendibile.
Filosofia – Per metà è un equivoco linguistico. Kant stabilisce che ogni conoscenza è anzitutto apriori, la ereditiamo, la sentiamo, la fiutiamo. Mentre in parallelo, forte della scienza di Newton che egli stima vera e certa, continua a domandarsi: “Come possiamo sapere?” In inglese e in tedesco la conoscenza è anche sapere, knowledge e wissen, conoscere non solo con certezza, a proprio giudizio, ma anche cose vere. Da qui equivoci a non finire.
Fortuna – È come la Formula Uno, va pilotata.
Guerra - È l’archetipo della storia, la manipolazione della realtà. Semplice e terribile: è bastata finora la decisione di un uomo, un principe, un dittatore, per scatenare la forza incontrollabile della violenza.
La forza manipolatrice della storia è anche nella gestione serena degli arsenali, tecnocratica, anzi scientifica. Tanto più oggi che essi sono soprattutto atomici, di potenziale distruttivo incontrollabile.
Lingua – È su di essa che si determinano i caratteri nazionali (della comunicazione, della letteratura, della politica, della storia) – o viceversa? Si può legare alla lingua il formalismo dello spagnolo, la noncuranza dell’italiano, le complicazioni del tedesco, la solennità del francese, anche nell’intimità, l’adattabilità dell’inglese.
È strada aperta, dove si può vagare tra n direzioni, e anche innovare. Ma è dominata dalla mentalità che è materia di geni. I geni possono scartare, ma in grande misura sono trasmessi, si determinano per accumulo.
Metafora – È ricca perchè crea significati. Introdotta dal “come”, sembra un riconoscimento, la chiusura della porta. È invece il gesto mattutino dell’apertura.
Sia pure nel senso di Benjamin, delle analogie che non s’inventano ma si scoprono (ma non è vero: i nessi sono scoperti, l’accidentale, sono creazioni, come nei sogni, così disarticolati nella loro evidenza stringente).
Stupidità – Quella suprema è l’aver capito tutto.
La sua forza è invincibile, non c’è difesa possibile.
È scudo stellare, dall’amore, dal disinganno, dalla vita. È la vera follia, intesa come asocialità.
Viaggio – Lo spostamento fisico, ammesso che ci sia, è solo propedeutico a una chiusura: uno sguardo nuovo gettato su se stessi, anche sulla quotidianità – l’altro, certo, siamo noi.
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