Si ripubblica Soldati come un classico. Salvatore Silvano Nigro, che de “L’amico gesuita” firma una prefazione e una storia del testo, sta ricostituendo con le sue note editoriali per Sellerio il Soldati dei racconti. Mondadori ora lo segue, con vari studiosi. Soldati è una delle ombre che fanno rimorso alla letteratura. È presente – noto, ristampato, letto – ma cavo. Al più è un po’ “fantastico”, per via del personaggio televisivo che s’era costruito.
Si ripubblica, in questa che è a tutti gli effetti una “riabilitazione” di sovietica memoria, tutto. Anche il non necessario. “L’amico gesuita” è una raccolta inconsistente. Si tratta di elzeviri, non memorabili. Qualcuno documentaristico, “Pronto soccorso” per esempio (quello di Soldati, cinquant’anni fa, è umanitaristico e idiosincratico, verso la malattia, quello odierno di Tullio Avoledo, sul “Sole 24 Ore” del 13 aprile, è sociale e tribale, sulla tribù perduta). Ma non di più. Compreso lo stesso racconto del titolo. Si legge con curiosità “Fioretto” seguendo la traccia di Nigro, che il narratore Foà sia Giacomo Debenedetti, e per le ricostruzioni del curatore. “La messa dei villeggianti” è invece soldatiana in pieno: densa di umori, di tagli a sorpresa, nella realtà quotidiana e le occorrenze di ognuno. È il libro d’esordio di Soldati con Mondadori nel 1958, curato personalmente dall’editore, e conferma che l’industria editoriale aveva allora un sostrato caratteristico, di qualità durevole.
Uno dei primi recensori di Soldati nel 1929, Eugenio Montale, ne denunciò preoccupato “l’indifferentismo”. Il giudizio riguardava la raccolta “Salmace”, racconti di spostati. Un termine desueto, ma nel 1929 la raccolta era ben più deviante dell’“Anonimo Lombardo”, che segnerà nel 1959 l’avvio della scrittura à scandale o trasgressiva. Per l’epoca, e per i temi dei racconti. Ma di uno scrittore hanté dal vizio morale, sempre, anche negli articoli sul vino, e sempre naturalmente moralista, non artificiosamente alla Piovene. Gesuita per sempre, direbbe. Le due uscite contemporanee evidenziano un’altra peculiarità: Soldati è quello che ha fatto la scoperta del prete. L’unico scrittore italiano, compresi quelli che usava dire cattolici, in cui il prete e la pratica religiosa hanno diritto di presenza, costante. Una scoperta che è stata subito ricoperta, ma ora, a distanza, infine riemerge.
Cesare Garboli, ripresentando “Salmace” dopo sessantacinque anni, ne ha rilevato la “serenità dello stile”, che Soldati ha poi mantenuto. Quello che nel racconto “Il fioretto” chiamerà “lo stile del non avere stile”, attribuendolo a Cocteau, il secret professionnel di Cocteau, che sarebbe stato mediato dall’amico-narratore del racconto Foà-Debenedetti, secondo la ricostruzione di Nigro. I suoi racconti sono calati nella quotidianità, incontri, funerali, gite, amorazzi, amici. Per quanto l’aneddoto sia a volte sorprendente, Soldati non lo carica di stranezze. E tuttavia respirano. Si rileggono perché sono ancora la finestra aperta, nel “racconto unico” di cui sono vittime editori e lettori, ieri della terra incognita proletaria, appiattita sul neo realismo della provvidenza, oggi dell’incognita globalizzazione, di un mondo remoto.
Mario Soldati, L’amico gesuita, con intr. e nota al testo di Salvatore Silvano Nigro, Sellerio, pp.193, €10
La messa dei villeggianti, con un’introduzione di Stefano Verdino e una nota al testo di Stefano Ghidinelli, Oscar Mondadori, pp. XL + 226, € 9,80
domenica 27 aprile 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento