sabato 26 aprile 2008

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (16)

Giuseppe Leuzzi

Se Bossi è il nuovo Garibaldi
C’è una vena libertaria nel leghismo di Bossi. Non per ridere, o per gusto del paradosso, c’è nel razzismo originario, nel rifiuto dell’immigrato, specie se terrone. In più di un senso questo rifiuto è liberatorio per il Sud – lo sarebbe. Se:
1)Elimina la retorica
2)Blocca l’emigrazione – che è sempre un arricchimento indebito per l’area di destinazione
3)Esibisce l’avidità di Milano
4)Mostra che il problema del Sud è anche il Nord
5)Lascia i terroni soli, finalmente obbligati a sbrogliarsela.

Il leghismo è insipido
L’asserita specificità culturale del leghismo coincide con la scomparsa del vernacolo, presente diffusamente in tutta la vicenda della Repubblica, e probabilmente nell’Italia anteriore, nel teatro, le canzoni, la comicità, le parlate radiotelevisive. Niente più stornelli romani o romanze napoletane, e neppure “Belle Madunine”, niente più comici napoletani, romani, siciliani - solo ora, dopo quindici anni, riemergono Verdone e i siculi Ficarra e Picone. Ma neppure “Belle Madunine”, né cori alpini alpini. L’ortodossia leghista limita il vernacolo alla sola parlata radio-televisiva, non per nulla ha voluto mezza Rai a Milano. E questa limita, sia alla Rai che a Mediaset, al birignao lombardo - lo impongono anche alle figlie romanissime del “telegiornale delle figlie” a Canale 5. Al lombardo propriamente detto associando l’apulo-lombardo di Abatantuono e Banfi.
Il leghismo è l’imposizione di Milano, dell’insicurezza, superficialità, l’arroganza milanese sul brio italiano, la normalizzazione dell’insipidità: l’esito è la scomparsa dell’Italia. Si capisce che Gadda ne fuggisse, e lo stesso milanesisissimo Arbasino.

Sudismi\sadismi. Santo Versace, 63 anni, si candida alle elezioni in Calabria. Non si sarebbe saputo se non ne avesse parlato il “Times”. Il giornale inglese gli ha dedicato una pagina, e i grandi giornali italiani hanno ripreso la “notizia”. Incapacità? Stupidità? Ma questi stessi giornali sono stati abilissimi a imbrillantare qualsiasi personaggino si presentasse alle elezioni, sia pure di cartavelina, le fiche di Veltroni, gli operai anonimi di Bertinotti, i fascistelli di Fini, per pagine e per giorni. Sanno le tecniche del gossip. E quante pagine e perfino supplementi su Calearo, modestissimo fasciocomunista di Padova. Non c’è fantasia invece per il titolare della maggiore casa di mode italiana perché si candida in Calabria, da calabrese (“ho passato qui i primi trent’anni della mia vita”).

Sadismi\sadismi. Sul “Corriere della sera” del 5 aprile, alla rubrica “Calendario”, lo storico Paolo Macry , sotto il titolo “Autostrada delle Due Sicilie”, scrive: “Il 4 ottobre 1964, giorno di San Francesco, Aldo Moro inaugurò l' Autostrada del Sole. In appena otto anni erano stati aperti 755 chilometri di viadotti temerari, gallerie ciclopiche, ingegneria da record. Nel frattempo iniziava un'altra storia, quella della Salerno-Reggio Calabria. Qui, racconta Leandra D’Antone (“Senza pedaggio”, Donzelli), le procedure furono bizantine, gli appalti opachi, la 'ndrangheta fece grandi affari. E il tracciato seguì la logica dei politici locali. Pur di passare per Cosenza, venne scelto un percorso tortuoso, tutto salite e discese, relegato tra montagne senz' anima viva, lontano dai centri e dai porti della costa tirrenica. Oggi l' Autostrada del Regno delle Due Sicilie è ostruita da lavori di ammodernamento che, per dotare quei 443 chilometri di una corsia d' emergenza, impiegheranno nel migliore dei casi quindici anni. In compenso, come recita il titolo beffardo della D’Antone, non si paga. Un esempio di astuzia meridionale contrapposta all’etica del capitalismo, direbbe il sociologo Franco Cassano”.
No, la Salerno-Reggio fu costruita in otto anni. Non si paga perché non è un’autostrada. Poteva arrivare a Cosenza da Paola, ci arrivava prima, ma avrebbe deturpato una costa che è ancora molto bella, malgrado le seconde case napoletane (grazie all’“autostrada” gratuita..). Il tracciato interno serviva il salernitano profondo, mezza Basilicata e la provincia di Cosenza. Un’area, specie il cosentino, che in trent’anni si è modernizzata, arricchita e s’illustra aggraziata come l’Umbria o la Toscana. Forse la spiegazione dell’inconsulto “Calendario” è che Macry è napoletano? Napoli sempre ha odiato il resto del Sud.
Ma, poi, non si parla mai delle altre opere pubbliche da scandalo. Per restare alla viabilità, anzi alla osannata Autostrada del Sole, non si parla mai della Firenze-Bologna, per esempio, nata male, e che strozza l’Italia, non solo i (pochi) siciliani e calabresi che utilizzano la Salerno-Reggio. Né della Variante di valico, l’autostrada alternativa sullo stesso tracciato, che non supera un’ottantina di chilometri, è in cantiere dal 1997, e non se ne sa nulla – giusto che costa già tre miliardi in eccesso sul preventivo. O del passante di Bologna, più necessario della Variante di valico ma di cui non si è fatto nemmeno il progetto. O di quanto è costato e come è stato realizzato il passante di Mestre.

La giustizia è potere
Il giudice Boccassini ha rifiutato la Procura di Verona perché non è assortita della Dda, la procura distrettuale antimafia. Forse che senza la Dda non potrebbe perseguire la mafia? No, il Procuratore uscente Papalia ha ben meritato, oltre che per avere liberato il generale Dozier e bloccato la deriva terroristica della Lega, senza lasciare alcun delitto impunito (ai Ris), per aver estirpato ogni traffico di droga e altre appendici mafiose dalla città. La quale forse non è tanto mafiosa da meritarsi una Dda. Ilde Boccassini non vuole Verona perché semplicemente non le dà abbastanza lustro, oggi visibilità: non ha giornali.
L’antimafia è questo, quello che Sciascia paventava vent’anni fa. La vicenda conferma pure che non c’è alcuno spirito di servizio, né quindi di verità, nella giustizia, solo un fatto di potere. Il Csm non ha sanzionato Boccassini per il rifiuto, le troverà una Procura con l’antimafia. L’antimafia serve al magistrato inquirente perché ha più mezzi e meno vincoli. Non per prendere i ladri, gli estortori, gli incendiari, gli spacciatori, che sono delinquenti contro la proprietà, materia familiare e comunque privata. Per quello comunque basterebbero i carabinieri, non c’è bisogno della Dda. Questa serve per controllare il resto della società, alcuni politici, alcuni imprenditori, alcuni giornalisti, alcune società di calcio, alcune veline.

C’è una semantica perfino scientifica delle trappole, peraltro evidenti, del pentitismo – del pentimento che non è ravvedimento di cuore ma caccia ai benefici: “Chi fornisce cento dettagli, e al centounesimo dice di non essere più così sicuro, automaticamente convalida in modo suggestivo gli altri cento dettagli falsi. Qui comincia la raffinatezza dei segnali di bugia”. Harald Weinrich, “La lingua bugiarda”, 99. Senza riscontri, senza cioè un’opera di polizia, le confessioni dei pentiti sono un esercizio retorico. Tali peraltro sono intesi, in quanto materia di indiscrezioni, articoli, commenti, talk show, libri, film, e perfino libri di storia. E allora è importante percepire i “segnali di bugia”. Non c’è una barriera netta tra la lingua vera e la lingua bugiarda, quando si prescinde dal fatto: si può perfino dire il falso dicendo tutte cose vere. La chiave è percepire i “segnali di bugia”.
Bisognerà mandare i procuratori della Repubblica a scuola di linguistica? Non è necessario, la linguistica è una scienza che tutti sanno, anche gli analfabeti.

La linguistica è una scienza che tutti sanno, anche gli analfabeti: la verità delle parole, anche non dette. E della frase, e del contesto. La linguistica di Riina e Provenzano, che, benché rozzi, sanno navigare nelle sottigliezze della politica nazionale, è affascinante – ma forse è la linguistica che non ha nulla di straordinario, solo l’ambizione.

Il futuuwa, in Mahfuz, “Il nostro quartiere”, è l’uomo d’onore. Per modi, filosofia e tratti somatici, comuni a Nord Africa, Turchia, Sicilia Calabria, Corsica. Ha inciso la dominazione araba? Ma in Calabria e in Corsica? Hanno inciso le dominazioni saracene, di cui non si fa la storia? Ma erano circoscritte, sporadiche, predatorie, e si registrano anche in Liguria, nel Lazio, nel Cilento, nel Salento. È un retaggio greco, filtrato attraverso gli arabi, come la filosofia e la scienza? Ma la Grecia ne è indenne. Potrebbe essere un retaggio della tarda grecità bizantina, che è poco greca, se non per la lingua, e molto asiatica, del Vicino Oriente. Ma i bizantini soprattutto sono imbelli. È l’Italia, un paese come l’Egitto senza Stato.

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