Lontano cugino di Pasolini, più giovane di lui di sette anni, Naldini è stato compagno di scorribande del poeta, e poi appassionato suo curatore e biografo. Insieme, dirà, avevano in comune “la risata completamente muta”. Escluso dall’eredità, anche letteraria, Naldini ha riacquistato con lentezza una sua autonomia di scrittura, allontanandosi anche fisicamente dagli ambienti che la presenza massiccia di Pasolini ingombra. La sua cifra è ora quella della sessualità libera del più giovane Tony Duvert, che l’ha preceduto anche fisicamente in Nord Africa, dove l’amore dei ragazzi è (si suppone) libero. Nella prima narrativa, “Come non ci si difende dai ricordi”, di due anni fa, Pasolini è sempre presente, ma già con un certo distacco. La fuga a Roma di Pier Paolo e della madre Susanna, per abbandonare il padre Carlo Alberto, vi è già un racconto. O Parise che fa la pennichella in albergo a Milano sporcaccione tra le lenzuola. Di altri veneti ci sono ottimi ritratti, Bartolo Cattafi, Biagio Marin, e di Vittorio Sereni. E di Guido Pasolini, il fratello minore di Pier Paolo, coraggioso, pugnace, anche in difesa del fratello, e figlio mal amato. Liberamente di Pier Paolo Naldini vi tratteggia la sessualità brutale, rozza (un primo moto di distacco l’aveva avuto col contributo a “Desiderio di Pasolini”, la collettanea pubblicata nel 1990 da Stefano Casi sull’omosessualità “non accettata” del poeta).
Sulla stessa vena Naldini tratteggia in questa brochure, sotto forma di “lettere non spedite”, una serie di personaggi visto o incontrati a Venezia all’epoca dei suoi studi negli anni 1950. Ancora con timidezza, ma sapendo già narrare di se stesso. Direttamente e sotto le specie di De Pisis, dell’inevitabile De Pisis, e a sorpresa di Frederick Rolfe, il Baron Corvo ultimamente scomparso dagli scaffali ma gran protagonista di quella Venezia.
Nico Naldini, Il nobile Von., Manni, pp.47
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