Geniale e gratuito: se c’è un Nobel dei motori di ricerca, Google è il primissimo della lista, non si saprebbe individuare azienda più generosa. E amichevole: tutto in dettaglio, il navigatore conduce per mano, dove e come alzare il piede, come articolare la caviglia, la pianta, l'alluce, come poggiarlo, e se sulla punta dove, sul tallone dove, o sulla pianta. Ma per andare dove?
Il motore di ricerca e il provider più amato, infinitamente utile e tutto gratuito, corrisponde alla sua immagine sorridente. Un amico, come si vuole, solidale: ogni dubbio o accidente, ancorché triviali, cataloga e si preoccupa di risolvere. E sempre ti fa un pensierino, un nonnulla, con molta grazia. Ma poi troppo amichevole, a volte asfissiante, con le sue novità e le sue prevenienze. Una volta dentro la sua graziosità è un gioco dell’oca che può sfiancare - la sola cosa che si può dire è che se Windows è arcigno, gioca scoperto, Google ti vuole anche amico.
Google non risolve il problema, indica tutti i modi in cui lo si può risolvere. Una serie minuziosa di passi, che conducono alla soluzione una volta su dieci, o su cento: se l’avete seguita nel dettaglio e senza distrazioni, se non avete sbagliato una virgola, se avete memorizzato, o stampato, o comunque ricordate, le seriali avvertenze. Soave, a ogni passo Google domanda se ha funzionato e come può migliorarsi, ma inevitabilmente porta in nessun posto, in nove casi su dieci, o novantanove su cento. Creando una sindrome del labirinto, che si ripercuote traumaticamente su tutto il resto della navigazione, anche per più giorni.
Bisogna in qualche modo memorizzare un’infinità di procedure, per recuperare o mutare la password, recuperare il nickname se ve l’hanno sottratto (impossibile), ottenere la pubblicità, incassarne i proventi. Al termine dell’itinerario, consiglio supremo, c’è la chat. Un gruppo di lavoro che, per quanto Google si sforzi di snellire e flessibilizzare, è sempre un’assemblea delle incompetenze. Ognuno ha la soluzione definitiva, naturalmente, che è un po’ come l’arma di Hitler, e mai risolve un problema concreto, il vostro. Mentre invece una risposta diretta di Google lo fa, è sempre precisa e adeguata.
E' il problema della rete, la democrazia. L'arte meccanica più complessa, e arte anche estetica, arte cinetica, informale, comportamentale, concettuale, e pure concreta, l'informatica, si vuole autogestita e quindi autodidatta. Col rischio concreto cioè d'imbarbarirsi, l'autodidatta non fa progredire la scienza, e neppure la democrazia, è reperto alluvionale. E' così che il fai da te impera, il circuito delle faq sterminato, le frequently asked questions, dei forum, delle chat. Per un mondo che inevitabilmente resta destinato al dilettantismo e all'inconcludenza, buono per i perditempo, chi sa ha altro con cui occupare il tempo.
È un mondo nascente, questo dell’informatica, in evoluzione rapida, nel quale Google sarà ricordato quale azienda molto grande, e pure molto innovatrice, redditizia, e insieme generosa. Ma anche confusionaria, nel nome della democrazia. Uno di quegli esempi di democrazia falsata dalla generosità, dalla offerta eccedentaria, mentre si vorrebbe regolata. Google ha molti meriti in questo senso, di regolazione della democrazia nelle rete, dosando il gratuito e l'oneroso, dosando l'onerosità, regolando e controllando gli accessi, per contenuti, responsabilità, finalità, è abile a scoprire anche quelle malevoli surrettizie. I controlli sono sempre necessari, una democrazia non regge all'anarchia. E a volte pagare è anch’esso uno strumento di saggia democrazia, di risparmio e miglior uso delle risorse invece che del loro spreco, di tempo e di energie nervose. Ma un'arte strumentale che diventa finale, fine a se stessa, non è di nessun uso, e quindi per niente democratica.
Irenica ferocia
È anche la procedura americana, che i servizi sovraccarica di preclusioni legali. Da avvocaticchi, un tempo si diceva azzeccagarbugli: per risolvere eventuali contenziosi e insomma darvi sempre torto, non per far funzionare le cose. Se siete correntisti di Google sottostate a centinaia, se non sono migliaia, di lunghi, ripetitivi, incomprensibili regolamenti diversi - come se la "Gazzetta Ufficiale" che fonda lo Stato italiano, così illeggibile, avesse fatto proseliti. E riceverete spesso lettere o istruzioni di pagine cui non potrete obbiettare, o altrimenti con una riga e mezza, ma giusto per vostra consolazione.
Bello fuori, oscuro dentro direbbe la pubblicità di Del Piero. Lo stesso che con Google avviene con e-Bay o Amazon, dove capita che al termine di dieci steps e venti cartelle di lettura attenta ricorra in breve l’avvertenza che il servizio è limitato ai residenti americani. La procedura è il sacre della democrazia americana, contro anche la common rule e il common sense. Non è inglese, è proprio americana. Ed è leguleia, più che pratica e commerciale. Non è mirata a semplificare l’uso dell’oggetto o del sotfware. Non è mirata a ridurre il costo complessivo del bene, comprensivo della consegna, dell’installazione, dell’uso. È mirata unicamente a costruire una trincea di parole attorno al venditore, una barricata contro il temuto avvocato a percentuale, il contingency lawyer che promuove azioni a tutto spiano, senza spese per il cliente, fidando nei danni e nelle assicurazioni – è chiaro che la democrazia americana è al di sopra della società
In macchina uno si siede, fa le cinque o dieci cose che deve fare, sempre le stesse, e va. Su Internet è diverso: la macchina qui sembra capricciosa, e a ogni istante vi pone un problema. Il che non è vero, una macchina è una macchina, fatta per essere duttile e servizievole. Ma Internet è un processo e un mondo. Magari simpatico, ma remoto, di qualche posto della West Coast che si vuole a parte: chiuso e segreto. Ed è un mondo americano. Sono americani i server, il linguaggio, e le procedure informative, dove il fattore cautela prevale sulla comunicazione semplice. Non si dice: fai questo o quello. Sarebbe un caso perdente in tribunale in caso di malfunzionamento. La realtà è fatta in America dai tribunali, che ovviamente l’accertano in base alle procedure, e dunque l’informazione è anch’essa materia non di comunicazione ma di procedure. Google è in questo caso esemplare dell’imbambolamento dell’opinione americana, corretta, irenica, democratica, e feroce.
La ferocia irenica sarà un connotato della nuova civiltà, elettronica. Così aperta, così buona, e così privata, privatissima - non a caso Google è il soggetto di Borsa meglio performante, in due anni ha prodotto più plusvalenza che la General Motors in cento. Monopolistica con Windows, e ora pure con Google. E con le loro guerricciole reciproche.
Google, infinitamente buono, fa anche campagna contro la disonestà. Offre ai suoi publisher, agli infiniti blogger che fanno uso dei suoi spazi e modelli gratuiti, dopo averli inodati di annunci pubblicitari (ogni messaggio ricevuto alla posta è corrdato degli annunci di mezzo giornale), un programma di redditizie inserzioni pubblicitarie. Con questa riserva: "I clic sugli annunci Google devono essere originati da un effettivo interesse degli utenti e qualsiasi metodo che li generi artificialmente è severamente proibito". Argomento inoppugnabile, che bisognerebbe estendere ai magazine che compriamo dal giornalaio gonfi di pubblicità: siccome li sfogliamo senza interesse, gli inserzionisti non paghino i settimanali che se ne adornano. Con questo argomento, Google dichiara non validi tre quarti dei clic. Il quarto quarto non lo paga, a vario titolo ma sempre per colpa vostra, gli infiniti regolamenti sono chiari, e così ci ha costruito sopra dal primo momento un business ricchissimo, miracolo della rete - duecento dollari (il primo pagamento, che vi verrà rifiutato, è di $ 100 + 99) per un milione di blogger-publisher fa duecento milioni di dollari, per dieci milioni di blogger fa due miliardi.
I pescecani si dividono in due tipi: queli che azzannano, e quelli dell'acquario, che ai bambini sembra che sorridano. Il primo tipo vi strappa subito di mano duecento dollari per consentirvi di scrivere. Il secondo vi attira col sorriso della pubblicità. Google ha realizzato il miraggio delle agenzie di media, occupare tutti gli spazi possibili senza sborsare un euro, incamerandosi tutto l'investimento. Sempre con infinita cortesia e bontà. Duecento dollari (il primo pagamento che vi verrà rifiutato è $ 100 + 99) per un milione di blogger-publisher fanno duecento milioni di dollari, per dieci milioni di blogger fanno due miliardi, non tutti in un colpo naturalmente. Senza contare che, per quanto poco vi consideriate, il pesce amicevole resta in possesso del vostro profilo finanziario, codice fiscale, iban, carte di credito, conto corrente, transazioni commmerciali in rete.
Il tutto converge alla sensazione, ormai confermata ufficialmente, di essere osservato, nei clic sulla pubblicità come sul sito, allo stesso modo che nella posta e nelle ricerche. La bontà si estende alla vigilanza, sempre di Google, che non se ne vanta ma ha un occhio onnipresente. In grado di recepire ogni palpito, una volta che uno è entrato nella sua macchina, con chi parlate, che siti consultate, di cosa prevalentemete vi dilettate. Il miracolo di Google è questo. La drittata è ormai stata ben spiegata, di fornire graziosamente caselle di posta versatili e capacissime, costituendosi un indirizzario mondiale delle classi affluenti. Di cui Google seleziona al contempo con precisione i gusti e le abitudini con indagini di mercato aggiornate al minuto, sempre a costo zero. Una manna per gli investitori pubblicitari, e per Google, che gli investimenti incassa a costo zero. Sempre spiegata da regolamentoni della privacy, firmati, cotrofirmati, inappuntabili, inattaccabili.
Google non vi mette sotto giudizio ma sa tutto di voi. E anche quando ne siete fuori, la sensibilità di Google è tale che ogni respiro della vostra macchina, del computer, non gli sfugge. Proprio un amico stretto, quello che in certi momenti è asfissiante. E potrebbe un giorno rivoltarsi contro? Con gli amici succede, con Google certo è materia di fantascienza, che è un cervello algoritmico.
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