L'italianista polemista Seibt, nemico dello Spass, la società dell'effimero, dice sulla "Suedddeutsche Zeitung" che, signora mia, non c'è più religione. "Che ci arriva dall'Italia?", si chiede, e si risponde: "Grossolanità" ("Per Lessing gli italiani erano mosconi, che si nutrivano dei cadaveri degli antichi romani...", questo è solo l'inizio ). Sì, ma dalla Germania cosa arriva all'Italia? Giusto Schumacher, in una quindicina d'anni, uno che parla inglese, sta in Svizzera, e quando vince è come quando perde, un baccalà. E dalla Francia, cosa arriva più da Parigi all'Italia, e alla stessa Germania? "L'Italia non ha più un ruolo in Europa", dice lo storico Seibt. Perché, la Germania ce l'ha? L'Europa ce l'ha?
Gli scambi di complimenti non sono una novità. "Rozzi nell'animo", il titolo della "Sueddeutsche", si deve, pare, a Rudolf Borchardt. Uno cioè che visse tra Pisa e Lucca, tradusse la "Commedia" in antico tedesco, e fu ucciso dai tedeschi nell'occupazione. Ma ora sono arma politica, e culturale. Neppure il papa tedesco ha riportato l'Italia nel cuore della Germania. Anche se l'altra autorità antitaliana citata da Seibt, lo scrittore Mosebach, si distingue nell'elogio della messa tridentina restaurata da Benedetto XVI, esaltandola anzi in un libro promettente, che la religione vuole ancorata alla liturgia più che alla rivelazione. E a questo punto va detta l'evidenza: un certo laicismo non ama l'Italia e tenta d'isolarla. Invece si chiedersi perché si è ridotto praticamente e rapidamente a roba da giardino zoologico, specie che presto andrà protetta.
Dalla Spagna, dove questo laicismo è invece trionfante, così gli piace pensarsi, le bordate sono peraltro feroci da ridere. La vice presidente del consiglio spagnola si fa fare una domanda da un giornalista compagno e si risponde: “Noi non siamo razzisti come gli italiani”. Basta guardarla e uno capisce. La Spagna che importa in Europa compiacente tutti i sudamericani che vogliono, soprattutto i borsaioli e i pusher, e ne deporta ogni anno trenta-quarantamila, contro i trenta-quaranta dell’Italia. Dopo avere eretto un muro attorno al Marocco spagnolo (c’è ancora un Marocco spagnolo… ), sparando su chi lo salta, come si faceva a Berlino.
Se l'Italia è il bersaglio di questo laicismo sbandato, un ruolo evidentemente ce l'ha. Ma è vero che l’europeismo, quando è vuoto, è un vizio - si capisce che ne siano patrone tante cortigiane oneste. E che oggi non c’è l’Italia in Europa. Non se si riflette alla demenza ormai imperversante a Bruxelles. Sotto tutti gli aspetti: una potenza che coltiva il suo orto come usava nelle fortezze assediate, anche se è aperta a tutti i venti, pensandosi migliore, come il professor Seibt e la vice presidente spagnola, personalmente e razionalmente, e meritevole di miglior compagnia. Andiamo a Antalya, o a Gerba, e guardiamola, non è un bello spettacolo questa Europa.
Suicida nella politica agricola
L’Europa limita le colture, anzi finanzia la non coltivazione (il maggese), e riduce la produzione di latte e di carne, in tempi di prezzi triplicati di cereali, legumi, latte, carne, e quasi di carestia. Per far guadagnare cifre astronomiche ai coltivatori francesi di granaglie, ai vaccai bavaresi e olandesi, ai porcilai bretoni. Un’agricoltura in cui, a fine 2007, dei 42 centesimi al litro incassati dal produttore di latte 25 andavano al cartone. Per produttore intendendosi Parmalat o Granarolo, non il bovaro (al supermercato lo stesso latte si pagava 1,60 euro!).
Succube degli Usa
Accucciata dietro la Germania, che dopo la sconfitta la politica estera considera una noia, l’Europa si professa pacifista e per il resto si affida agli Stati Uniti. Alla potenza cioè che odia. Non senza ragione, dacché tutte le direttrici di politica estera americana contro l’Europa: la globalizzazione con l’area del dollaro, l’Arco della Crisi o Medio Oriente (Palestina, Iraq, Afghanistan), il terrorismo islamico, acora di marca Usa in molti posti, il Pakistan, il Kossovo, il petrolio, la Russia, la World Trade Organization.Specie di fronte alla Russia e al Mediterraneo, alle minacce e alle enormi opportunità che i vicini le offrono, l’Europa chiude gli occhi. In cinquant’anni L'Unione europea non è riuscita a costruire un rapporto con Israele – e nemmeno con i Palestinesi. Non per la difesa, non per la pace, non per l’integrazione di questi mondi. Che sono i più occidentali e molto europei, per cultura e ambizioni, malgrado il radicamento ben orientale. O con il Libano, abbandonato a quindici anni di Siria e di guerra civile.Gli Usa hanno costruito la globalizzazione - l’apertura dei mercati, l’apertura delle Rete - per assicurarsi un’era di crescita costante a prezzi decrescenti. La Fortezza Europa, arcigna e piena di sé, aderisce a malincuore, anche se è sola al mondo nel rifiuto della globalizzazione, e s’impone l’impoverimento per poter continuare a vendere fuori dei suoi mercati protetti. S’impone disoccupazione, retribuzioni irrisorie e prezzi altri: il business europeo deve capitalizzare all’interno della Fortezza, per poter continuare a esistere nel mondo. I mercati protetti, che usualmente si limitano ai servizi, banca, gas, elettricità, acqua, posta, in Europa si estendono a tutto l’agroalimentare e alla cultura, cioè al 60-70 per cento della spesa. Da qui l’inflazione, che Eurostat non rileva accomodando gli indici, ma che è un fatto: chiunque viaggia, o anche solo compra su Amazon o e-Bay sa che c’è un abisso fra il costo della vita in Europa e nel resto del mondo.Difesa, mercati commerciali, mercati finanziari, moneta, energia, musica, cinema, abbigliamento, stili di vita, droghe, e ora perfino i vini e la cucina: l’Europa mummificata sopravvive all’ombra degli Usa, ne è anche protetta, e lo risente. Nelle questioni piccole e grandi il punto di vista europeo si precisa per divaricazione da quello americano, quale che sia. Non per un gioco di squadra, com’è stato in molti frangenti nella guerra fredda, in Medio Oriente per esempio per i palestinesi, con l’Urss per l’energia. Ma per una rivalsa, generica, generale, totale. Con una riserva ideologica – ma forse solo propagandistica: quella, per intendersi, per cui un presidente ridicolo e antieuropeo come Clinton è un’icona europea. Ma per il resto senza tregua: è un risentimento che non trascura nulla.Il bovarismo europeo è, senza saperlo, americano anch’esso. Tutta la voglia di vivere europea è quella di Whitman e Kerouac, il loro nichilismo epidermico: il culto del corpo, del sole, del sesso, dell’igiene, dell’atletismo. Dell’etica sterile del lasciarsi fare – con la differenza, certo, che Whitman e Kerouac sono letterati appassionati, iperprofessionali. L’America lo sa, e non ne tiene conto: dai tempi di Nixon e Kissinger l’Europa conta poco o nulla a Washington.
L’euro di ferro
Sarà, ammesso che duri, o sarà stata, la moneta più sterile che si ricordi, in questo senso una vera moneta di ferro. Asfittica, regressiva. Quante sciocchezze non si dicono e non si fanno a Bruxelles all’insegna del vangelo dell’economia, l’elenco sarebbe sterminato. L’euro è stato per l’Italia sedici anni di sacrifici di cui non si vede il vantaggio. Nemmeno in termini di costo della vita: i paesi che vivono col dollaro deprezzato hanno meno inflazione dell’Europa.
Più uguale degli altri
La politica industriale è la Fattoria degli animali di Orwell: alcuni sono più uguali degli altri. La Francia e la Germania. Germania e Francia fanno quello che vogliono (privatizzazioni? liberalizzazioni?), gli altri si beccano calci sui denti per episodi minimi come l’Alitalia. In Europa i formaggiai d’Inghilterra possono vendere un Parmeggix a metà prezzo, ma quelli di Lodi non possono fare il Cedarmed a un terzo.
Schiavista a pagamento
Al meglio, l’Europa è cieca nelle politiche dell’immigrazione. Limitate a Schengen, i controlli di polizia ai porti e agli aeroporti. Senza indirizzi di accoglienza e naturalizzazione per il suo cinque per cento di popolazione immigrata (6 per cento in Francia, per metà concentrata nella regione parigina, 9 per cento in Germania), e anzi con una crescente xenofobia. Con l’effetto, sotto gli occhi di tutti, della più grande tratta di esseri umani al mondo, nel Terzo millennio, la più cruenta, la più cinica. Nello schiavismo si veniva razziati, e poi mantenuti, gratis, per l’Europa il viaggio della morte si paga, da mille a cinquemila dollari, il reddito dell’aspettativa di vita in Africa o Asia, di un’intera famiglia. E dopo tutto questo se ne dice anche minacciata, minacciata dagli immigranti impoveriti, sradicati, annientati.
Tutto sarebbe semplice, in questa questione.
C’è bisogno del lavoro immigrato per la produzione, questo è certo: nell’edilizia, nei servizi al consumo, in fabbrica, e nell’agricoltura.Ce n’è meno bisogno nel commercio, dove l’immigrazione è più visibile, ma non del tutto: il turismo ne ha bisogno, e la stessa economia nazionale in una fase di crisi come questa, che non passa mai.C’è bisogno del lavoro immigrato nelle famiglie, anche questo è certo: di badanti per gli anziani e più ancora di collaboratrici domestiche, dove ci sono figli. Se si vuole accrescere come si dice la partecipazione delle donne al mercato del lavoro – l’alternativa è sacrificarle al lavoro casalingo.Un triplice bisogno cui risponde un’opinione xenofoba, anche questo è certo – seppure sia l’opinione dei media più che della popolazione. Per un fine forse recondito. Ma sicuramente a nessun effetto.C’è bisogno di più immigrati e non di meno. Immigrati riconosciuti, con una residenza e una posizione contributiva e fiscale. Il fine forse recondito della coartata xenofobia è di tenerli in clandestinità, e pagarli poco? E di consentire agli affittacamere introiti da capogiro? Ma questo non è l’interesse alla fine dei conti di nessuno, a parte i delinquenti che profittano della clandestinità, necessariamente pochi. Tanto più che, seppure clandestini, gli immigrati hanno diritto ai consumi primari e alla sanità.Non si vogliono delinquenti d’immigrazione, ma questo vale per gli immigrati come per ogni europeo: non si vogliono delinquenti.In uno scenario così chiaro, il problema è in realtà l’Europa, la sua indigenza. Non ha nessuna politica di accoglienza, a parte i Cpt. Non fa alfabetizzatone né alcun’altra forma di integrazione. Non ha trovato il tempo, in quindici anni ormai di forte immigrazione, nemmeno di attrezzare la Polizia, si vede nei commissariati e nei Centri appositi. Né, con tutta la dichiarata xenofobia, ha emanato una sola norma che combini le due esigenze, al lavoro immigrato e al controllo del lavoro immigrato. I flussi annui italiani, per regione di arrivo e per paese di provenienza, col primo clic che arriva via Internet, fanno ridere se non creassero tragedie - il clic è servito come autodenuncia (ora sappiamo quanto sono gli stranieri irregolari, almeno 600 mila). L’Europa poteva introdurre l’atto di richiamo, per cui il regolarizzato diventa garante del nuovo arrivato. Poteva aprire degli uffici del lavoro all’estero. Poteva attrezzare i consolati a vagliare le domande d’ingresso. Soluzioni nemmeno costose. Poteva e può farlo – oppure non può, congenitamente?
L'integrazione è difficile, l'esperienza lo mostra, a New York-Harlem da oltre un secolo, a Marsiglia e in molti quartieri di Londra da alcuni decenni. Ma non è un ragione valida per non fare almeno un primo passo, regolamentare.
Senza identità
L’Europa vive nell’irrealtà. Ricca come non mai, è sempre la più ricca del mondo, ma di un’intelligenza fanée. Ormai da un secolo, irrimediabile. Non ha passioni, se non dissolutrici. Né idee. Se non un laicismo che non è nemmeno buona massoneria, solo diavoleria. Che fa votare mozioni a favore dell’immigrazione islamica, fatalmente sradicata, a preferenza delle repubbliche ex sovietiche, dove sono cristiani. A fine aprile il gruppo Liberaldemocratico, cui il Pd si apparenta, ha tentato di assimilare le chiese alle lobbies… L’ultima volta che l’Europa fu qualcosa fu comunista.
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