C'è una domanda di autorità, non c’è dubbio, nel voto alla Lega e, di più, ad Alemanno a Roma, l’ex duro del Fronte della Gioventù. Roma e l’Italia sono evidentemente preoccupati, e la materia non manca: il degrado, urbano, sociale, economico, l'insicurezza, l’avvenire assente. E il disordine amministrativo e politico da cui tutto ciò discende, unicamente. Sullo sfondo c’è la mitica e l’epica del fascismo, che i ponti, le strade e le scuole li fece, in poco tempo, e puliva i treni che faceva viaggiare. Insomma, tutti i discorsi che una volta si sentivano in treno, prima dei vagoni senza scompartimenti e i cellulari onnivori. Roma in particolare il fascismo aveva urbanizzato, con una visione pratica e d’avvenire, mentre la Repubblica non ci ha piantato un albero. E quella di sinistra, con le quattro sindacature di Rutelli e Veltroni, ha consegnato agli immobiliaristi, per valorizzarne le aree – con quale tornaconto? Alemanno invece fa i salti mortali per scrollarsi di dosso questa identità. Il “Sunday Times”, per tenere fede al giornalismo britannico, lo chiama ogni settimana Duce, e lui niente, si occupa solo d’inseguire il politicamente corretto - minaccia perfino di sfilare coi gay.
Lo vuole la politica dell’immagine, certo, bisogna fare i pulcinella. Ma l’immagine non è innocua. Alemanno è in pieno “ci sono e non ci sono” delle peggiori stagioni del peggiore malgoverno. E così i netturbini, che nelle settimane successive al voto popolavano le strade per spazzarle, la terza settimana non si sono visti più. Non ha fatto la giunta, benché Roma abbia problemi urgenti: le cartelle pazze, la vigilanza nelle periferie, la sanità, il bilancio. E si occupa del festival delle letterature, del festival del cinema, dell’Estate romana. Non di pulizia. Non di strade senza buche, non così tante. Né di trasporti pubblici. O di progettazione della città. Magari seguendo gli interessi dei costruttori, ma con juicio, come il Buonanima rinnegato.
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