Ilvo Diamanti censisce su “Repubblica” quello che si sapeva, e non si dice. Il Pd è rimasto a un terzo dell’elettorato, pur prendendosi buona parte della Sinistra. Quel terzo che era il Pci. Le primarie del Pd sono state modeste, considerando che mobilitavano ottantamila operatori. Il “nuovismo” è stato banale, Calearo, Colaninno jr., le ragazze svampite – volutamente. Il centralismo democratico invece ferreo nelle liste. Si può aggiungere per scienza diretta che in Calabria, in Sicilia, e da Viareggio a Massa, la sconfitta è stata il rifiuto del centralismo.
Resta da ricordare che il potere, di cui il Pd si compiace, è cavo, non semina voti (“sarebbe stato meglio avere ai gazebo più bancari che banchieri”): le banche, gli imprenditori (i Caltagirone, i montezemoli), i giornali, i giudici, i baroni, dell'univrsità e degli appalti. Ed è anzi “l’Italia che non c’è”, i settori protetti, che non funzionano, giusto per dire la barzellette sulla loro superiorità. Silvio Berlusconi rimane la cartina di tornasole della vergogna: perdere contro Sarkozy ci sta, anche contro Bush, ma perdere contro Berlusconi, per nove punti, è da seppellirsi.
Ma sopratutto va detto che la "tendenza" è lunga e forte: la sinistra, in quindici anni di berlusconismo, non ha mai vinto ai voti. Anzi, togliendo di mezzo la destra che non osa dirsi tale, casiniana, dipietrista, mastelliana, è sempre stata sotto il 40 per cento. Di pensionati o prossimi. Senza un'idea, né forte né debole. A parte fantasticarsi sull'Aventino, o già in esilio a Parigi. Per tutta innovazione si è americanizzata, nel senso dell'immagine e della mobilitazione delle folle, ma a spese del pubblico denaro, con tasse improprie e l'uso improprio delle tasse. Solo l'immagine dell'ex sindaco a Roma, tra premi Nobel, feste del cinema, notti bianche, star al Colosseo, costava un decimo di manovra finanziaria. Lo dicono i suoi avversari e magari non è vero, ma è possibile.
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