Non è il libretto – bianco, nell’occasione – ante litteram del “vaffa”. La verità del saggio, pubblicato postumo nel 1950 e poi accantonato nelle riedizioni di Simone Weil, la dice André Breton nella nota introduttiva di questa edizione, un articolo pubblicato allora da “Combat”, il giornale di Camus. “Combat” fu una delle poche voci che il sovietismo, imperante in Francia per un ventennio dopo la guerra, non sovrastò. O con più durezza il filosofo Alain, maestro di S.Weil, nella nota che la conclude: “Di cosa si tratta (nell’articolo di S.Weil)? Di questo: che il partito comunista si è incaricato di portare alla perfezione la decadenza e la nullità di un partito”. Un’eresia evidentemente, se tuttora nelle presentazioni del libretto che si leggono sui giornali non se ne fa menzione – di cosa si tratta? Ma di abolire i partiti… Le filosofe che in vario modo nel Novecento hanno occupato la politica, Rosa Luxemburg, Simone Weil, Lou Salomé, Elizabeth Anscombe, la stessa Arendt, e Ayn Rand naturalmente, sono ancora nocive.
La passione è totalitaria
Simone sa che il terreno è insidioso e la reazione è in agguato, ma svolge un assunto semplice. La democrazia, “il nostro ideale repubblicano”, deriva dal “Contratto sociale” di Rousseau, dalla nozione di “volontà generale”. Individuarla non è facile, si sa, poiché è lo spirito di verità e giustizia. “Rousseau pensava che nella maggioranza dei casi un volere comune a tutto un popolo è conforme nei fatti alla giustizia, per via della mutua neutralizzazione e compensazione delle passioni particolari”. Questo non basta naturalmente, nessuno giurerebbe sui plebisciti. Rousseau stesso pone condizioni alla volontà generale. “La prima è che nel momento in cui il popolo prende coscienza di una delle sue volontà e la esprime non sia presente alcuna specie di passione collettiva”. Perché “la passione collettiva è un impulso al crimine e alla menzogna”.
Indistintamente. La filosofa non fa distinzioni tra liberali, repubblicani, socialisti e comunisti. Introducendo la figura parlamentare “dall’emiciclo alla rotonda”. La passione politica è totalitaria e confonde i termini, “il totalitarismo è menzogna”: “Quante volte, in Germania, nel 1932, un comunista e un nazista, parlando per la strada, devono essere stati colti da vertigini mentali constatando che erano d’accordo su ogni punto!” Se non si considera che comunisti e nazisti evitano di fare strada insieme (ma si può dire che per questo si evitano, per non dover concordare). Il più totalitario di tutti è il partito Comunista, che ha portato a perfezione le punizioni per l’indocilità: “Il sistema dei partiti comporta le penalità più severe per l’indocilità. Penalità che toccano quasi tutto: carriere, sentimenti, amicizie, reputazione, onore, talvolta addirittura la vita di famiglia. Il partito comunista ha portato questo sistema alla perfezione”. Un controllo che non lascia scampo, o la sottomissione o la fuga: “Un uomo che esegue calcoli numerici molto complessi sapendo che riceverà una frustata ogni volta che otterrà come risultato un numero pari si trova in una situazione molto difficile”, cercherà di trovare i numeri dispari richiesti.
La modernità del berlusconismo
Il ragionamento va avanti sillogisticamente, e si chiude perentorio in apertura: “Un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva”. È costruito per determinare le passioni dei suoi membri. Ha come fine primo e ultimo “la sua propria crescita”. Il sillogismo, in cui la conclusione corrobora (invera) le premesse, è inconsueto per S.Weil. Segno che nel 1943, l’anno in cui scrisse il saggio, a Londra, dov’era con la Resistenza, aveva già motivo di preoccuparsi. Esso in parte non è vero (è vero per i partiti Comunisti postbellici). Ma può essere utile per capire la crisi della politica, suicidata dai partiti di questo tipo, centralisti più che ideologici, gli unici che restano in vita. Simone Weil è la negazione dei Grillo e dei “vaffa”, ma quello che voleva è l’Italia dell’ultimo quindicennio, malgrado l’antiberlusconismo, della politica liquida direbbe il sociologo. O questo è il segno della modernità del berlusconismo, invano relegato alle categorie diminutive del partito di plastica e del populismo.
Simone Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, Castelvecchi, pp. 69, €7
martedì 13 maggio 2008
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