Il neo libertino Tremonti si è divertito al vertice economico in Giappone a dire che il caro petrolio è dovuto alla speculazione. Il che è solo vero. Inglesi e americani hanno detto di no, riferiscono i giornali italiani con aria di rimprovero. Al ministro italiano. Senza spiegare che la speculazione si fa a Londra e Wall Street, che grosse fortune vi si sono costituite.
La domanda e l’offerta non c’entrano nulla col petrolio a cento o duecento dollari. Non c’è scarsità di offerta: il greggio abbonda, il gas pure, se anche per una settimana o un mese il mondo decidesse di andare a piedi, il greggio aumenterebbe. Questo è un caso da manuale di aspettative inflazionistiche che rendono l’inflazione ineluttabile, per la debolezza procurata del dollaro e delle monete asiatiche al dollaro legate. E di speculazione, che, nella migliore delle ipotesi, si difende dall’inflazione. In quella gigantesca partita di giro che sono i futures, che non si sa chi pagherà – per ora la stiamo pagando noi. Il tutto nella ovvia consapevolezza che Bush è lì per rilanciare l’industria del petrolio negli Usa. Nelle aree per ora chiuse alla prospezione, soprattutto a mare. E nelle emissioni, che in alcuni Stati hanno limiti troppo rigidi a giudizio dei petrolieri.
Ma per questo stesso fatto con la fine della presidenza Bush la sagra è destinata a finire: se vince Obama ma anche se vince McCain, la bolla scoppierà. Tutti i suoi pilastri, i fondi sovrani della penisola arabica e di Mosca, le banche d’affari inglesi e americane che vendono il know-how, e i tanti texani e russi agganciati al boom, si reggono sul benign neglect di Bush. Che nella diplomazia degli affari equivale a un accordo, è la vecchia stretta di mano al mercato dei buoi.
Non c’entra l’ideologia, il liberismo, la globalizzazione. Bush ha dato via libera per tre fattori concomitanti, oltre al rilancio dell'industria americana del petrolio in America: tenersi stretti i potentati arabi nella lotta al terrorismo, fare dell’Arabia Saudita una potenza regionale in grado di giocare un ruolo di stabilizzazione in Libano, in Iraq e, si pensa, con l'Iran, arricchire gli amici petrolieri americani – anche se pure Putin ne approfitta. Questo non può durare. Non per altro: i problemi del mondo si risentono anche in Cina e in India, che l’America non può mettere in crisi. E' in simbiosi con Cina e India che l'America riesce a fare da un ventennio ancora la spesa, e dall’altra regolare senza spendere il mondo, senza sprecare armi e soldati.
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