“Perché il Sud è senza voce”, un articolo di riflessione di Galli della Loggia sulla scomparsa del Sud dall’Italia, ha aperto un dibattito sul “Corriere della sera”, come usava una volta. Raccogliendo in dieci giorni almeno tre interventi di peso. Tutti di ottantenni, La Capria, Giovannino Russo, e Emilio Colombo, che forse va per i novanta. Con argomenti giovanili, di cinquanta e sessant’anni fa - che erano la riscrittura di Salvemini e Giustino Fortunato, la preistoria.
Il direttore del “Corriere” Mieli sarà stato generoso ad aprire il dibattito - se non voleva divertirsi. Gli intervenuti potrebbero non averlo deluso: ognuno a suo modo - ma tutti poi al modo napoletano - hanno testimoniato l'assenza del Sud più efficacemente di quanto abbia saputo dire Galli della Loggia. Il fatto è che il Sud può essere molto meglio, e molto peggio di Napoli. E che comunque non va cercato a Napoli.
Che dire di Napoli? “Il fatto è che per decenni”, scrive Galli della Loggia, “le sue classi dirigenti hanno tratto proprio dalla centralità ideologico-culturale della questione meridionale l’essenza del proprio profilo e del proprio ruolo politico sulla scena nazionale”. Il “fatto”? quale fatto? Ogni parola suscita meraviglia: classi dirigenti? centralità? ideologia? cultura? questione meridionale? profilo politico? ruolo? Lo storico fiuta la novità, ma la riporta alla solita “vecchia tesi” (non c’è saggezza se non è vecchia): alla “antica vocazione delle classi dirigenti siciliane a bypassare Napoli e il Mezzogiorno per mettersi direttamente d’accordo con l’Italia settentrionale”. No, lo sforzo è di tutto l’ex Regno di liberarsi di Napoli e mettersi d’accordo col mondo – liberarsi dei baroni? dei Borboni? No, di Napoli, dell’inferno.
Il Sud non è Napoli. La questione del Sud al Sud è precisamente come liberarsi di Napoli – il vero ponte di Messina, liberatorio, sarebbe sopra Napoli, da Pompei a Formia, da Angioina Est a Teano Ovest. La parte più nobile di Napoli, “Gomorra”, nel libro e al cinema, è proprio napoletana, molto furba. Accattivante, suadente, e traditrice – mai un briciolo di verità a Napoli, è roba da poveracci. La questione morale della mafia, se se ne potesse impiantare una, è significativa: a Palermo costruisce e innova, a Napoli litiga per le strade, accoltella i bambini, e batte i tamburi in faccia alla polizia.
La città sa fare (ancora) molte cose, ma non lo sa dire, o non vuole. E si crogiola – la crogiolano i suoi giornali, i suoi scrittori, i suoi intellettuali – nel tricche e ballacche. Eh sì, Napoli nobilissima e crudelissima è folklore stomachevole. Quell’essere e non essere vischioso, che da troppo tempo mostra un ordito camorristico, marcio anche se da teatro d’infimo ordine, dai disoccupati organizzati agli assenteisti e sabotatori dell’Alfa Romeo, e ai rifiuti, che si vogliono ecologia pura e sopraffina, lo sguardo velato, e non da droghe ma dalla perfidia, e non dei bari e gli assassini, o dei loro compari paglietta, ma di noi, i giornalisti, i magistrati, i carabinieri, i vigili. L'ultimo ministro di Napoli è Pecoraro Scanio. A Pomigliano, dove la Fiat ha concentrato l’Alfa Romeo per farne un marchio da mezzo milione di autovetture, alle maestranze non gliene frega nulla, a loro interessa poter non andare il lunedì. Che Sud è questo? Meno male se non ha più voce.
Il problema è alla radice. Che deve dire il Sud di fronte a Napoli? Che cosa di diverso può dire rispetto al Nord, e al resto d’Italia e del mondo? O di fronte a tutto il sentimentalismo e la rancida sociologia dei polemisti anziani del “Corriere”? Per una diversità del Sud che, insomma, si sa, è l’intervento straordinario? Ma la chiusura della Cassa per il Mezzogiorno è la cosa migliore che sia stata fatta nel dopoguerra per il Sud.
Il problema è che il silenzio del Sud è un’ottima novità, se non sa che parlare sguaiato, nella forte indignazione delle sue figuranti popolane, che non si capisce se sono veline locali o guappe furbe. Per fortuna, avrebbe dovuto dire Galli della Loggia, che il Sud tace, raccoglie l’immondizia e, dove possibile, va di giorno a lavorare.
La questione meridionale è la questione settentrionale. Di uno Stato che si dice meridionalizzato. Lo dicono i corrispondenti del “Corriere”, lo diceva Sciascia, lo dice il Meridione insomma, e questo è parte del problema, è la parte più importante. Mentre si sa che è settentrionalizzato. Perché il Sud non ha mai contato nulla, non sono gli sbirri che fanno la polizia. Perché è corrotto e imbelle, soggiogato al denaro in tutte le sue forme, dal sussidio alla termovalorizzazione e alle energie alternative, cosa di meglio c’è per le coscienze?, passando per la criminalità. La colpa specifica del Sud in questa Italia è di non saper far fruttare il crimine.
sabato 7 giugno 2008
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