Esemplare Duras fin dagli inizi, dalla cruda lunga memoria della madre e di Léo-M.Jo, il personaggio del suo primo amore (e di tanti libri) a sedici anni, ricchissimo ma annamita, e perciò invisibile. I tre quaderni “ritrovati” (in realtà già per metà pubblicati nel 1986 nel “Dolore”) sono qui pubblicati non in ordine storico, di composizione, ma presumibilmente per qualità di lettura – il primo quaderno, di fine anni Trenta, viene per ultimo. E tuttavia il marchio Duras è fluido e felice fin dall’inizio, quando ancora lei si vedeva moglie e amante di scrittori.
Esemplare è nel primo di questi “Quaderni” il primo corpo a corpo con la famiglia che sarà uno dei temi narrativi maggiori di Marguerite Duras, con la madre e i due fratelli, e con la vita in colonia, dei francesi che in Indocina come in Algeria si abbrutirono e perfino si declassarono. È un testo del 1943, e potrebbe essere la prima prova narrativa della ventinovenne Margherite, anche se nello stesso anno risulta aver debuttato nell’editoria maggiore con “Les Impudents” e l’anno successivo con “La vita tranquilla”. Il racconto della famiglia, che serpeggerà in tutta la narrativa, è qui molto esplicito. Vendicativo forse: ne va della sopravvivenza della scrittrice, al momento in cui ha iniziato una vita totalmente diversa. Con pagine d’antologia: l’inutile lotta contro le maree, la figlia immacolata da picchiare regolarmente, che è la stessa Marguerite, la letteratura dell’infanzia, la scuola, la virilità della maternità, “se per virilità s’intende l’sercizio violento della libertà”.
Il libro, composto da tre quaderni redatti tra il 1943 e il 1948, è un magazzino della Duras romanziera. Meglio un ouvroir, cui Marguerite attingerà i motivi principali, e anche interi testi, di tre filoni di romanzi. Una tavola delle concordanze e un indice dei nomi, reali e d’invenzione, ne facilitano al lettore il reperimento. I due blocchi più lunghi riguardano uno l’esperienza in Indocina (“L’amante”, “La diga”), l’altro la tarda pubblicazione, già allora giustificata dal reperimento di taccuini dispersi, sul ritorno del marito Robert Anselme dalla detenzione a Dachau alla libertà a Parigi, dove Marguerite si era fatta un'altra vita con Dionys Mascolo. Tema che, con molte precauzioni, Marguerite ha elaborato ne “I cavallini di Tarquinia” e, a generi rovesciati, ne “Il Marinaio di Gibilterra”. E poi ne “Il dolore”, pubblicato tardi, nel 1985. Corredato da testi che qui si ripubblicano, “Ter le milicien” e “Albert des capitales”, materiali di un romanzo alla Fenoglio sui giorni finali della Resistenza, che la scrittrice non ha pubblicato, e forse non ha scritto.
L’invenzione dell’“Amante”
Il primo-ultimo gruppo di appunti svela forse da sé uno dei misteri che i biografi di Marguerite Duras non riescono a penetrare, la sua famiglia e la sua Indocina. Perché la sua vita fino a vent'anni è più d'invenzione che non. Compreso l'amante "cinese", che in uno dei quaderni ha molte scene, ed è il figlio degenere di un ricco imprenditore annamita, mentre in un altro è un piantatore del Nord (Vietnam) meticcio. E cioè, in francese, è mezzo europeo. Nel primo (qui ultimo) quaderno leggibile della fitura scrittrice, ricondotto al 1938-39, si pala del padre che muore di consunzione, nella sua vila, in un parco, bene accudito da fedeli domestici, nella valle del Dropt. Una zona poco nota dell'Aquitania, di grande attrattiva storica e ambientale, da uno dei cui toponimi, il castello di Duras, molto vivibile, fine Cinquecento, e molto monumentale, Marguerite prenderà il nome d'arte. Il padre morto la madre vorrebbe poi riseppellire in un'altra tenuta di famiglia.
Un capitolo dei “Quaderni” è intitolato “Ricordi d’Italia”. Non lungo, in questi diari l’Italia è poca, ma è densa. Come ogni esperienza, anche minima, di Marguerite Duras. E darà esca al secondo filone di romanzi autobiografici. Una vacanza estiva a Bocca di Magra nel 1946, con Robert e Dionys, e con Elio Vittorini e la sua ammiratissima moglie Ginetta, qui si ritrova già "scritta", in abbozzi che la scrittrice capitalizzerà ne “I cavallini” e “Il marinaio”. Più un ritratto a tutto tondo di Dionys Mascolo, col quale la scrittrice avrà il figlio Jean, che s'intestardisce a fare il bagno nella libecciata, dove più spesso si muore, e probabilmente, da solo, di nascosto, lo ha fatto.
Esemplari sono, questi “Quaderni”, della scrittura disincarnata che sarà la cifra di Marguerite Duras. L’ombra è erotica. Firenze è senza alberi. C’è il senso della morte nel bagno di sole. Il senso di colpa per il marito partigiano, dimenticato dai tedeschi nel lager e dalla stessa Marguerite a letto con Dionys, è nella sua diarrea insistente, quasi una voglia di morte del sopravvissuto, o di spurgo della vita anteriore.
La fisicità della letteratura
Duras ha una scrittura sua, nella posterità, immune alla Duras pubblica, dei film, la politica, il femminismo, che qui emerge a tutto rilievo. Duras è una scrittrice che, benché coinvolta praticamente in tutto, dal giornalismo alle elezioni, dalle polemiche quotidiane agli amori senili, e in un purismo Pcf da neofita, fino all’antigollismo (benché il Partito l’abbia processata per immoralità, per il rapporto a tre con Antelme e Mascolo), ne è completamente distaccata. In un certo senso lei stessa la individua - la sua scrittura - in una pagina che si vuole frivola e seria, in cui la sua posizione nella vita e l’amore fa risalire a due letture dell’adolescenza, “Magalì” di Delly e Dostoevskij. A Dostoevski attribuisce “la tendenza che ho ancora a preferire l’opera d’ispirazione a ogni altra, e a disistimare l’intelligenza”. Il che è vero al contrario – e il contesto dice che la Duras questo intende dire: il suo sguardo è dell’anatomista.
Un’altra conferma è nel diario italiano. Il primo episodio è la nascita del figlio morto avuto col marito Robert. Un episodio successivo è il progetto di una nuova maternità con l’amante Dionys, nel momento in cui il rapporto si scioglie, a ricordo di un amore finito. Pezzi di bravura, ma da anatomista, della gestazione, del parto, della crisi di coppia: tutto per la letteratura. Non solo gli eventi (aneddoti) e la memoria, ma le cose e il sangue stesso sono in quanto materia di manipolazione letteraria, di scrittura. A pochi anni data, è la scrittura che soverchia e anzi annulla il personaggio, e non il contrario, come sembrava in vita.
La cifra Duras è la fisicità in ogni aspetto, la luce (l’ombra), il presentimento, dell’infelicità, della felicità, il parto, la morte al parto, il ritorno dal lager, qui raccontato due volte, del marito, e la merda, un mese di merda di uno che solo si nutre di liquidi ed è pelle e ossa, e ribolle, verde, putrida, un’espulsione simbolica di tutto il male introiettato, dopodichè la fame ritorna, insaziata. La disincarnazione della carne. Degli amori, materno, fraterno, clandestino e come prostituito, di coppia, filiale, della maternità, della morte nella maternità, del senso della vita nella morte, del declassamento, che essa risente e forse ne ha segnato la vita fino al successo letterario, per una sorta di follia materna come quella gaddiana.
Margherite Duras, Quaderni della guerra e altri scritti, Feltrinelli, pp.326, € 19,50
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