Si farà dunque la pace tra Siria e Israele. Tra un anno.
I regimi arabi vogliono reagire all’estremismo, politico e islamico, dalla penisola arabica alla Siria. La nomina di una donna, ebrea, ad ambasciatore di Bahrein a Washington, è più che una provocazione, è una dichiarazione di guerra. Anche la Siria è su questo fronte, e ha già giocato in tal senso qualcuna delle sue poche carte. Michel Suleiman, l’onesto generale nuovo presidente del Libano, protegé della Siria, è andato al Cairo da Mubarak prima di candidarsi ed essere eletto. Mubarak è la cerniera tra il fronte arabo moderato e gli Stati Uniti. Mentre la famiglia Assad, che governa la Siria, per la prima volta da una trentina d’anni non se la passa molto bene. Assad chiede solo garanzie che non sarà sottoposto al Tribunale internazionale dei crimini di guerra per l’assassinio di Hariri e altri uomini politici libanesi a Beirut, per il resto è disposto alla pace. Alla pace negoziata direttamente con Israele.
Breve storia della Siria
La storia della Siria è quella del partito Baas, fondato negli anni Trenta a Parigi da due intellettuali siriani, Michel Aflaq e Salah el Din el Bitar. L’uno cristiano siriaco, l’altro musulmano sunnita, entrambi alla Sorbona, entrambi socialisti, entrambi nazionalisti arabi, di un nazionalismo che contempla la rinascita dell’islam (il cristiano Aflaq morirà nel 1996 musulmano, e non solo per compiacere Saddam Hussein, di cui era in qualche modo ostaggio), Aflaq e Bitar ottennero uno sbocco politico negli anni 1950 in Siria e in Iraq aprendo il Baas, nel nome del laicismo, o del superamento delle confessioni, alle minoranze religiose e tribali. Che tutte indirizzarono alla carriera militare, l’unica aperta all’interno delle comunità dominanti, sunnita e sciita.
Saddam Hussein occuperà poi il potere nel 1970 con la sua minuscola tribù familiare e di clan. Hafez el Assad nello stesso 1970 rovescerà da ministro della Difesa il filosovietico Salah Jedid, il generale del Baas che per primo aveva preso il potere, e governerà con la metà degli alauiti, la minoranza cui egli appartiene, che sono in tutto il 4 per cento delle popolazione. Non era bastata a Jedid la sconfitta del 1967, quando perse il Golan ignominiosamente, per essere allontanato dal potere. Ma quando a settembre del 1970 sostenne l’Olp contro re Hussein in Giordania, Assad agì.
Hafez Assad ha poi governato per un trentennio senza problemi. Ma l’erede e figlio Bashir ha ora difficoltà a tenere il paese, con il sue due per cento di fedeli, e con una famiglia che è soprattutto femminile, di suocera, moglie, sorelle e cognati.
Trattativa diretta
Bashir Assad da almeno un anno collabora col fronte Usa alla frontiera con l’Iraq, e nel controllo dell’armamento di Hezbollah nel Sud del Libano. Si prenderà il Golan, seppure demilitarizzato, e potrà fare la pace con Israele. A questo punto in guerra rimarrà solo Hamas. Che però Israele e Washington conoscono molto bene, avendolo praticamente creato un funzione anti-Arafat. Hamas si è rigenerato con i volontari kamikaze e con la Nakba, la Catastrofe araba per mano di Israele, ma è realista. I palestinesi lo sono. In un certo senso la pace è possibile, ma non prima di un anno.
Ci vuole un patrocinio indiretto, e una garanzia, alla pace con reciproco riconoscimento tra Siria e Israele. E per questo ci vuole una nuova presidenza alla Casa Bianca. George W.Bush ha improntato la sua presidenza al non intervento, non in materia diplomatica, né militare, né economica, là dove gli Stati Uniti non sono impegnati direttamente. Non ha avviato perciò e non intende avviare alcuna iniziativa di pace in Medio Oriente. Ma il broker arabo alla pace non basta, che sarebbe solo Mubarak. L’Arabia Saudita, che sostiene l’esigenza del riconoscimento internazionale senza riserve per Bashir Assad, col quale governa il Libano, non può esporsi sulla questione della pace. E anche Israele d’altra parte ha bisogno di tempo. Olmert sta per lasciare, e se ci sarà una campagna elettorale questa inevitabilmente verterà sulla pace.
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