Chiunque abbia da fare con la Telecom, sia pure per contratti costosi come l’adsl, il famoso Alice, è ormai alla disperazione: niente funziona. Si paga un abbonamento mostruoso per una rete che praticamente non esiste più, si va avanti coi rattoppi. Sono pure tornate le famose riposte a caso di qualche secolo fa: uno chiama la Slovacchia e gli risponde Treviso, oppure chiama Londra e gli risponde viale delle Province a Roma. Finiremo come i tedeschi sconfitti e disperati delle corrispondenze di Antonello Gerbi ottant'anni fa, che gli capitava di avere spesso non il numero richiesto, per il quale avevano pagato, ma una Ersatzverbindung, un contatto qualsiasi, e loro, per non sprecare la chiamata, si facevano una conversazione con chi rispondeva - magari solo per parlare male di Telecom. Non c’è nemmeno da protestare, rispondono call center anonimi, che non sanno nulla e non gliene frega nulla. Forse per questo non protesta nessuna della tante associazioni consumeristiche, Adiconsum, Adusbef, etc. – se non sono nella manica della stessa Telecom, queste associazioni sempre si caratterizzano per contatti privilegiati con questo o quel grande operatore economico. Né se ne da accorta la napoletana Autorità per le telecomunicazioni, un sorta di ministero che paghiamo profumato per non disturbare il manovratore.
Non sta meglio chi è passato alla concorrenza: ha beneficiato della privatizzazione in termini di costo, eliminando il carissimo abbonamento Telecom, ma dipende sempre da Telecom per la linea, per telefonare cioè e per lavorare on-line. È uno dei punti più deboli dell’Italia, l’assoluta carenza di servizi, anche se privati, o privatizzati. Telecom stava molto meglio anzi quando era pubblica, a dieci anni data la privatizzazione rientrerebbe in qualsiasi altro ordinamento legale nella sfera criminale. Telecom pubblica aveva avviato la cablatura di mezza Italia con la fibra ottica. Proprio così, dieci anni fa la supercriticata, ai fini della privatizzazione, Stet-Sip aveva avviato col progetto Proteo la cablatura dell’Italia con le fibre ottiche, sulle quali una miriade di linee e di messaggi passano istantaneamente rispetto al miserrimo stoppino. I nuovi padroni della Telecom privata se ne sono serviti per pagarsi dividendi straordinari e varie speculazioni di Borsa, senza un euro d’investimento.
Dire la privatizzazione di Telecom criminale è eccessivo, poiché fu fatta dal governatore in carica della Banca d’Italia, Mario Draghi, sotto la supervisione di Ciampi, allora ministro del Tesoro. Ma è un affare di cui hanno beneficiato solo i compratori, nemmeno a caro prezzo: i primi, raccolti attorno al San Paolo e agli Agnelli, poi gli incursori Gnutti e Colaninno, la razza padana tanto elogiata e servita, sul piano fiscale e tariffario, da Visco e Bersani, una razza compagna, infine Marco Tronchetti Provera, il mago del dividendo straordinario. E ora l’Italia è senza telefono. Con la speranza fondata, per le banche che l’hanno commissariata, di rivendere allo Stato la rete inservibile: era il progetto di Prodi e del suo bracco destro Rovati, e torna col nuovo governo.
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