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lunedì 16 giugno 2008

Secondi pensieri (14)

zeulig

Bugia – Ha le gambe corte, ma corre veloce.

Complessità – Segna l’epoca in sordina, ma ha rivoluzionato il pensiero, da tempo: la filosofia e la scienza, compresa la scienza della scienza. Il pensiero filosofico l’ha disorientato, Heidegger ne è l’espressione, che così a lungo ha cercato il centro perduto.
Ha dissolto i fenomeni fisici e biologici, e la psicologia, l’economia, la sociologia, nonché gli strumenti di misurazione, la geometria e la matematica. Ha inciso più della relatività: Einstein opera nell’alveo della fisica “classica”, la complessità invece perturba ogni entità. Rovesciando il Principio di ragione, il “nulla è senza ragione” di Leibniz, peraltro indimostrato. Il Principium rationis non è più il principio di ogni rappresentazione.

Confessione – Porta a galla il peggio di se stessi, lodata, lo moltiplica, lo metastasizza. O la solitudine, che è la stessa cosa. I preti lo sapevano, che tenevano in punta d bastone le zitelle beghine e le puttane pentite.

Denaro – Non risolve i problemi ma ne crea. Essendo passato da nummus a misuratore della felicità è un motore che gira a vuoto.
La sua trasformazione da numerario ad accumulatore segue l’inizio della modernità, e l’obbrobrio sull’evo medio, operoso e immaginativo come ogni altro ma segato per la difformità dal nuovo modello, che si pretende universale, sprofondato nella preistoria.
È il problema del capitalismo. Della sua insoddisfazione (crisi) e della sua non accettazione, a partire di grandi capitalisti. Il problema non è il sopruso, o l’accaparramento, che ricorrono in ogni altra forma sociale. Il problema è l’inconsistenza del denaro – per chi s’arricchisce oltre che per chi s’impoverisce. È qui l’inconsistenza della borghesia, la sua arte essendo il denaro, che non dà soddisfazioni.

Dio – Il suo difetto è la perfezione: troppe cose gli sfuggono.

Se fosse il mondo, come vogliono i mistici, sarebbe pura immaginazione. È piuttosto l’anti-mondo, il bisogno di una certezza.
Di un mondo che pure lui stesso ha creato? È possibile, il principio duale non era campato in aria: il mondo come opposto a Dio, nel suo sviluppo se non anche nella sua origine.
Nel suo sviluppo per il principio della libertà. Che dunque non è in Dio?

Dolore – Resta incomprensibile, come la violenza, o il riso, perché non si riesce a legarlo al divino. L’uomo razionalizza solo il divino (il divino è la radice della razionalità).

Filosofia – Non decide nulla. Ma è un modo elegante di passare il tempo. Poco faticoso, come il croquet.

Quella occidentale è greca e tedesca. Ma la filosofia è irrealizzabile, e questo male si addice agli operosi tedeschi.

Giallo - È il tipico racconto che corre alla fine. La narrazione è – era – tipicamente aperta, seminativa. Il giallo è un ventaglio che si chiude.

Identità – Se inward-looking implode. Per un fenomeno fisico. Anche di fisica sociale, nelle tribù di Turnbull, nelle famiglie endogenetiche. Il meticciato di Senghor, o cosmopolitismo, è ovviamente più produttivo, perché fa imparare qualcosa. Anche guardarsi indietro serve, s’impara dalla storia e dalla tradizione, non si è se non si è stati. In termini pratici è una questione di equilibrio: essrrci-per-aprirsi, direbbe Heidegger.

Ipocondria - È malattia indelebile. Tanto più in quanto è soft.
È stata degradata a malattia dell’epoca, dei ricchi e sazi, i giovin signori pariniani. Ma è atto di ostilità, continuativo, suadente, perfido. Contro gli affetti,prima che contro se stessi e il mondo.

Letteratura - È zona franca, per il privilegio dell’extraterritorialità. Tutti gli eroismi vi sono possibili, senza rischio né fatica. Ogni turpitudine vi si può perpetuare, ipocrisia, adulazione, tradimento, perfino la violenza e fino all’assassinio, impunemente.

Libro - È una promessa d’ignoto. Anche a chi lo pubblica, all’editore, allo scrittore, allo stesso consulente critico.
Si difende con le ricerche di mercato, ma per gettare fumo negli occhi.

Vuole fatica, è droga per pazienti.

Metafisica – Passati attraverso il rifiuto della metafisica, se ne esce rifiuti.

Narrazione – È diffusa, sotto forma di romanzo o di reality, perché è un esercizio dell’ego del narratore. Una proiezione molto diffusa in epoca di ego dominante.
È sempre un dialogo. Anche se graficamente ordinato in flusso ininterrotto (Joyce, Bernhard), senza intervento visibile di interlocutore. Le digressioni, gli a parte, i paesaggisti dell’anima, i vi dico io che cos’è, per quanto compiaciuti, devono reggersi su forme di dialogo, per quanto surrettizio, con interlocutori immaginari ma sempre realisti, altrimenti non si legge.

Nella narrazione come a teatro, l’interlocutore è sempre immaginario. Antagonista quanto si vuole ma a uso personale. Il dialogo è immaginario come la descrizione o i fatti: è solo un artificio per dare spessore plastico (voce, moto) ai personaggi – i primi dialoghi sono quelli filosofici, falsissimi.

Opinione – Non ce n’è di più stupida – superficiale, incoerente, faziosa, inutile – che là dove è diventata pubblica. Un africano all’epoca del tam-tam ne sapeva e ne capiva di più.
Segna l’irrilevanza della condizione urbana – l’irrilevanza della società al tempo della città.

Realtà – Entra in noi, che dobbiamo realizzarla, molto prima di essere. Come desiderio, presentimento, ineluttabilità, della catastrofe, preparazione.

Romanzo – È un progetto, con una struttura e un disegno. Da qui la critica dei caratteri, dei tipi, il plot, i generi. Mentre la narrazione deve fluire libera. La narrativa di fa da sé – è la scrittura: la lingua e la concrezione degli eventi. Personaggi e tipi evolvono con gli eventi. La psicologia non costruisce i personaggi ma si costruisce con essi.

Scrivere – La storia si scrive. Scrivere è portare al presente il passato, anche insignificante, e al passato il presente, compreso l’inesistente.

C’è nella scrittura, nella buona scrittura, dotata per la comunicazione (narrazione), qualcosa di più del percepito e dell’espresso, e del vissuto. Freud o Heidegger (Platone, Nietzsche, etc.), o Stendhal, Schopenhauer, scrittori dotati, sono molto più grandi dei loro intendimenti, talora perfino limitati, o del loro misero vissuto.
Ciò è esaltante: da solo dà la misura del potenziale umano.

È leggere. Lo scrittore è narratore di letture.

Storia - La sua verità non può essere la razionalità.
La razionalità non può essere che quella di oggi. Insomma, la più matura possibile, quella che oggi ci sembra vera. La verità della storia è quella del suo tempo. È la razionalità, se si vuole, ma del suo tempo.
Il che non cambia molto. Ma la definizione sì, che può non essere poco. Delle epoche buie, per esempio, rispetto a quelle illuminate. Per esempio, un’epoca in cui tutti s’improsano liberamente che cos’è? È libera, illuminata, razionale?

Tempo - È immortale. Altrimenti non sarebbe. E dunque era prima dell’uomo che è mortale.

È un continuum, ininterrompibile. Da qui una certa stolidità.

È un metronomo. Anzi un pendolo: non accelera, ed è indifferente.

Verità – È ubiqua, e insidiosa. È insidiosa per essere ubiqua.

zeulig@gmail.com

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