sabato 28 giugno 2008

Ci vuole Bush per l'Eni in Asia

Che fare di Kashagan? L’Agip, cioè l’Eni, s’interroga sul futuro del maxigiacimento petrolifero in Kazakistan. Con riserve valutate in 9-16 miliardi di barili, in grado di dare da solo una produzione annua media di 300-500 milioni di barili, pari a 40-70 milioni di tonnellate, il consumo dell’Italia, il giacimento ha segnato l’entrata del gruppo italiano tra le grandi potenze petrolifere. Ma ha scontato una lunga serie di problemi sollevati dal governo kazako. Senza altro motivo che la collaborazione dell’Eni con la Russia, il nemico del presidente kazako Nazarbayev. L’entrata in produzione del giacimento è così slittata dal 2005 al 2011. E l’Agip deve fare i conti con una partecipazione non sempre amichevole del governo kazako in consiglio e nei programmi, di spesa e di ricerca. Alcuni dei maggiori soci della prima ora del progetto, British Gas e la Bp, hanno già preferito cedere le proprie quote.
Un anno fa il “Financial Times” argomentò che le grandi compagnie del consorzio, Exxon e Shell, intendevano scalzare l’Agip, cioè l’Eni, dalla leadership. Exxon e Mobil si presero la briga di smentire, e la cosa finì lì. Come un articolo ispirato dal governo kazako, che all’epoca brigava dall’Eni più poteri in consiglio. Ma ora l’Eni s’interroga se non è più conveniente defilarsi, lasciando la Exxon (la Shell guarda da sempre con molto distacco all’affare) a tirare fuori il giacimento dalla palude.
L’Eni non intende abbandonare il progetto. Anche se sa cheKashagan, come qualsiasi altro interesse in Centro Asia, economico o politico (la guerra in Afghanistan per esempio), non si può sviluppare se non d'accordo con la Russia, in contrasto quindi co uno dei "credo" della presidenza Bush. Potrebbe vendere sicuramente la quota con qualche beneficio rispetto alle spese sostenute, ma resterebbe fortemente indebolito sul piano patrimoniale. La quota del 16,81 per cento del consorzio, analoga a quella degli altri grandi gruppi, Exxon, Shell, Total, “pesa” molto di più nel patrimonio del gruppo italiano. D’altra parte, Scaroni in persona è rimasto scosso dall’ultimo round di trattative col governo kazako a gennaio. Al punto da dubitare che l’ex repubblica sovietica dell’Asia centrale possa sacrificare Kashagan alle ambizioni politiche di Nazarbayev. Una via d’uscita potrebbe essere un approccio diretto con la Exxon, per un’alleanza irrobustita, anche diplomaticamente. Un avallo americano potrebbe rassicurare Nazarbayev, e anche “convincerlo”, ammorbidire le sue fobie antirusse.

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