Dice bene Luca Barbareschi: “Se sei intercettato, sei colpevole”. Sarà per questo che la valorosa magistratura napoletana, col volenteroso aiuto dell’“Espresso”, ci ammannisce dieci e anche venti intercettazioni al giorno online. Ci voleva un attore per scoprire la verità. Perché di questo si tratta, di teatro, vaudeville si chiamava una volta, una farsa in gilet, magari da magistrato, da borghesia urbana. Prendendola seriamente, l’ultima raffica d’intercettazioni serve solo a rendere obbligatoria una legge restrittiva. E a innalzare un monamento ad Agostino Saccà, l’imputato principale. Ma non si può pensare all’“Espresso” e ai magistrati dell’accusa, benché napoletani, come a dei provocatori.
È la festa di Napoli, questo è. Ultimamente tornata alla fase piagnona, la città si diverte muta con l’elettronica. E si sfoga coi pettegolezzi prima che siano proibiti. Con battaglioni di carabinieri e finanzieri che muti ascoltano le telefonate, rimuginando di farsi questa o quella delle celebrità che gli tocca ascoltare per il loro misero stipendio - lo stipendio è sempre misero, non solo a Napoli, bisogna dire. Torme di consulenti di ogni risma che a caro prezzo sbobinano, trascrivono, tagliano, cuciono. E giornalisti amici degli amici che solerti prendono e mettono in rete – pare che l’esame di giornalismo sia ora mettere in rete: al candidato viene fornito un articolo che lo stesso dovrà con accortezza mettere in rete.
Un caso esemplare di produttività, questo delle intercettazioni partenopee, da Napoli a Milano e Torino, e giù a Potenza e fino a Lagonegro. Come solo a Napoli il lavoratore sa essere solerte, l’investimento produttivo, la capitale dell’economia nera, che è tanto più concorrenziale e ardua di quella in chiaro. Ma è anche una festa, questa della Procura del giudice Mancuso, quello del “non si toccano i miei figli”, anche se rompono, fedele discepolo del presidente Scalfaro, è una Piedigrotta, benché muta e priva degli assoli di Woodcock, tricche e ballacche in full swing, direbbe Arbore, con quel po’ di farfanteria che ci vuole, con la a alla Camilleri, che s’immaginerebbe suo cantore. In un paese civile qualcuno sarebbe stato sospeso, in Italia è cassa infernale e putipù, divertitevi.
E poi, non è il divertimento istruttivo? È così che Saccà, che i giudici di Napoli vorrebbero incastrato, ne esce leone: un supermanager. Berlusconi un cretinetti. Saccà incorrotto e incorrompibile, maestro nel proteggere l’azienda dalle pressioni politiche, che è il primo dovere di un manager pubblico, e uno che ha sempre battuto con le sue stronzate, chiamate fiction, le stronzate di Mediaset. E per questo l’unico manager sospeso dal consiglio d’amministrazione della Rai – non che i gentiluomini consiglieri siano al soldo di Mediaset, probabilmente sono veri poveretti. Berlusconi invece è un “ciula”. Che si fa telefonare da signore sconosciute. E fa telefonate, lui, il potente padrone di Mediaset e della politica nazionale, al calabrotto Saccà e non viceversa, per raccomandare signore che non conosce, e non stima. Su impulso, anticipiamo un'altra serie di indiscrezioni, della incombente e non troppo brillante famiglia, magari della signora Veronica.
Ma poi, finita la festa, bisogna chiedersi dove sta il fascismo. Perché c’è molta mafia, e si vede. Ma anche di fascismo qui ce n’è molto. Solo, non dove ci si aspetterebbe. Uno si sarebbe aspettato che le troniste di Berlusconi ripetessero le contesse di Mussolini, ma niente, qui niente coca e nemmeno trombate. Qui è tutta roba di sinistra, autocertificata. E di volenterosi assistenti alla morte – eugenetica!
La Repubblica, la storia più democratica dell’Italia millenaria, ha ucciso alcune centinaia di cittadini inermi, ha messo migliaia di bombe, sui treni, nelle piazze e nelle banche, e ha promosso il terrorismo. Ma sempre negandolo. Tanta impudica violenza è una novità, come quando gli squadristi brandivano liberamente i manganelli, si capisce che Napoli è eccezionale.
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