Il saggio sarà di scarso interesse per i dantisti, l’Albania è un piccolo paese, ma Kadaré vive Dante com’era. E come appare ancora in quella parte della debilitata Europa: l’Albania è piena di Beatrice. Anche per “il rapporto estremamente strano che esiste tra l’albanese e l’italiano:... benché le due lingue non abbiano all’apparenza niente in comune, gli Albanesi riescono a capire più o meno istintivamente, senza la minima preparazione, l’italiano, mentre gli Italiani, da parte loro, non capiscono niente del tutto dell’albanese”. L’altra ironia è che, “in seguito all’unione con l’Italia, l’Albania aveva ripreso il Kossovo”, l’aveva riscoperto.
Dante, tornato in Albania con l’occupazione fascista nel 1939, vi diventa “il poeta celeste, profetico, nazionale, unificatore” anche per gli albanesi. Con “decine di traduzioni, edizioni e riedizioni, …circoli, gruppi di studio,società, imprese, istituti di beneficenza, concorsi e tavole rotonde, serate di gala, piazze e strade”. Kadaré lo sa, non ne ha memoria personale (è nato nel 1936). Dante gli ritorna nel “candore” di Pound, nel “rimpianto” di Seferis, giunto tardi a Dante, e negli studi di un altro esiliato, il poeta e saggista albanese Ernest Koliqi, che è stato all’università di Roma. Dopo la capitolazione italiana e l’instaurazione del comunismo Dante è rimasto in Albania il poeta più popolare.
Ismail Kadaré, Dante l’inevitabile, Fandango, pp.60, € 10
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