Un breve saggio allungato a libro, comprese quattro o cinque pagine di Dürrenmatt, venticinque sui C.S.I che nessuno vede più, otto di bibliografia sommaria, sul genere editoriale in voga. Il nuovo romanzo sociale – argomento non nuovo. E un mezzo per la verità secondo Perissinotto. Che è giallista reputato ma qui è in veste di professore di Teorie e tecniche della comunicazione di massa a Torino. Con un problema: “Il problema sta nell’inafferrabilità del reale, inafferrabilità che rende ipotizzabile tutto e il contrario di tutto”. E qui si potrebbe chiudere.
Perissinotto lo sa: “L’onnipresenza dell’ipotesi del complotto non è sintomo di una società paranoica, bensì di una società che ha perduto il valore della verità”. Ma perché lo ha perduto? Perché non è più rurale…. Non perché è bugiarda – i suoi intellettuali lo sono, la Rai, i giornali. Specie nella società giudiziaria, che da un ventennio la domina (grande creazione della comunicazione di massa). Di pari passo con la dilatazione della fiction d’indagine. Non lo dice Dürrenmatt cinquant’anni prima? “Da quando gli uomini politici deludono… la gente spera che almeno la polizia metta ordine nel mondo”, e se c’è la polizia “il grosso è fatto”. Ma non - Dürrenmatt non lo dice - nel senso della verità. Non c’è giallo italiano, in libreria e nelle otto o dieci serie di fiction tv, che non sia un inno alle forze dell’ordine. Che non è propriamente indagine ma conformismo: adulazione, ipocrisia.
Alessandro Perissinotto, La società dell’indagine, Bompiani, pp.107, € 9.
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