Roger Caillois, La comunione dei forti, pp. 204, € 10
venerdì 18 luglio 2008
La democrazia vuol'essere selettiva
Un libro reazionario si pubblica, è una forte emozione, ora che non si può più dirlo tale. Una raccolta di saggi. E nell’edizione più cruda, la prima del 1943 a Città del Messico, invece di quella edulcorata, “censurata” disse Caillois, dell’anno successivo a Marsiglia liberata.
La raccolta è godibilissima – eccetto la parte centrale, che ha ambizioni filosofiche ma non va oltre l’elzeviro, subito perenta: “Vertigini”, “I tesori segreti”, “La severità”, “L’aridità”. In apertura Caillois vi rifà il boia di De Maistre, ma ben più ricco, il boia apparentando al re, al guaritore, al mago. Di Marx mostra il vangelo inconscio. Il gioco, lui sociologo dei giochi per cui resta ancora studiato, rappresenta come “brama di disastro” – il gioco d’azzardo naturalmente. In poche righe fa infine il pelo al razzismo: “La razza eletta e la nazione devono tendere a sovrapporsi, a coincidere”. Si opprime per questo l’ebreo,per esaltare il tedesco. Mentre “un Aniante che esalti chi è nato in estate e disprezzi chi è nato inverno, è dichiarato eretico. La ragione è evidente: non tutti gli italiani sono nati in estate. L’idea (però) non va perduta, bensì retificata: dato che l’intera penisola passa per essere calda e soleggiata, l dittatore italiano si affretta a pronunciare un discorso in cui contrappone i popoli canicolari, impregnati della forza vivificante del sole, alle popolazioni debilitate e intorpidite dei paesi nebbiosi”.
Il saggio più attuale è l’epicedio dell’individualismo, “Il vento invernale”, esploso col tardo romanticismo, in Stirner e più in Nietzsche. Dell’intellettuale “ostile a ogni società”. Non per saperne di più ma per essere migliore. Anche se “i più grandi individualisti sono stati dei deboli, degli inferiori, dei disadattati”. Ma tutti orgogliosi: più che dall’evasione, dice Caillois, affascinati dalla conquista. Si gabellava il fenomeno decadentismo, che è un fatto circoscritto alla storia della letteratura, ma poi tutti sono d’elezione decadenti, non solo Baudelaire e l’amato Wagner, per la cultura della crisi, un crogiolo. In quella che si può dire la società degli intellettuali: “Non si sottolineerà mai abbastanza quanto sia rilevante che Balzac e Baudelaire abbiano considerato con simpatia e proposto come modello Loyola e il perinde ac cadaver della Compagnia di Gesù, il Vecchio della Montagna e i suoi Assassini”. L’“associazione militante e chiusa”, ordine monastico fuori dal mondo e formazione combattente. Rovesciando Nietzsche: “Schiavi oppressori” e “Signori impotenti”. In forma, anche gli individualisti, gli intellettuali, di consumatori e produttori, le figure di tanta letteratura coeva (“Il vento invernale” è del 1937) e successiva. Ma classe chiusa: “La natura dei Signori, che tanto li ostacola nel contatto con gli altri, li costringe per ciò stesso a sentire fortemente la loro alleanza”. E a farsi scudo con “la probità, il disprezzo, l’amore del potere e la compitezza”.
Ancillare è il più sociologico successivo saggio, più in tema anche nel titolo: “Sociologia del chierico”. Che non cita “Il tradimento dei chierici” di Benda da cui prende le mosse, ma ne rovescia il significato: l’intellettuale è chierico in senso chiesastico. Caillois parte promettendo di fare le parti tra chierico e laico, ma entrambi i valori, dentro e fuori la chiesa, assomma poi unicamente nel chierico. “I veri «chierici» non difendono i valori, ma li creano, li suscitano. La loro storia è sempre quella di una qualche Compagnia di Gesù”. Totalizzante sempre, mentre la ragione – la democrazia – vuol’essere selettiva. Allora si sarebbe detto critica.
Sono testi degli ultimi anni 1930. Viveva Caillois nel pieno dell’ideologia dei compagni di strada, del totalitarismo dell’antifascismo, insieme con i suoi compagni di idea e di avventura Bataille e Leiris nel loro Collège de Sociologie, e sapeva di che parlava. Sull’insidiosa categoria dell’antifascismo, del dimenticato Willi Münzenberg, il geniale propagandista del Comintern, Caillois dice la verità subito, nella terza parte della raccolta, “Attesa dell’élite”, quella che sarà censurata nell’edizione della liberazione. C’è il vezzo di dire “fascista” tutto quanto non risponde alla propria sensibilità, e “un tale modo di procedere – dare importanza ai moti istintivi, esprimere un giudizio invece di sostenere un argomento – è tipico della maniera fascista, ed è stato forse introdotto proprio su questo modello”. È così che la democrazia è in Italia “incompiuta” – non accettata – dopo sessant’anni di Repubblica.
Questo è però un rischio della democrazia, al di là della propaganda. “Una democrazia che ha fiducia in se stessa considera suo diritto, quasi suo dovere, imporre ai recalcitranti la ragione, la giustizia, la felicità che rifiutano. Ma i dittatori non vogliono niente di diverso”. Il “forte” Caillois è in realtà realista triste: “Esistono molte strade che portano dal liberalismo alla tirannide. Dalla tirannide al liberalismo si scorge solo quella della decrepitezza e del logoramento”. L’antagonismo tra democrazia e totalitarismo è fatto di sfumature, non è massiccio e diretto come invece la somiglianza: “Non c’è alcuna serie controindicazione che impedisca a un democratico di accettare il Führerprinzip”, chi è al governo deve governare.
Il titolo e i temi sono elitistici. Non in senso politico, ma culturale: sono aristocratizzanti. Caillois, oggi si può dire, è vero democratico, contro le preclusioni politiche o ideologiche: in epoca fortemente idelogizzata, contro il nazismo prima e poi contro il comunismo sovietico, solo la verità per lui conta e l’intelligenza delle cose. Ludologo, gemmologo, borgesiologo, e per vivere funzionario dell’Unesco, succedette all’Académier a Carcopino, e fu succeduto da Yourcenar, che molto lo rispettava, tutti pieni di cultura latina. Sembrano preistoria. Caillois, che l’editore di “La comunione dei forti” sveltamente riduce a “poligrafo”, è l’ultimo degli umanisti, prima della guerra fredda, l’antifascismo e il sovietismo obbligati.
Si può anche dire che una forte cultura è stata per mezzo secolo oscurata e anzi denigrata: Céline, Drieu, la stessa Yourcenar, Pound, Jünger, Benn, Montherlant, Malraux, Saint-Exupéry, Simenon, Lawrence, Lawrence d’Arabia, Hamsun, eccetera. I “surfascisti” di Benjamin, che tra essi include Caillois e Bataille. Ma più che di ristabilire l’equilibrio, se non la verità, libri come questo suscitano ansia. L’ansia di quanto l’ideologia o la passione politica possano deprivare l’intelligenza e la stessa passione di vivere.
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